Lo spazio del passato allude esplicitamente a quel complesso ed articolato insieme di prospettive teoriche che guardano alla memoria dal punto di vista della sua iscrizione nello spazio pubblico. In tale prospettiva i termini chiave ricorrenti nel dibattito sono rappresentati dal rapporto tra memoria e potere (Middleton e Edwards, 1990), tra processi di legittimazione del passato e processi di dislocazione delle memorie (Shils, 1981; Schwartz, 1982; Schudson, 1989; Zolberg, 1996; Tota, 2005), tra «generi commemorativi» (Wagner-Pacifici e Schwartz, 1991; Wagner-Pacifici, 1996) che si consolidano e canoni consolidati che si sgretolano. In tal senso le città invisibili di Italo Calvino sono e restano per eccellenza lo spazio pubblico della memoria: si tratta di quei reticoli invisibili di relazioni, avvenimenti e corsi di azione che trasformano lo spazio fisico di una città – i suoi edifici, le mura, le piazze, le strade, i suoi monumenti, le sue iscrizioni - in quello sociale dei suoi ricordi, delle esperienze degli attori sociali che vi hanno abitato nel passato o che vi abitano ancora. Memoria e città sono due termini che si intersecano, che rimandano reciprocamente l'uno all'altro. Le strade mute e anonime delle metropoli, che percorriamo quotidianamente, acquisiscono nuova luce, quando le pietre di cui sono lastricate, iniziano a parlare. Il passato è inscritto negli artefatti urbani: sui muri delle case, nei monumenti e nelle statue equestri che troneggiano nelle piazze, nei nomi delle vie - talvolta tanto contesi quanto i passati che intendono commemorare. Tuttavia non è soltanto questo il passato - istituzionalizzato o comunque mostrato, visibile, rappresentato e messo in scena nelle città – di cui ci dobbiamo occupare. C'è anche un passato celato, nascosto, mai rappresentato, un lato oscuro delle memorie, aspetto nero che coincide con il non detto, il non ricordato, il rimosso. Non si tratta di addentrarsi in una sorta di psicoanalisi sociale delle memorie collettive e individuali, ma di segnalare quelle assenze e quegli oblii che una prospettiva sociologica non può certo trascurare. Ci sono infatti passati ricostruiti, legittimati, magari anche rinegoziati e «passati che non passano» (Rusconi 1987). Si tratta talora di passati che, non essendo stati scritti, né messi in scena nello spazio e nel tempo delle città che li abitano, finiscono per essere sempre latenti, pronti a riaffiorare e a rivivere nel presente, non appena riescono a prendere forma. Le nostre città sono piene delle tracce silenziose di queste “memorie senza dimora”, frutto di veri e propri «processi di dislocazione» (Tota, 2001): anche le assenze, infatti, difficilmente possono essere assolute. Le politiche dell'oblio passano per il ridimensionamento, per una rappresentazione sminuita e farsesca di ciò che è stato. Questi piccoli segni - un'iscrizione semi-nascosta da un lampione ad un angolo di una via, un piccolo monumento spoglio collocato su un litorale - parlano, anzi raccontano, di grandi gesta o di grandi delitti al pari, o forse più, delle grandi statue equestri di risorgimentale memoria che troneggiano nelle nostre piazze. In questo senso si tratta di analizzare le memorie contese, i conflitti, le negoziazioni, le vere e proprie guerre nei processi di ritrascrizione del passato. Nel Novecento i casi controversi, i passati scomodi da commemorare sono assai numerosi: accade sempre più spesso che differenti rappresentazioni sociali del passato si trovino a competere fra loro nell'arena dei mercati culturali e politici, al fine di fissare e legittimare socialmente una data versione di un certo evento. Tale competizione si fa tanto più accesa quanto più si tratta di passati controversi, incompiuti, difficili da ricostruire e da legittimare. Si tratta di forme di negoziazione degli immaginari sociali - «guerre dei sogni» direbbe Augé (1977, trad. it. 1998) - che nella contemporaneità passano sempre più attraverso la ricomposizione di memorie in conflitto, di versioni ufficiali in competizione con altre più o meno accreditate, di ricostruzioni ufficiose tutte da legittimare. Queste guerre simboliche mettono sempre in scena anche processi in cui sono in gioco sia le definizioni dei corsi di azione e degli eventi che furono, sia le immagini usate per rappresentarli. Le tracce di questi conflitti, gli indizi di queste battaglie tra memorie individuali e collettive, tra ricordi del passato e storia ufficiale stanno nelle pieghe dei muri, nelle scalfiture dei selciati, nelle lapidi e nelle iscrizioni cui talvolta distrattamente prestiamo attenzione, quando di corsa percorriamo le strade delle nostre città. Dal punto di vista sociologico queste tracce rappresentano un materiale prezioso da analizzare: la loro storia è spesso quella delle alterne vicende che hanno segnato la commemorazione di un certo evento, è la storia dei silenzi istituzionali che hanno coperto un passato da dimenticare. Come dice Calvino, «sono i racconti delle città invisibili» che dovremmo ricominciare ad ascoltare. È infatti nelle pieghe di queste narrazioni silenziose che si annidano le memorie collettive ed individuali più preziose, quelle a cui alla lunga si riconosce un maggiore valore sociale e civile: sono le memorie temporaneamente cancellate dalla versione dei vincitori, pronte a riaffiorare non appena le vittime torneranno ad avere il potere di raccontare.

Tota, A.L. (2006). Se una nazione cessa di ricordare. ANNALI D'ITALIANISTICA, 24, 327-346.

Se una nazione cessa di ricordare

TOTA, ANNA LISA
2006-01-01

Abstract

Lo spazio del passato allude esplicitamente a quel complesso ed articolato insieme di prospettive teoriche che guardano alla memoria dal punto di vista della sua iscrizione nello spazio pubblico. In tale prospettiva i termini chiave ricorrenti nel dibattito sono rappresentati dal rapporto tra memoria e potere (Middleton e Edwards, 1990), tra processi di legittimazione del passato e processi di dislocazione delle memorie (Shils, 1981; Schwartz, 1982; Schudson, 1989; Zolberg, 1996; Tota, 2005), tra «generi commemorativi» (Wagner-Pacifici e Schwartz, 1991; Wagner-Pacifici, 1996) che si consolidano e canoni consolidati che si sgretolano. In tal senso le città invisibili di Italo Calvino sono e restano per eccellenza lo spazio pubblico della memoria: si tratta di quei reticoli invisibili di relazioni, avvenimenti e corsi di azione che trasformano lo spazio fisico di una città – i suoi edifici, le mura, le piazze, le strade, i suoi monumenti, le sue iscrizioni - in quello sociale dei suoi ricordi, delle esperienze degli attori sociali che vi hanno abitato nel passato o che vi abitano ancora. Memoria e città sono due termini che si intersecano, che rimandano reciprocamente l'uno all'altro. Le strade mute e anonime delle metropoli, che percorriamo quotidianamente, acquisiscono nuova luce, quando le pietre di cui sono lastricate, iniziano a parlare. Il passato è inscritto negli artefatti urbani: sui muri delle case, nei monumenti e nelle statue equestri che troneggiano nelle piazze, nei nomi delle vie - talvolta tanto contesi quanto i passati che intendono commemorare. Tuttavia non è soltanto questo il passato - istituzionalizzato o comunque mostrato, visibile, rappresentato e messo in scena nelle città – di cui ci dobbiamo occupare. C'è anche un passato celato, nascosto, mai rappresentato, un lato oscuro delle memorie, aspetto nero che coincide con il non detto, il non ricordato, il rimosso. Non si tratta di addentrarsi in una sorta di psicoanalisi sociale delle memorie collettive e individuali, ma di segnalare quelle assenze e quegli oblii che una prospettiva sociologica non può certo trascurare. Ci sono infatti passati ricostruiti, legittimati, magari anche rinegoziati e «passati che non passano» (Rusconi 1987). Si tratta talora di passati che, non essendo stati scritti, né messi in scena nello spazio e nel tempo delle città che li abitano, finiscono per essere sempre latenti, pronti a riaffiorare e a rivivere nel presente, non appena riescono a prendere forma. Le nostre città sono piene delle tracce silenziose di queste “memorie senza dimora”, frutto di veri e propri «processi di dislocazione» (Tota, 2001): anche le assenze, infatti, difficilmente possono essere assolute. Le politiche dell'oblio passano per il ridimensionamento, per una rappresentazione sminuita e farsesca di ciò che è stato. Questi piccoli segni - un'iscrizione semi-nascosta da un lampione ad un angolo di una via, un piccolo monumento spoglio collocato su un litorale - parlano, anzi raccontano, di grandi gesta o di grandi delitti al pari, o forse più, delle grandi statue equestri di risorgimentale memoria che troneggiano nelle nostre piazze. In questo senso si tratta di analizzare le memorie contese, i conflitti, le negoziazioni, le vere e proprie guerre nei processi di ritrascrizione del passato. Nel Novecento i casi controversi, i passati scomodi da commemorare sono assai numerosi: accade sempre più spesso che differenti rappresentazioni sociali del passato si trovino a competere fra loro nell'arena dei mercati culturali e politici, al fine di fissare e legittimare socialmente una data versione di un certo evento. Tale competizione si fa tanto più accesa quanto più si tratta di passati controversi, incompiuti, difficili da ricostruire e da legittimare. Si tratta di forme di negoziazione degli immaginari sociali - «guerre dei sogni» direbbe Augé (1977, trad. it. 1998) - che nella contemporaneità passano sempre più attraverso la ricomposizione di memorie in conflitto, di versioni ufficiali in competizione con altre più o meno accreditate, di ricostruzioni ufficiose tutte da legittimare. Queste guerre simboliche mettono sempre in scena anche processi in cui sono in gioco sia le definizioni dei corsi di azione e degli eventi che furono, sia le immagini usate per rappresentarli. Le tracce di questi conflitti, gli indizi di queste battaglie tra memorie individuali e collettive, tra ricordi del passato e storia ufficiale stanno nelle pieghe dei muri, nelle scalfiture dei selciati, nelle lapidi e nelle iscrizioni cui talvolta distrattamente prestiamo attenzione, quando di corsa percorriamo le strade delle nostre città. Dal punto di vista sociologico queste tracce rappresentano un materiale prezioso da analizzare: la loro storia è spesso quella delle alterne vicende che hanno segnato la commemorazione di un certo evento, è la storia dei silenzi istituzionali che hanno coperto un passato da dimenticare. Come dice Calvino, «sono i racconti delle città invisibili» che dovremmo ricominciare ad ascoltare. È infatti nelle pieghe di queste narrazioni silenziose che si annidano le memorie collettive ed individuali più preziose, quelle a cui alla lunga si riconosce un maggiore valore sociale e civile: sono le memorie temporaneamente cancellate dalla versione dei vincitori, pronte a riaffiorare non appena le vittime torneranno ad avere il potere di raccontare.
2006
Tota, A.L. (2006). Se una nazione cessa di ricordare. ANNALI D'ITALIANISTICA, 24, 327-346.
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