Il saggio analizza la figura della straniera in Katzensilber, nei Bunte Steine di Adalbert Stifter. In una raccolta intitolata al simbolo per eccellenza dell’inamovibilità, quale appunto Pietre colorate, l’elemento erratico dello straniero che rifugge la stabilità rifiutando l’assimilazione è una sfida, l’antitesi orgogliosa e sofferta della sicurezza statica della casa, professata nella cornice del racconto. Anche l’incertezza genealogica della sconosciuta, talvolta destinata a rimanere senza nome, allude alla precarietà di quei concetti di limite e liminalità su cui ogni comunità fonda per Stifter il proprio statuto. L’autore confronta il motivo dell’intruso con una questione centrale della narrativa realista: l’ossessione tipicamente ottocentesca per il tema dell’educazione e dell’autorità. Stifter sottopone infatti lo straniero, meglio se giovane e orfano, a veri e propri esperimenti formativi. Sottratto all’autorità tramandata, anello isolato della catena generazionale e alieno nel consesso familiare e sociale in cui s’imbatte, il personaggio estraneo fornisce un fertile terreno creativo, è anzi, narrativamente parlando, terra vergine. Nella trama il forestiero diviene così il soggetto ideale per verificare la sopravvivenza dell’ottimismo pedagogico, di cui pure denuncia la forte oscillazione di valori e giudizi. Tra le figure di stranieri create da Stifter, das braune Mädchen, la ragazza bruna di Katzensilber, è forse l’esempio più inquietante e sconsolato, il prodotto di un fallimento il cui senso non si schiude a lettura conclusa. La tradizionale linea di sviluppo della famiglia di accoglienza (l’unica a fornire il decorso temporale che garantisce narrativamente il verificarsi stesso della storia) si affianca alla trama senza sviluppo della ragazza, l’impossibilità di ricostruirne la provenienza diventa il presupposto dell’insuccesso finale. L’autore, che per la storia della ragazza non trova infatti il punto di partenza, non riesce insomma nemmeno a darle una direzione. La questione dell’origine ritorna ossessiva nel testo, sempre legata a quel motivo genealogico che Stifter continuerà a inseguire fino alle discendenze ritualizzate nei racconti tardi. In modo diverso ma complementare entrambi i percorsi del racconto, famiglia e ragazza, tematizzano infatti il problema generazionale: la vita familiare attraverso il sovraccarico di dettagli che ne accompagnano lo sviluppo, quella della ragazza denunciandone invece tutta la problematica assenza. Attraverso l’intersecazione dei due livelli narrativi – dalla cornice esterna all’episodio della fanciulla in essa incastonato – l’analisi approfondisce l’articolazione culturale dei temi legati al principio della diversità e dell’omologazione, dell’assimilazione e integrazione dell’estraneo, di natura e cultura. Si vuole dimostrare come il racconto finisca per delineare il fallimento di ogni piano educativo. Moderna e spiazzante è questa manifestazione di coraggio da parte del narratore che facilmente avrebbe potuto ricostruire una coerenza organica e chiusa. La storia si interroga invece sulla legittimità dei tentativi di inserimento e si chiude su una sconfitta senza ragioni apparenti. La ragazza senza famiglia scompare enigmaticamente sottraendosi alla benevola accoglienza dei suoi tutori. È chiaro a questo punto come l’origine e l’inesplicabilità siano due questioni intimamente connesse in Katzensilber. Come molti autori realisti Stifter parte infatti dall’assunto ottocentesco secondo cui ogni sviluppo va colto alle radici, ma finisce poi per confutare la convinzione, anch’essa tipicamente ottocentesca, che esista sempre un disegno razionale, accessibile alla mente umana.

Fiandra, E. (2006). „Ich fange das Ding“. La straniera bruna e la trama intrusa in „Katzensilber“ di Adalbert Stifter. STUDIA AUSTRIACA, XIV, 9-24.

„Ich fange das Ding“. La straniera bruna e la trama intrusa in „Katzensilber“ di Adalbert Stifter

FIANDRA, Emilia
2006-01-01

Abstract

Il saggio analizza la figura della straniera in Katzensilber, nei Bunte Steine di Adalbert Stifter. In una raccolta intitolata al simbolo per eccellenza dell’inamovibilità, quale appunto Pietre colorate, l’elemento erratico dello straniero che rifugge la stabilità rifiutando l’assimilazione è una sfida, l’antitesi orgogliosa e sofferta della sicurezza statica della casa, professata nella cornice del racconto. Anche l’incertezza genealogica della sconosciuta, talvolta destinata a rimanere senza nome, allude alla precarietà di quei concetti di limite e liminalità su cui ogni comunità fonda per Stifter il proprio statuto. L’autore confronta il motivo dell’intruso con una questione centrale della narrativa realista: l’ossessione tipicamente ottocentesca per il tema dell’educazione e dell’autorità. Stifter sottopone infatti lo straniero, meglio se giovane e orfano, a veri e propri esperimenti formativi. Sottratto all’autorità tramandata, anello isolato della catena generazionale e alieno nel consesso familiare e sociale in cui s’imbatte, il personaggio estraneo fornisce un fertile terreno creativo, è anzi, narrativamente parlando, terra vergine. Nella trama il forestiero diviene così il soggetto ideale per verificare la sopravvivenza dell’ottimismo pedagogico, di cui pure denuncia la forte oscillazione di valori e giudizi. Tra le figure di stranieri create da Stifter, das braune Mädchen, la ragazza bruna di Katzensilber, è forse l’esempio più inquietante e sconsolato, il prodotto di un fallimento il cui senso non si schiude a lettura conclusa. La tradizionale linea di sviluppo della famiglia di accoglienza (l’unica a fornire il decorso temporale che garantisce narrativamente il verificarsi stesso della storia) si affianca alla trama senza sviluppo della ragazza, l’impossibilità di ricostruirne la provenienza diventa il presupposto dell’insuccesso finale. L’autore, che per la storia della ragazza non trova infatti il punto di partenza, non riesce insomma nemmeno a darle una direzione. La questione dell’origine ritorna ossessiva nel testo, sempre legata a quel motivo genealogico che Stifter continuerà a inseguire fino alle discendenze ritualizzate nei racconti tardi. In modo diverso ma complementare entrambi i percorsi del racconto, famiglia e ragazza, tematizzano infatti il problema generazionale: la vita familiare attraverso il sovraccarico di dettagli che ne accompagnano lo sviluppo, quella della ragazza denunciandone invece tutta la problematica assenza. Attraverso l’intersecazione dei due livelli narrativi – dalla cornice esterna all’episodio della fanciulla in essa incastonato – l’analisi approfondisce l’articolazione culturale dei temi legati al principio della diversità e dell’omologazione, dell’assimilazione e integrazione dell’estraneo, di natura e cultura. Si vuole dimostrare come il racconto finisca per delineare il fallimento di ogni piano educativo. Moderna e spiazzante è questa manifestazione di coraggio da parte del narratore che facilmente avrebbe potuto ricostruire una coerenza organica e chiusa. La storia si interroga invece sulla legittimità dei tentativi di inserimento e si chiude su una sconfitta senza ragioni apparenti. La ragazza senza famiglia scompare enigmaticamente sottraendosi alla benevola accoglienza dei suoi tutori. È chiaro a questo punto come l’origine e l’inesplicabilità siano due questioni intimamente connesse in Katzensilber. Come molti autori realisti Stifter parte infatti dall’assunto ottocentesco secondo cui ogni sviluppo va colto alle radici, ma finisce poi per confutare la convinzione, anch’essa tipicamente ottocentesca, che esista sempre un disegno razionale, accessibile alla mente umana.
2006
Fiandra, E. (2006). „Ich fange das Ding“. La straniera bruna e la trama intrusa in „Katzensilber“ di Adalbert Stifter. STUDIA AUSTRIACA, XIV, 9-24.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/157345
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