Il volume raccoglie i risultati di un quinquennio di studi dedicati all'analisi del film. La prospettiva in cui si muove Micciché è quella di una necessaria combinazione tra la tradizione filologica, applicata solo recentemente al cinema, e la pratica critica e storiografica. Con la parola filmologia l'autore, stando strettamente all'etimo, indica il discorso critico sul film, a prescindere dalle originarie connotazioni del termine introdotto da Gilbert Cohen-Séat negli anni Quaranta. L'approccio filologico costituisce la base di quello filmologico. Compito dell'analista è innanzitutto stabilire la "certezza" del testo, che, in campo cinematografico, pone problemi non meno complessi che negli altri ambiti artistici, dovuti alla precarietà del supporto e alla sua non adeguata conservazione, alla molteplicità delle copie e delle versioni in circolazione, alla alterazione dei formati e delle copie nella trasmissione televisiva e nei VHS e DVD, definiti da Micciché “videosimulacri” dei testi originari.Dopo la fase ecdotica della ricerca - che solo negli ultimi anni le cineteche stanno perseguendo, senza, tuttavia, aver ancora fissato una base normativo-culturale per le pratiche di preservazione e restauro - si procede all'analisi filologica vera e propria, che consiste in una operazione di destrutturazione e vivisezione del testo, condotta attraverso gli strumenti della moviola, del videoregistratore o del lettore DVD. Questa pratica consente di radiografare tutti gli elementi di un testo “a struttura complessa” come quello filmico, composto di “tre distinti patrimoni segnici di grande tradizione: letterario-teatrale (dialoghi, scansione scenica, performatività del filmico ecc), sonoro-musicale (musica di commento, musica di scena) e artistico-visivo (composizione del cadrage; scenografia, costumi, ambienti ecc), che si aggiungono e si fondono con quelli […] specifici del cinema” come, ad esempio, la dinamica tra filmico e profilmico, il montaggio, la colonna rumori, i segni di separazione tra le inquadrature e le sequenze. In virtù di questa struttura complessa, il testo filmico richiede un “duplice approccio: orizzontale, che valga a collegare gli elementi di superficie del testo e dove possono essere di grande aiuto […] le strumentazioni analitiche e tassonomiche della semiologia audiovisiva; verticale, che valga a collegare la superficie del testo, la sua grammatica, per così dire, con la sua struttura profonda e con il suo stesso processo di produzione […] in modo di arrivare a coglierne la totalità del senso, ovvero la molteplicità dei sensi e la predominanza storica degli uni (raramente dell'uno) sugli altri”.Il metodo filologico applicato alla filmologia produce la convergenza di filologia e critica. La prassi esegetica viene a essere strettamente connessa all'indagine microscopica del testo, che consente di vedere, calandosi nelle profondità, ciò che il film nasconde allo “spettatore di superficie”. Il critico-filologo, tuttavia, non può penetrare appieno il senso di un testo se si estrania dalla dimensione storica. Un testo, infatti, “si inserisce fra i gesti della società (inclusi gli altri testi) che gli è coeva”. Il critico-filologo dovrà dunque essere anche uno storico, capace di guardare dentro e fuori il testo, di cogliere le relazioni tra il testo e i sistemi sociali, filosofici, estetici e pragmatici in cui esso si immerge.L'applicazione di questo metodo, che Micciché sperimenta innanzitutto nella sua pratica di

Miccichè, N. (2002). Filmologia e filologia. Studi sul Cinema italiano. Venezia : Marsilio.

Filmologia e filologia. Studi sul Cinema italiano

2002-01-01

Abstract

Il volume raccoglie i risultati di un quinquennio di studi dedicati all'analisi del film. La prospettiva in cui si muove Micciché è quella di una necessaria combinazione tra la tradizione filologica, applicata solo recentemente al cinema, e la pratica critica e storiografica. Con la parola filmologia l'autore, stando strettamente all'etimo, indica il discorso critico sul film, a prescindere dalle originarie connotazioni del termine introdotto da Gilbert Cohen-Séat negli anni Quaranta. L'approccio filologico costituisce la base di quello filmologico. Compito dell'analista è innanzitutto stabilire la "certezza" del testo, che, in campo cinematografico, pone problemi non meno complessi che negli altri ambiti artistici, dovuti alla precarietà del supporto e alla sua non adeguata conservazione, alla molteplicità delle copie e delle versioni in circolazione, alla alterazione dei formati e delle copie nella trasmissione televisiva e nei VHS e DVD, definiti da Micciché “videosimulacri” dei testi originari.Dopo la fase ecdotica della ricerca - che solo negli ultimi anni le cineteche stanno perseguendo, senza, tuttavia, aver ancora fissato una base normativo-culturale per le pratiche di preservazione e restauro - si procede all'analisi filologica vera e propria, che consiste in una operazione di destrutturazione e vivisezione del testo, condotta attraverso gli strumenti della moviola, del videoregistratore o del lettore DVD. Questa pratica consente di radiografare tutti gli elementi di un testo “a struttura complessa” come quello filmico, composto di “tre distinti patrimoni segnici di grande tradizione: letterario-teatrale (dialoghi, scansione scenica, performatività del filmico ecc), sonoro-musicale (musica di commento, musica di scena) e artistico-visivo (composizione del cadrage; scenografia, costumi, ambienti ecc), che si aggiungono e si fondono con quelli […] specifici del cinema” come, ad esempio, la dinamica tra filmico e profilmico, il montaggio, la colonna rumori, i segni di separazione tra le inquadrature e le sequenze. In virtù di questa struttura complessa, il testo filmico richiede un “duplice approccio: orizzontale, che valga a collegare gli elementi di superficie del testo e dove possono essere di grande aiuto […] le strumentazioni analitiche e tassonomiche della semiologia audiovisiva; verticale, che valga a collegare la superficie del testo, la sua grammatica, per così dire, con la sua struttura profonda e con il suo stesso processo di produzione […] in modo di arrivare a coglierne la totalità del senso, ovvero la molteplicità dei sensi e la predominanza storica degli uni (raramente dell'uno) sugli altri”.Il metodo filologico applicato alla filmologia produce la convergenza di filologia e critica. La prassi esegetica viene a essere strettamente connessa all'indagine microscopica del testo, che consente di vedere, calandosi nelle profondità, ciò che il film nasconde allo “spettatore di superficie”. Il critico-filologo, tuttavia, non può penetrare appieno il senso di un testo se si estrania dalla dimensione storica. Un testo, infatti, “si inserisce fra i gesti della società (inclusi gli altri testi) che gli è coeva”. Il critico-filologo dovrà dunque essere anche uno storico, capace di guardare dentro e fuori il testo, di cogliere le relazioni tra il testo e i sistemi sociali, filosofici, estetici e pragmatici in cui esso si immerge.L'applicazione di questo metodo, che Micciché sperimenta innanzitutto nella sua pratica di
2002
88-317-8069-7
Miccichè, N. (2002). Filmologia e filologia. Studi sul Cinema italiano. Venezia : Marsilio.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/268862
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