Distinguere e illustrare un concetto-chiave della poetica e della speculazione teorica tartiniana come quello di imitazione della natura è un’impresa tanto ardua quanto gratificante. Grazie alle ricerche e all’acume di molti studiosi siamo ormai in grado di valutare con maggior chiarezza che in passato l’intricata trama delle relazioni intercorse fra la dottrina del ‘Maestro delle Nazioni’ e quella (per limitarci a pochi nomi significativi) di D’Alembert, Rousseau, Algarotti, Arteaga, Carli, Grimm, Martini, G. Riccati, Rameau, Serre, Vallotti; e dunque di procedere ancora verso un ulteriore chiarimento dei caratteri distintivi ed essenziali del pensiero di Tartini proprio attraverso il puntuale confronto analitico con le posizioni filosofiche, scientifiche o artistiche di questi o di altri illustri contemporanei. Attraversata dalle più vivaci correnti speculative della sua epoca, la riflessione tartiniana conserva tuttavia anche un evidente, spesso polemico tono di inattualità, che non va misconosciuto. La celebre e discussa testimonianza del Fanzago (“potrebbe darsi ch'essendo egli studiosissimo di Platone leggesse il Petrarca per vagheggiare le immagini di quel Filosofo Poeta in un Poeta Filosofo”) potrebbe quindi fornirci un’ipotesi ermeneutica alternativa e globale, atta se non altro a scongiurare il rischio di appiattire indebitamente l’estetica del compositore - e in particolar modo la sua personale declinazione dei concetti di natura, imitazione e imitazione della natura - su quella degli enciclopedisti e dei philosophes. Un titolo quale Scienza platonica fondata nel cerchio non lascia alcun dubbio sull’orientamento filosofico dell’autore, la cui concezione ‘timaica’ della Natura e dell’Arte può essere facilmente spiegata ricordando che egli trascorse la maggior parte della vita in quell’ambiente francescano che, com’è noto, è sempre stato il più saldo baluardo del platonismo in Occidente. D’altra parte, pur senza rinnegarne i presupposti teoretici, fu lo stesso Tartini che volle temperare il rigore dogmatico di questa inattuale scienza platonica ammettendo lucidamente (per es., nella Prefazione De’ principj dell’Armonia musicale contenuta nel diatonico genere) di aver costruito le proprie tesi non su un unico, ma su ben “tre diversi fondamenti, quali sono il fisico, il dimostrativo, e il pratico musicale: cosa, per cui l’autore non ha potuto obbligarsi ad un metodo rigoroso, ma obbliga bensì chi legge a particolare attenzione <...> giacché falso è certamente qualunque musicale sistema, che non regge alla prova dei tre suddetti fondamenti congiunti”. Proprio a quest’originale strategia euristica - che mira in primo luogo alla sinergica concordanza dei diversi livelli di interpretazione di uno stesso fenomeno complesso quale è il suono - vanno imputate le oscillazioni semantiche del termine natura nella trattatistica tartiniana; e, di riflesso, anche la palese impossibilità di evidenziarvi formulazioni non equivoche di quel concetto di imitatio naturae attorno a cui continuarono a gravitare tutte le principali poetiche del secolo diciottesimo. Lungi dal costituire un ostacolo o una manchevolezza, la polivalenza assunta da tale concetto nella riflessione del piranese costituisce però la miglior garanzia della vastità, della profondità e della fecondità del terreno culturale in cui essa affondò le proprie radici. Non foss’altro che per la sua fede in un mistico geometrismo, Tartini potrebbe essere ritenuto l’erede legittimo di quel naturalismo platonizzante francescano di marca squisitamente veneta che trovò le più pregnanti espressioni negli scritti di Francesco Patrizi e Gioseffo Zarlino: è ben vero però che a tale anacronistica metafisica egli non tributò un assenso incondizionato, assumendola semmai soltanto come il necessario, inevitabile contrappeso alle più smodate tendenze soggettivistiche,nominalistiche e relativistiche della sua epoca. Impegnato in un dialogo e in un confronto incessante coi contemporanei, Tartini avviò un’utopistica politica di conciliazione fra anciens e modernes la cui grandezza fu pari soltanto alla temerarietà, forse non del tutto consapevole, con la quale egli tentò di amalgamare la propria ‘scienza platonica’ con i moderni concetti estetici e ‘antimetafisici’ di gusto e di sentimento.

Guanti, G. (2002). La Natura nel sogno platonizzante di Giuseppe Tartini. In Tartini ‘Maestro delle nazioni’, Atti del Convegno Internazionale di Pirano (7-8 aprile 2001), a cura di Metoda Kokole (pp. 51-69). LJUBLJANA : Casa Editrice ZRC.

La Natura nel sogno platonizzante di Giuseppe Tartini

GUANTI, GIOVANNI
2002-01-01

Abstract

Distinguere e illustrare un concetto-chiave della poetica e della speculazione teorica tartiniana come quello di imitazione della natura è un’impresa tanto ardua quanto gratificante. Grazie alle ricerche e all’acume di molti studiosi siamo ormai in grado di valutare con maggior chiarezza che in passato l’intricata trama delle relazioni intercorse fra la dottrina del ‘Maestro delle Nazioni’ e quella (per limitarci a pochi nomi significativi) di D’Alembert, Rousseau, Algarotti, Arteaga, Carli, Grimm, Martini, G. Riccati, Rameau, Serre, Vallotti; e dunque di procedere ancora verso un ulteriore chiarimento dei caratteri distintivi ed essenziali del pensiero di Tartini proprio attraverso il puntuale confronto analitico con le posizioni filosofiche, scientifiche o artistiche di questi o di altri illustri contemporanei. Attraversata dalle più vivaci correnti speculative della sua epoca, la riflessione tartiniana conserva tuttavia anche un evidente, spesso polemico tono di inattualità, che non va misconosciuto. La celebre e discussa testimonianza del Fanzago (“potrebbe darsi ch'essendo egli studiosissimo di Platone leggesse il Petrarca per vagheggiare le immagini di quel Filosofo Poeta in un Poeta Filosofo”) potrebbe quindi fornirci un’ipotesi ermeneutica alternativa e globale, atta se non altro a scongiurare il rischio di appiattire indebitamente l’estetica del compositore - e in particolar modo la sua personale declinazione dei concetti di natura, imitazione e imitazione della natura - su quella degli enciclopedisti e dei philosophes. Un titolo quale Scienza platonica fondata nel cerchio non lascia alcun dubbio sull’orientamento filosofico dell’autore, la cui concezione ‘timaica’ della Natura e dell’Arte può essere facilmente spiegata ricordando che egli trascorse la maggior parte della vita in quell’ambiente francescano che, com’è noto, è sempre stato il più saldo baluardo del platonismo in Occidente. D’altra parte, pur senza rinnegarne i presupposti teoretici, fu lo stesso Tartini che volle temperare il rigore dogmatico di questa inattuale scienza platonica ammettendo lucidamente (per es., nella Prefazione De’ principj dell’Armonia musicale contenuta nel diatonico genere) di aver costruito le proprie tesi non su un unico, ma su ben “tre diversi fondamenti, quali sono il fisico, il dimostrativo, e il pratico musicale: cosa, per cui l’autore non ha potuto obbligarsi ad un metodo rigoroso, ma obbliga bensì chi legge a particolare attenzione <...> giacché falso è certamente qualunque musicale sistema, che non regge alla prova dei tre suddetti fondamenti congiunti”. Proprio a quest’originale strategia euristica - che mira in primo luogo alla sinergica concordanza dei diversi livelli di interpretazione di uno stesso fenomeno complesso quale è il suono - vanno imputate le oscillazioni semantiche del termine natura nella trattatistica tartiniana; e, di riflesso, anche la palese impossibilità di evidenziarvi formulazioni non equivoche di quel concetto di imitatio naturae attorno a cui continuarono a gravitare tutte le principali poetiche del secolo diciottesimo. Lungi dal costituire un ostacolo o una manchevolezza, la polivalenza assunta da tale concetto nella riflessione del piranese costituisce però la miglior garanzia della vastità, della profondità e della fecondità del terreno culturale in cui essa affondò le proprie radici. Non foss’altro che per la sua fede in un mistico geometrismo, Tartini potrebbe essere ritenuto l’erede legittimo di quel naturalismo platonizzante francescano di marca squisitamente veneta che trovò le più pregnanti espressioni negli scritti di Francesco Patrizi e Gioseffo Zarlino: è ben vero però che a tale anacronistica metafisica egli non tributò un assenso incondizionato, assumendola semmai soltanto come il necessario, inevitabile contrappeso alle più smodate tendenze soggettivistiche,nominalistiche e relativistiche della sua epoca. Impegnato in un dialogo e in un confronto incessante coi contemporanei, Tartini avviò un’utopistica politica di conciliazione fra anciens e modernes la cui grandezza fu pari soltanto alla temerarietà, forse non del tutto consapevole, con la quale egli tentò di amalgamare la propria ‘scienza platonica’ con i moderni concetti estetici e ‘antimetafisici’ di gusto e di sentimento.
2002
9616358561
Guanti, G. (2002). La Natura nel sogno platonizzante di Giuseppe Tartini. In Tartini ‘Maestro delle nazioni’, Atti del Convegno Internazionale di Pirano (7-8 aprile 2001), a cura di Metoda Kokole (pp. 51-69). LJUBLJANA : Casa Editrice ZRC.
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