Affrontando il problema della lingua nel De vulgari eloquentia, Dante deve prendere coscienza in un modo che sembra chiarirsi e approfondirsi nel corso dell'opera, del carattere estremamente degradato e confuso delle lingue. Ma i dialetti non si combattono presentando una lingua artificiale che poi soltanto i sapienti conoscerebbero, e nemmeno si combattono cercando di scegliere al loro interno parole più raffinate: i dialetti in effetti, non si possono annullare in favore di una lingua illustre e pura. Ciò avviene per tanti motivi ma prima di tutto perchè Dio ha punito l'uomo, troppo orgoglioso e tracotante, allontanandolo dalla propria lingua e impedendogli una lingua universale. Il nostro parlare è babelico, confuso, degradato. Ma c'è un dire che esce da questo schema: è quello costituito dal dire poetico, che si pone in un ambito di significati e di suoni capace di coprire tutto l'essere e di manifestarlo in un modo bello. Ma se questo modo è bello, bello non può che essere anche quello della lingua divina: dunque il bello della poesia conserva in sé qualcosa di divino. Fare poesia è dire l'essere attingendo in qualche misura all'eterno: in questo senso è anche un'espressione dell'intelligenza divina.
Gessani, A. (2005). Dante: la lingua di Dio e la poesia. In Forma e memoria. Scritti in onore di Vittorio Stella (pp. 275-296). MACERATA : Quodlibet.
Dante: la lingua di Dio e la poesia
GESSANI, Alberto
2005-01-01
Abstract
Affrontando il problema della lingua nel De vulgari eloquentia, Dante deve prendere coscienza in un modo che sembra chiarirsi e approfondirsi nel corso dell'opera, del carattere estremamente degradato e confuso delle lingue. Ma i dialetti non si combattono presentando una lingua artificiale che poi soltanto i sapienti conoscerebbero, e nemmeno si combattono cercando di scegliere al loro interno parole più raffinate: i dialetti in effetti, non si possono annullare in favore di una lingua illustre e pura. Ciò avviene per tanti motivi ma prima di tutto perchè Dio ha punito l'uomo, troppo orgoglioso e tracotante, allontanandolo dalla propria lingua e impedendogli una lingua universale. Il nostro parlare è babelico, confuso, degradato. Ma c'è un dire che esce da questo schema: è quello costituito dal dire poetico, che si pone in un ambito di significati e di suoni capace di coprire tutto l'essere e di manifestarlo in un modo bello. Ma se questo modo è bello, bello non può che essere anche quello della lingua divina: dunque il bello della poesia conserva in sé qualcosa di divino. Fare poesia è dire l'essere attingendo in qualche misura all'eterno: in questo senso è anche un'espressione dell'intelligenza divina.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.