Una vasta letteratura è tornata di recente ad occuparsi di quartieri. In parte, perché sono diventati oggetto di politiche che, in contrasto con la settorialità degli interventi precedenti, hanno enfatizzato l’aspetto di “arealità” delle iniziative pubbliche (Jacquier, 1991; Balducci, 2001; SEU 2001; Cremaschi, 2003). Un altro motivo di interesse deriva dal fatto che i quartieri rappresentano un terreno comune a soggetti sociali diversi, nonostante la crescente segregazione della popolazione sfavorita (Buck, 2001; Galster, 2001); e nonostante il fatto che gli effetti della localizzazione residenziale sui destini individuali siano spesso sopravvalutati o risultino meno evidenti di quanto mantenuto nel common wisdom (Ellen e Turner, 1997; Lupton, 2003; Friedrichs et al., 2003). Un altro motivo ancora riguarda la manifestazione del cambiamento: i quartieri infatti mostrano l’intersezione tra i cambiamenti sociali ed economici che investono le città, tra le logiche della situazione quotidiana e quelle che influenzano (e spesso confondono) le scale geografiche dei fenomeni, con una tensione fertile che riapre a questa scala la ricerca fenomenologia sui mondi e vitali (Blokland, 2001; Amin e Thrift, 2002; Hoffman, 2003). Come spesso accade in questi cicli culturali (Cremaschi, 2007), risultati pur singolarmente apprezzabili producono, non di rado, esiti cumulati poco incisivi. Sedimentano inoltre banalizzazioni e semplificazioni poco desiderabili. In tutto ciò, soprattutto, non è messa in discussione la natura del quartiere rispetto alle nozioni di “microcosmo organizzato” sedimentate nella tradizione sociologica e urbanistica. La ricerca1 che qui si presenta attraverso una prima esplorazione della letteratura cerca di affrontare questi temi, esplorando la costruzione dei legami di convivenza a livello locale “nella città che cambia”. Questa domanda è affrontata in un certo numero di casi studio nelle tre maggiori città italiane (Napoli, Roma, Milano). I casi riguardano “quartieri” e percorsi di trasformazione abbastanza diversi che sintetizziamo provvisoriamente nella tabella riportata in fondo. Le parole chiave sono tre: quartiere; convivenza; cambiamento. Il primo termine è il più problematico. La nozione stessa di quartiere è incerta, una “scatola nera” (Germain, 2005) di cui poco si conosce la natura, gli effetti e il ruolo nelle politiche; in più, è oggetto di profonde trasformazioni. Come è noto, da tempo è stato messo in dubbio che esista – nonostante la perdurante forza del riferimento – una dimensione autonoma e distinta rispetto ai legami interpersonali da un lato; e al legame sociale nel suo insieme dall’altro. Ciononostante, il quartiere sembra oggi conoscere una nuova fortuna, mantiene la sua storica incidenza sulla identità personale, e sperimenta un revival grazie ai complessi processi di rinnovo urbano. Al momento, teniamo ferma una definizione preliminare, in parte discussa nelle pagine che seguono, che intende i quartieri come l’esito dell’incrocio tra pratiche sociali locali che hanno in comune l’orientamento alla convivenza di gruppi e “popolazioni” diverse. La seconda parola chiave, convivenza, allude al legame sociale che si crea intorno alla dimensione “abitativa”, nel senso non solo del risiedere in un luogo, ma della più ampia pratica di appartenenza a (belonging), e fare propri2, luoghi e relazioni. L’intreccio tra pratiche di appartenenza e appropriazione è fortemente influenzato da elementi locali, di contesto, che tendono a definire esiti complessi e molto differenziati. E anche da politiche pubbliche e locali, sempre più influenti sui modi della socializzazione, e sulla (eventuale) ricostruzione di legami sociali a livello locale. La ricerca si svolge dunque costruendo diverse storie di trasformazioni locali su un comune modello di analisi. Le componenti concettuali del “modello” – su cui torneremo più avanti – sono tre: l’habitat di significato, le pratiche sociali e le rappresentazioni (tra cui le politiche). Infine, i casi esplorano questo intreccio a partire da diversi punti di attacco del processo di cambiamento, che a volte è il frutto di processi endogeni, altre il riflesso di fenomeni più vasti, talvolta infine l’esito di politiche che mirano in specifico ai “quartieri”. Misurarsi con il cambiamento di un quartiere non è del tutto arbitrario. È in fin dei conti il cambiamento di una porzione limitata di territorio, per lo più edificato, e degli abitanti che lo usano “sia simbolicamente che praticamente” (Blokland, 2003). La densità di rimandi tra pratiche e significati è una delle ragioni – non recente (Noschis, 1984) – che giustifica una certa curiosità e dà origine anche a questa ricerca. In un dibattito che è acceso e non certo concluso, appare ai più che la società si dissolva, si liquefi da un lato e si globalizzi dall’altro; e che lo spazio venga ristretto, frammentato, o proiettato su scale diverse. Ripartire dal quartiere vuol dire confrontarsi invece con una dimensione riottosa a queste innovazioni; interrogare lo stato delle forme di vita nelle diverse possibili combinazioni; e chiedersi quali siano gli effetti specifici delle trasformazioni economiche o culturali. La ricerca consiste quindi in studi di caso, nella ricostruzione e critica delle categorie interprative, e nella discussione (iniziale) dei modelli di cambiamento. A questo scopo, un certo grado di disomogeneità tra i casi appare inevitabile, né sembra problematico partire da punti di vista diversi. La questione riguarda meno la definizione dei punti di vista (pratiche, politiche, dinamiche), o dei singoli componenti (area, comportamenti, motivazioni); che non le relazioni poste tra questi, che caratterizzano i modelli di cambiamento. A questo fine, le pagine che seguono riportano i materiali della prima riflessione esplorativa della letteratura recente.
Cremaschi, M. (2007). Quartieri che cambiano: un’agenda di ricerca. In V.F. A. BALDUCCI (a cura di), I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca (pp. 53-75). MILANO : FrancoAngeli.
Quartieri che cambiano: un’agenda di ricerca
CREMASCHI, Marco
2007-01-01
Abstract
Una vasta letteratura è tornata di recente ad occuparsi di quartieri. In parte, perché sono diventati oggetto di politiche che, in contrasto con la settorialità degli interventi precedenti, hanno enfatizzato l’aspetto di “arealità” delle iniziative pubbliche (Jacquier, 1991; Balducci, 2001; SEU 2001; Cremaschi, 2003). Un altro motivo di interesse deriva dal fatto che i quartieri rappresentano un terreno comune a soggetti sociali diversi, nonostante la crescente segregazione della popolazione sfavorita (Buck, 2001; Galster, 2001); e nonostante il fatto che gli effetti della localizzazione residenziale sui destini individuali siano spesso sopravvalutati o risultino meno evidenti di quanto mantenuto nel common wisdom (Ellen e Turner, 1997; Lupton, 2003; Friedrichs et al., 2003). Un altro motivo ancora riguarda la manifestazione del cambiamento: i quartieri infatti mostrano l’intersezione tra i cambiamenti sociali ed economici che investono le città, tra le logiche della situazione quotidiana e quelle che influenzano (e spesso confondono) le scale geografiche dei fenomeni, con una tensione fertile che riapre a questa scala la ricerca fenomenologia sui mondi e vitali (Blokland, 2001; Amin e Thrift, 2002; Hoffman, 2003). Come spesso accade in questi cicli culturali (Cremaschi, 2007), risultati pur singolarmente apprezzabili producono, non di rado, esiti cumulati poco incisivi. Sedimentano inoltre banalizzazioni e semplificazioni poco desiderabili. In tutto ciò, soprattutto, non è messa in discussione la natura del quartiere rispetto alle nozioni di “microcosmo organizzato” sedimentate nella tradizione sociologica e urbanistica. La ricerca1 che qui si presenta attraverso una prima esplorazione della letteratura cerca di affrontare questi temi, esplorando la costruzione dei legami di convivenza a livello locale “nella città che cambia”. Questa domanda è affrontata in un certo numero di casi studio nelle tre maggiori città italiane (Napoli, Roma, Milano). I casi riguardano “quartieri” e percorsi di trasformazione abbastanza diversi che sintetizziamo provvisoriamente nella tabella riportata in fondo. Le parole chiave sono tre: quartiere; convivenza; cambiamento. Il primo termine è il più problematico. La nozione stessa di quartiere è incerta, una “scatola nera” (Germain, 2005) di cui poco si conosce la natura, gli effetti e il ruolo nelle politiche; in più, è oggetto di profonde trasformazioni. Come è noto, da tempo è stato messo in dubbio che esista – nonostante la perdurante forza del riferimento – una dimensione autonoma e distinta rispetto ai legami interpersonali da un lato; e al legame sociale nel suo insieme dall’altro. Ciononostante, il quartiere sembra oggi conoscere una nuova fortuna, mantiene la sua storica incidenza sulla identità personale, e sperimenta un revival grazie ai complessi processi di rinnovo urbano. Al momento, teniamo ferma una definizione preliminare, in parte discussa nelle pagine che seguono, che intende i quartieri come l’esito dell’incrocio tra pratiche sociali locali che hanno in comune l’orientamento alla convivenza di gruppi e “popolazioni” diverse. La seconda parola chiave, convivenza, allude al legame sociale che si crea intorno alla dimensione “abitativa”, nel senso non solo del risiedere in un luogo, ma della più ampia pratica di appartenenza a (belonging), e fare propri2, luoghi e relazioni. L’intreccio tra pratiche di appartenenza e appropriazione è fortemente influenzato da elementi locali, di contesto, che tendono a definire esiti complessi e molto differenziati. E anche da politiche pubbliche e locali, sempre più influenti sui modi della socializzazione, e sulla (eventuale) ricostruzione di legami sociali a livello locale. La ricerca si svolge dunque costruendo diverse storie di trasformazioni locali su un comune modello di analisi. Le componenti concettuali del “modello” – su cui torneremo più avanti – sono tre: l’habitat di significato, le pratiche sociali e le rappresentazioni (tra cui le politiche). Infine, i casi esplorano questo intreccio a partire da diversi punti di attacco del processo di cambiamento, che a volte è il frutto di processi endogeni, altre il riflesso di fenomeni più vasti, talvolta infine l’esito di politiche che mirano in specifico ai “quartieri”. Misurarsi con il cambiamento di un quartiere non è del tutto arbitrario. È in fin dei conti il cambiamento di una porzione limitata di territorio, per lo più edificato, e degli abitanti che lo usano “sia simbolicamente che praticamente” (Blokland, 2003). La densità di rimandi tra pratiche e significati è una delle ragioni – non recente (Noschis, 1984) – che giustifica una certa curiosità e dà origine anche a questa ricerca. In un dibattito che è acceso e non certo concluso, appare ai più che la società si dissolva, si liquefi da un lato e si globalizzi dall’altro; e che lo spazio venga ristretto, frammentato, o proiettato su scale diverse. Ripartire dal quartiere vuol dire confrontarsi invece con una dimensione riottosa a queste innovazioni; interrogare lo stato delle forme di vita nelle diverse possibili combinazioni; e chiedersi quali siano gli effetti specifici delle trasformazioni economiche o culturali. La ricerca consiste quindi in studi di caso, nella ricostruzione e critica delle categorie interprative, e nella discussione (iniziale) dei modelli di cambiamento. A questo scopo, un certo grado di disomogeneità tra i casi appare inevitabile, né sembra problematico partire da punti di vista diversi. La questione riguarda meno la definizione dei punti di vista (pratiche, politiche, dinamiche), o dei singoli componenti (area, comportamenti, motivazioni); che non le relazioni poste tra questi, che caratterizzano i modelli di cambiamento. A questo fine, le pagine che seguono riportano i materiali della prima riflessione esplorativa della letteratura recente.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.