La dizione di riformismo in urbanistica allude, da un lato, a tradizioni di pensiero con radici ottocentesche accomunate dalla convinzione che agire sull’ambiente urbano (Crosta 1975) corregga le disparità economiche e sociali; e dall’altro, ad una famiglia di pratiche relative alla regolazione dell’uso dei suoli e, in particolare, al controllo della formazione della rendita immobiliare attraverso lo strumento dei piani regolatori. Quale che sia la combinazione di cui si rivendica l’eredità, non sarà difficile rintracciare elementi critici e disciplinari accoppiati ad orientamenti normativi e assunzioni di valore, che mutano con evidenti cicli e accentuazioni, nell’una o nell’altra direzione. Non c’è un singolo approccio riformista, da questo punto di vista ma tante ibridazioni di metodi, spunti etici e generalizzazioni empiriche, talvolta con pretese dottrinarie, raramente stabilizzate in più ampie formazioni discorsive. Per esempio, nello scorso trentennio si è diffuso un approccio comune alla gestione della trasformazione postindustriale in diversi paesi europei che, sotto nomi differenti (terza generazione, renaissance, eurocities…) ha promosso politiche, linguaggi, tecniche simili. Se si accetta questa definizione, non sfuggirà il carattere molto ‘costruito’ dell’oggetto –il riformismo in urbanistica- pervaso com’è di apporti eterogenei provenienti da influenze culturali, acquisizioni tecniche, rapporti di forza, credenze accumulate e gioco degli attori. Il ruolo dello stato, e il rapporto con la politica, sono -in questo approccio- il necessario correttivo ad alcuni palesi fallimenti del mercato. Questo aspetto naturalmente apparenta il riformismo urbanistico con il più vasto riformismo politico in opposizione al mercato nel merito, alle utopie nei mezzi o radicalità dei valori. Inutile sottolineare la rilevanza della distinzione tra le due tradizioni, almeno finché si resta sul piano critico e dottrinario: la distanza si riduce invece, quando si passa al piano delle pratiche. Reiterare la distinzione tra mercato, riformismo (o la più ‘virtuosa’ critica radicale) diventa però controproducente quando c’è incertezza o instabilità sui termini. Questo saggio prova a verificare il contenuto ‘riformista’ in alcuni casi, scelti perché più familiari a chi scrive, che mostrano l’usura delle categorie interpretative tradizionali. Sono vicende non secondarie (cessione d’immobili pubblici; orientamenti delle politiche abitative; coalizioni di sviluppo urbano; identità dei luoghi) nelle quali si evidenziano comuni nodi concettuali, questioni di metodo e stili d’approccio. In particolare, sembra di poter indicare un limite comune al modo di procedere storicamente ‘riformista’: una ‘cifra’ astratta e generalizzante, spesso vincolata ad una lettura statica e oppositiva. Affrontare questo nodo può aiutare a superare le critiche correnti -radicali e di mercato- che per difetto di simmetria replicano il limite senza correggere il tiro. Se la strategia argomentativa è valida, giudicherà chi legge dal punto d’arrivo. Quel che preme è indicare una strada per sostenere politiche più giuste, senza dover incorrere negli errori d’astrattezza, generalità, e semplificazione che sembrano essere l’abituale corredo logico (e il punto debole) delle argomentazioni ‘riformiste’ (e delle repliche d’altra ispirazione).

Cremaschi, M. (2007). Destra e sinistra: inciampi del riformismo in urbanistica. In S.M. A. LANZANI (a cura di), Città e azione pubblica, riformismo al plurale (pp. 19-26). ROMA : Carocci Editore.

Destra e sinistra: inciampi del riformismo in urbanistica

CREMASCHI, Marco
2007-01-01

Abstract

La dizione di riformismo in urbanistica allude, da un lato, a tradizioni di pensiero con radici ottocentesche accomunate dalla convinzione che agire sull’ambiente urbano (Crosta 1975) corregga le disparità economiche e sociali; e dall’altro, ad una famiglia di pratiche relative alla regolazione dell’uso dei suoli e, in particolare, al controllo della formazione della rendita immobiliare attraverso lo strumento dei piani regolatori. Quale che sia la combinazione di cui si rivendica l’eredità, non sarà difficile rintracciare elementi critici e disciplinari accoppiati ad orientamenti normativi e assunzioni di valore, che mutano con evidenti cicli e accentuazioni, nell’una o nell’altra direzione. Non c’è un singolo approccio riformista, da questo punto di vista ma tante ibridazioni di metodi, spunti etici e generalizzazioni empiriche, talvolta con pretese dottrinarie, raramente stabilizzate in più ampie formazioni discorsive. Per esempio, nello scorso trentennio si è diffuso un approccio comune alla gestione della trasformazione postindustriale in diversi paesi europei che, sotto nomi differenti (terza generazione, renaissance, eurocities…) ha promosso politiche, linguaggi, tecniche simili. Se si accetta questa definizione, non sfuggirà il carattere molto ‘costruito’ dell’oggetto –il riformismo in urbanistica- pervaso com’è di apporti eterogenei provenienti da influenze culturali, acquisizioni tecniche, rapporti di forza, credenze accumulate e gioco degli attori. Il ruolo dello stato, e il rapporto con la politica, sono -in questo approccio- il necessario correttivo ad alcuni palesi fallimenti del mercato. Questo aspetto naturalmente apparenta il riformismo urbanistico con il più vasto riformismo politico in opposizione al mercato nel merito, alle utopie nei mezzi o radicalità dei valori. Inutile sottolineare la rilevanza della distinzione tra le due tradizioni, almeno finché si resta sul piano critico e dottrinario: la distanza si riduce invece, quando si passa al piano delle pratiche. Reiterare la distinzione tra mercato, riformismo (o la più ‘virtuosa’ critica radicale) diventa però controproducente quando c’è incertezza o instabilità sui termini. Questo saggio prova a verificare il contenuto ‘riformista’ in alcuni casi, scelti perché più familiari a chi scrive, che mostrano l’usura delle categorie interpretative tradizionali. Sono vicende non secondarie (cessione d’immobili pubblici; orientamenti delle politiche abitative; coalizioni di sviluppo urbano; identità dei luoghi) nelle quali si evidenziano comuni nodi concettuali, questioni di metodo e stili d’approccio. In particolare, sembra di poter indicare un limite comune al modo di procedere storicamente ‘riformista’: una ‘cifra’ astratta e generalizzante, spesso vincolata ad una lettura statica e oppositiva. Affrontare questo nodo può aiutare a superare le critiche correnti -radicali e di mercato- che per difetto di simmetria replicano il limite senza correggere il tiro. Se la strategia argomentativa è valida, giudicherà chi legge dal punto d’arrivo. Quel che preme è indicare una strada per sostenere politiche più giuste, senza dover incorrere negli errori d’astrattezza, generalità, e semplificazione che sembrano essere l’abituale corredo logico (e il punto debole) delle argomentazioni ‘riformiste’ (e delle repliche d’altra ispirazione).
2007
9788843042241
Cremaschi, M. (2007). Destra e sinistra: inciampi del riformismo in urbanistica. In S.M. A. LANZANI (a cura di), Città e azione pubblica, riformismo al plurale (pp. 19-26). ROMA : Carocci Editore.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/154249
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