Il suolo esprime una condizione di limite – geometrico e concettuale – dello spazio urbano. Numerosi studi hanno evidenziato l’interesse e l’utilità per il progetto urbano di misurarsi con lo spessore del suolo negli spazi aperti, mettendo in luce il potenziale spaziale delle increspature, degli slittamenti, delle pieghe, dei leggerissimi cambi di quota. Non si intende qui riprenderne gli argomenti, ma spingersi al limite dell’assoluta bidimensionalità, dove nessuna ordinata, neppure minima, possa aiutare a definire uno spessore in termini geometrici. Lo spessore cui ci si vuol riferire è perciò del tutto immateriale e aleatorio, non misurabile con gli strumenti della geometria ma con quelli dell’immaginazione e ciò nonostante (o proprio per questo) in grado di generare spazio: è lo spazio definito tra il piano di calpestio della città e le azioni, i comportamenti, le situazioni che si producono quando il piano viene abitato, giacché la superficie acquista spessore alla sola condizione che sia attivata. In tal senso lo spessore è sempre mutevole: è prodotto dall’affastellarsi di stratificazioni bidimensionali di segni, linguaggi, codici, significati, materiali, situazioni, comportamenti. Tra spazi aperti delle città, i parcheggi a raso più di altri possono esemplificare le potenzialità della superficie urbana con spessore on demand. I parcheggi, in genere luoghi urbani negletti o subalterni, possono essere campo privilegiato per verificare alcuni tra i paradigmi più ricorrenti nel progetto degli spazi pubblici contemporanei: la molteplicità di identità, estetiche, vocazioni, usi contenute in un piano bidimensionale, nella città alta zero.
Metta, A. (2012). Lo spessore della città alta zero. In M.S. DE MATTEIS F (a cura di), Nello spessore. Traiettorie e stanze dentro la città (pp. 85-96). Roma : Hortusbooks, Edizioni Nuova Cultura [10.4458/8660].
Lo spessore della città alta zero
METTA, ANNALISA
2012-01-01
Abstract
Il suolo esprime una condizione di limite – geometrico e concettuale – dello spazio urbano. Numerosi studi hanno evidenziato l’interesse e l’utilità per il progetto urbano di misurarsi con lo spessore del suolo negli spazi aperti, mettendo in luce il potenziale spaziale delle increspature, degli slittamenti, delle pieghe, dei leggerissimi cambi di quota. Non si intende qui riprenderne gli argomenti, ma spingersi al limite dell’assoluta bidimensionalità, dove nessuna ordinata, neppure minima, possa aiutare a definire uno spessore in termini geometrici. Lo spessore cui ci si vuol riferire è perciò del tutto immateriale e aleatorio, non misurabile con gli strumenti della geometria ma con quelli dell’immaginazione e ciò nonostante (o proprio per questo) in grado di generare spazio: è lo spazio definito tra il piano di calpestio della città e le azioni, i comportamenti, le situazioni che si producono quando il piano viene abitato, giacché la superficie acquista spessore alla sola condizione che sia attivata. In tal senso lo spessore è sempre mutevole: è prodotto dall’affastellarsi di stratificazioni bidimensionali di segni, linguaggi, codici, significati, materiali, situazioni, comportamenti. Tra spazi aperti delle città, i parcheggi a raso più di altri possono esemplificare le potenzialità della superficie urbana con spessore on demand. I parcheggi, in genere luoghi urbani negletti o subalterni, possono essere campo privilegiato per verificare alcuni tra i paradigmi più ricorrenti nel progetto degli spazi pubblici contemporanei: la molteplicità di identità, estetiche, vocazioni, usi contenute in un piano bidimensionale, nella città alta zero.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.