Molte delle città nel mondo ricominciano a crescere (ma non in Italia, e non nei casi che citeremo, e questo dovrebbe porre qualche interrogativo), pur restando alle prese con i vecchi problemi di trasporti, casa, ambiente, e in più con bilanci in affanno nell’aggravarsi inoltre delle condizioni sociali dovute alla crisi e alla crescente esposizione internazionale. Eppure queste trasformazioni, come pure le innovazioni strategiche, intrecciano esiti e problemi manifestando combinazioni sempre più complesse. Brevemente, si può ricordare che questa problematica si pone a seguito di un ventennio durante il quale sono avvenute una serie di ridefinizioni del ruolo dell’operatore pubblico, in particolare riguardo al territorio: le amministrazioni regolano meno, e intraprendono meno iniziative ; attività e regolazioni sono privatizzate (ma di alcune si comincia a intravedere un processo di ripubblicizzazione: Germ’a e Warner 2009); iniziative e regole sono variamente ridistribuite tra le scale di governo, e mentre alcune sono decentralizzate, altre tornano al centro. Si può dubitare che la combinazione risulta sia effettiva: anzi, sembra per certi versi contrastare la configurazione urbana emergente, condizione per politiche di sviluppo efficaci (Calafati 2009). In questa congiuntura, si ricorre ai piani strategici per affrontare insieme vecchi problemi e nuovi trends. Si pongono contemporaneamente problemi di ristrutturazione cognitiva, riformulazione teorica e di stile di governo. Il governo locale dovrebbe, infatti, operare una rottura delle tematizzazioni consuete; ricorrere a un forte envisioning; ricombinare leadership politica, creatività imprenditoriale, e capacità sociali (Perulli 2007). A questo fine, mutano i requisiti dell’agire collettivo con una parziale sintonia non priva di problemi con stili di governo emergenti: un forte pragmatismo, personalizzazione del rapporto con l’elettorato, attivazione di network istituzionali a più livelli… In sintesi, un sovraccarico di aspettative che pretende contemporaneamente prestazioni contraddittorie: azioni strategiche e selettive, azzardi e accountability, efficienza e riflessività, risparmi e investimenti… Se queste sono le premesse, i risultati finora registrati non sono sempre all’altezza delle aspettative, con poche eccezioni nei casi migliori, e meno che mai nelle non numerose esperienze del Mezzogiorno. Siamo lontani dalle promesse del modello strategico, variamente descritto e celebrato da una crescente letteratura recente. In molte città, soprattutto ma non solo al Mezzogiorno, mancano gli ingredienti base dello sviluppo: la politica è debole, la società distratta o rassegnata (ma non sempre; anzi, questo è l’aspetto che ha permesso dei colpi di reni in più di un caso), il mercato assente, la tecnica futile o catturata in circuiti particolaristici (La Spina 2005). Conseguentemente, la pianificazione strategica evidenzia problemi generali di questa fase: il carattere adattivo e contingente della politica; la debolezza delle intenzioni; l’occasionalità dei programmi; il peso delle dinamiche clientelari, della corruzione, degli interessi illegali; l’intermittenza dei processi di attivazione; la collusione, irrilevanza o marginalizzazione dei tecnici. In questa situazione instabile e discontinua mancano dunque i presupposti del consolidamento dei dispositivi strategici: è difficile cioè che emerga una finalità comune intorno alla quale si aggiustino nel tempo le condotte individuali. Anzi, il più delle volte, si può parlare di strategia solo a mo’ di paradosso: un orientamento di compromesso, che mantiene finalità plurali corrispondenti ad arene decisionali fluide; la combinazione d’iniziative diverse, con un consapevole eclettismo opportunista di fronte a panorami comunque ritenuti incerti; nei casi migliori, ma comunque tra le molte altre poste, un accettabile azzardo con alcuni vincoli regolativi. In altre parole, l’incertezza tecnico-previsiva e la delegittimazione della politica inficiano le promesse dei piani strategici. Sembra di poter affermare che in molti casi, del Nord e del Sud, invece che di una stagione strategica, abbiamo avuto qualche avvisaglia di una stagione opportunista, in cui comportamenti innovativi e, al contrario, adattamenti mimetici si sono variamente combinati.
Cremaschi, M. (2011). Strumenti fragili, strategie incapaci: per un ripensamento. In Vinci Ignazio (a cura di), PIANIFICAZIONE STRATEGICA IN CONTESTI FRAGILI (pp. 125-132). FIRENZE : Alinea Editrice.
Strumenti fragili, strategie incapaci: per un ripensamento
CREMASCHI, Marco
2011-01-01
Abstract
Molte delle città nel mondo ricominciano a crescere (ma non in Italia, e non nei casi che citeremo, e questo dovrebbe porre qualche interrogativo), pur restando alle prese con i vecchi problemi di trasporti, casa, ambiente, e in più con bilanci in affanno nell’aggravarsi inoltre delle condizioni sociali dovute alla crisi e alla crescente esposizione internazionale. Eppure queste trasformazioni, come pure le innovazioni strategiche, intrecciano esiti e problemi manifestando combinazioni sempre più complesse. Brevemente, si può ricordare che questa problematica si pone a seguito di un ventennio durante il quale sono avvenute una serie di ridefinizioni del ruolo dell’operatore pubblico, in particolare riguardo al territorio: le amministrazioni regolano meno, e intraprendono meno iniziative ; attività e regolazioni sono privatizzate (ma di alcune si comincia a intravedere un processo di ripubblicizzazione: Germ’a e Warner 2009); iniziative e regole sono variamente ridistribuite tra le scale di governo, e mentre alcune sono decentralizzate, altre tornano al centro. Si può dubitare che la combinazione risulta sia effettiva: anzi, sembra per certi versi contrastare la configurazione urbana emergente, condizione per politiche di sviluppo efficaci (Calafati 2009). In questa congiuntura, si ricorre ai piani strategici per affrontare insieme vecchi problemi e nuovi trends. Si pongono contemporaneamente problemi di ristrutturazione cognitiva, riformulazione teorica e di stile di governo. Il governo locale dovrebbe, infatti, operare una rottura delle tematizzazioni consuete; ricorrere a un forte envisioning; ricombinare leadership politica, creatività imprenditoriale, e capacità sociali (Perulli 2007). A questo fine, mutano i requisiti dell’agire collettivo con una parziale sintonia non priva di problemi con stili di governo emergenti: un forte pragmatismo, personalizzazione del rapporto con l’elettorato, attivazione di network istituzionali a più livelli… In sintesi, un sovraccarico di aspettative che pretende contemporaneamente prestazioni contraddittorie: azioni strategiche e selettive, azzardi e accountability, efficienza e riflessività, risparmi e investimenti… Se queste sono le premesse, i risultati finora registrati non sono sempre all’altezza delle aspettative, con poche eccezioni nei casi migliori, e meno che mai nelle non numerose esperienze del Mezzogiorno. Siamo lontani dalle promesse del modello strategico, variamente descritto e celebrato da una crescente letteratura recente. In molte città, soprattutto ma non solo al Mezzogiorno, mancano gli ingredienti base dello sviluppo: la politica è debole, la società distratta o rassegnata (ma non sempre; anzi, questo è l’aspetto che ha permesso dei colpi di reni in più di un caso), il mercato assente, la tecnica futile o catturata in circuiti particolaristici (La Spina 2005). Conseguentemente, la pianificazione strategica evidenzia problemi generali di questa fase: il carattere adattivo e contingente della politica; la debolezza delle intenzioni; l’occasionalità dei programmi; il peso delle dinamiche clientelari, della corruzione, degli interessi illegali; l’intermittenza dei processi di attivazione; la collusione, irrilevanza o marginalizzazione dei tecnici. In questa situazione instabile e discontinua mancano dunque i presupposti del consolidamento dei dispositivi strategici: è difficile cioè che emerga una finalità comune intorno alla quale si aggiustino nel tempo le condotte individuali. Anzi, il più delle volte, si può parlare di strategia solo a mo’ di paradosso: un orientamento di compromesso, che mantiene finalità plurali corrispondenti ad arene decisionali fluide; la combinazione d’iniziative diverse, con un consapevole eclettismo opportunista di fronte a panorami comunque ritenuti incerti; nei casi migliori, ma comunque tra le molte altre poste, un accettabile azzardo con alcuni vincoli regolativi. In altre parole, l’incertezza tecnico-previsiva e la delegittimazione della politica inficiano le promesse dei piani strategici. Sembra di poter affermare che in molti casi, del Nord e del Sud, invece che di una stagione strategica, abbiamo avuto qualche avvisaglia di una stagione opportunista, in cui comportamenti innovativi e, al contrario, adattamenti mimetici si sono variamente combinati.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.