-Nella seconda metà del XV secolo, dopo la definitiva espugnazione turca di Costantinopoli, nel disegno di riaffermazione dell’autorità papale che culminerà nel pontificato di Enea Silvio Piccolomini, rientrò in maniera essenziale una nuova percezione del titulus di Costantino. Il lavorio diplomatico e il progetto strategico del salvataggio occidentale di Bisanzio, nei due decenni successivi alla caduta di Costantinopoli, avevano e avrebbero avuto il preciso scopo di reintegrare nell’orbita d’influenza papale la titolarità ereditaria dei cesari bizantini, trasferita da Costantino in Oriente e mai estinta. La cattedra della sede di Pietro e lo scettro della cristianità orientale si sarebbero dovuti riunire simbolicamente in una ‘Nuova Bisanzio’, che avrebbe avuto la sua base a Roma e la sua testa di ponte a Mistrà. La portata, la finalità, le implicazioni, l’appassionata coralità di questo estremo tentativo di salvare dai turchi e riannettere all’Occidente il titolo di Costantino fino a qualche anno fa non erano state còlte sino in fondo né dagli studiosi di storia occidentale né da quelli di storia bizantina, per due motivi: perché tutto si svolse nell’angolo cieco tra la visione dell’una e dell’altra, oltre che alla cerniera tra Medioevo e Età Moderna; e inoltre perché quel tentativo risultò perdente, mentre la storia, si sa, è scritta dai vincitori. Il progetto fallì anche perché perirono l’uno dopo l’altro, in un brevissimo arco di tempo, i suoi principali sostenitori. Ma nei decenni in cui fu perseguito assistiamo a un vero e proprio revival della figura di Costantino e a un’accentuazione del primato simbolico e del portato giuridico del suo titolo, nella riflessione e nell’azione politica degli intellettuali umanisti, che si rispecchiò nelle committenze artistiche del tempo. Proprio Costantino è al centro della Battaglia di Costantino e Massenzio, il primo degli affreschi della Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca ad Arezzo. Lo stesso profilo, la stessa barba appuntita, l’identico copricapo si ritrovano attribuiti da Piero alla figura maschile assisa in trono che all’estrema sinistra della Flagellazione di Urbino apre l’apparentemente enigmatica sequenza dei personaggi del dipinto: la figura simbolica del Pilato neotestamentario, inteso nella sua qualità di rappresentante giuridico del potere romano, che l’opinione prevalente degli studiosi novecenteschi ha identificato con quella storica di Giovanni VIII Paleologo. Una lunga scia iconografica, che ha la sua espressione più emblematica e nota negli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo e nella sua Flagellazione, ma che è ben più diffusa e diversificata e si estende sino alla fine del Quattrocento e all’inizio del Cinquecento, moltiplicherà in questi decenni l’icona costantiniana nell’arte pittorica, ma anche in quella eminentemente libresca e umanistica della miniatura, e perfino nelle arti minori come la ceramica, conferendo all’immagine di Costantino i concreti tratti dei basileis bizantini del tempo e sottolineando sia l’indiscussa legittimità sia l’inestimabile valore politico del lascito dei cesari della Seconda Roma. Solo negli anni Settanta del Quattrocento, dopo che la mancata riunificazione ideologico-giuridica della Prima Roma con la Seconda divenne un dato di fatto irrefutabile e insormontabile, il passaggio del titulus di Costantino da un lato ai turchi osmani, dall’altro alla Terza Roma produrrà non solo l’eclissi di Bisanzio nell’autocoscienza politica dell’era moderna, ma anche una metamorfosi nella ricezione della figura storica del fondatore dell’Impero che si era affermata durante il suo revival umanistico.
Ronchey, S. (2013). Il titulus di Costantino tra conciliarismo, umanesimo e iconografia, II, 645-664.
Il titulus di Costantino tra conciliarismo, umanesimo e iconografia
RONCHEY, SILVIA
2013-01-01
Abstract
-Nella seconda metà del XV secolo, dopo la definitiva espugnazione turca di Costantinopoli, nel disegno di riaffermazione dell’autorità papale che culminerà nel pontificato di Enea Silvio Piccolomini, rientrò in maniera essenziale una nuova percezione del titulus di Costantino. Il lavorio diplomatico e il progetto strategico del salvataggio occidentale di Bisanzio, nei due decenni successivi alla caduta di Costantinopoli, avevano e avrebbero avuto il preciso scopo di reintegrare nell’orbita d’influenza papale la titolarità ereditaria dei cesari bizantini, trasferita da Costantino in Oriente e mai estinta. La cattedra della sede di Pietro e lo scettro della cristianità orientale si sarebbero dovuti riunire simbolicamente in una ‘Nuova Bisanzio’, che avrebbe avuto la sua base a Roma e la sua testa di ponte a Mistrà. La portata, la finalità, le implicazioni, l’appassionata coralità di questo estremo tentativo di salvare dai turchi e riannettere all’Occidente il titolo di Costantino fino a qualche anno fa non erano state còlte sino in fondo né dagli studiosi di storia occidentale né da quelli di storia bizantina, per due motivi: perché tutto si svolse nell’angolo cieco tra la visione dell’una e dell’altra, oltre che alla cerniera tra Medioevo e Età Moderna; e inoltre perché quel tentativo risultò perdente, mentre la storia, si sa, è scritta dai vincitori. Il progetto fallì anche perché perirono l’uno dopo l’altro, in un brevissimo arco di tempo, i suoi principali sostenitori. Ma nei decenni in cui fu perseguito assistiamo a un vero e proprio revival della figura di Costantino e a un’accentuazione del primato simbolico e del portato giuridico del suo titolo, nella riflessione e nell’azione politica degli intellettuali umanisti, che si rispecchiò nelle committenze artistiche del tempo. Proprio Costantino è al centro della Battaglia di Costantino e Massenzio, il primo degli affreschi della Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca ad Arezzo. Lo stesso profilo, la stessa barba appuntita, l’identico copricapo si ritrovano attribuiti da Piero alla figura maschile assisa in trono che all’estrema sinistra della Flagellazione di Urbino apre l’apparentemente enigmatica sequenza dei personaggi del dipinto: la figura simbolica del Pilato neotestamentario, inteso nella sua qualità di rappresentante giuridico del potere romano, che l’opinione prevalente degli studiosi novecenteschi ha identificato con quella storica di Giovanni VIII Paleologo. Una lunga scia iconografica, che ha la sua espressione più emblematica e nota negli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo e nella sua Flagellazione, ma che è ben più diffusa e diversificata e si estende sino alla fine del Quattrocento e all’inizio del Cinquecento, moltiplicherà in questi decenni l’icona costantiniana nell’arte pittorica, ma anche in quella eminentemente libresca e umanistica della miniatura, e perfino nelle arti minori come la ceramica, conferendo all’immagine di Costantino i concreti tratti dei basileis bizantini del tempo e sottolineando sia l’indiscussa legittimità sia l’inestimabile valore politico del lascito dei cesari della Seconda Roma. Solo negli anni Settanta del Quattrocento, dopo che la mancata riunificazione ideologico-giuridica della Prima Roma con la Seconda divenne un dato di fatto irrefutabile e insormontabile, il passaggio del titulus di Costantino da un lato ai turchi osmani, dall’altro alla Terza Roma produrrà non solo l’eclissi di Bisanzio nell’autocoscienza politica dell’era moderna, ma anche una metamorfosi nella ricezione della figura storica del fondatore dell’Impero che si era affermata durante il suo revival umanistico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.