Ogni società dispone di istituzioni per ricordare e di istituzioni per dimenticare. I musei sono nella società contemporanea un luogo per non dimenticare, un magazzino della memoria dove si delineano le identità etniche, le classificazioni storiche e naturali, dove si scrivono e riscrivono il passato e il presente delle nazioni. L’idea di museo, così come oggi è concepita, risale al primo umanesimo: come ricorda Scheicher (1979), è nei primi decenni del Quattrocento che stanze separate vengono adibite specificamente per l’esposizione delle collezioni. Nel Cinquecento poi inizia a consolidarsi l’idea di acquisire e trasmettere la conoscenza mediante collezioni di oggetti, organizzate secondo linee di classificazione di tipo enciclopedico. Attualmente i musei nel mondo sono più di 35.000 (Prösler, 1996) e la museologia è una disciplina in grande diffusione. Da più parti si analizza il ruolo che i musei rivestono nella costruzione delle identità nazionali, etniche, sulle modalità con cui i musei parlano del passato, intervengono nei processi di ricostruzione storica, scelgono di commemorare certi eventi e non altri. Soprattutto nei contesti urbani, ma non solo, i musei diventano o possono diventare luoghi di aggregazione sociale o, al contrario, di discriminazione etnica. Chiamati a spendere la loro autorità sulla rappresentazione di certi eventi, i musei possono decidere di parlare oppure di tacere. Ciò che fa la differenza è la nuova consapevolezza che si va acquisendo in riferimento all’autorità della forma museale, che è al contempo una forma mentis e una forma istituzionale. A questo proposito Macdonald (1995) parla di «effetto museo»: esso consiste nella capacità che l’istituzione ha di congelare un pezzo di storia sociale, di mummificare un oggetto, pietrificandolo per sempre nella sua funzione indicale rispetto ad una cultura o ad un periodo storico. Di fatto la scelta è già descrizione, come ricorda Amartya Sen (1982): scegliere di esporre nella teca un certo tipo di artefatti al posto di altri, può talora parlarci più della Weltanschauung dei curatori che della cultura oggetto dell’esposizione. Ciò si può verificare ad esempio nel caso delle mostre etniche, quando artefatti della cultura materiale di un popolo vengono esposti all’interno di una mostra: quello che per i Maori è un oggetto della vita quotidiana per il visitatore occidentale diviene un oggetto astratto, esotico, rivestito di un’aura sacrale, mummificato insomma in un’esperienza di fruizione estetica che non ci dice nulla dell’esperienza di un Maori rispetto a quell’oggetto. Questo genere di riflessioni si è intrecciato con il dibattito post-coloniale ed è stato al centro di ampie riflessioni anche all’interno delle scienze museali (ad esempio: Karp, Mullen Kreamer, Lavine, 1992; Riegel, 1996). Attualmente termini come «poetica e politica dell’allestimento museale» (Karp, Lavine, 1991) sono categorie analitiche correnti nella riflessione sociologica e non su questi temi. Ma esistono modelli sociologici di analisi dell’istituzione museo e del suo rapporto con il pubblico? Questo saggio propone una rassegna di tali modelli, documentandone l'efficacia analitica.

Tota, A.L. (2005). Sociologia de los museos. El museo como vivencia personal: propuestas. In Juan A. ROCHE y Manuel Oliver Narbona (a cura di), Cultura y Globalizaciòn. Entre el conflicto y el dialogo (pp. 367-388). Spanish Edition.

Sociologia de los museos. El museo como vivencia personal: propuestas

TOTA, ANNA LISA
2005-01-01

Abstract

Ogni società dispone di istituzioni per ricordare e di istituzioni per dimenticare. I musei sono nella società contemporanea un luogo per non dimenticare, un magazzino della memoria dove si delineano le identità etniche, le classificazioni storiche e naturali, dove si scrivono e riscrivono il passato e il presente delle nazioni. L’idea di museo, così come oggi è concepita, risale al primo umanesimo: come ricorda Scheicher (1979), è nei primi decenni del Quattrocento che stanze separate vengono adibite specificamente per l’esposizione delle collezioni. Nel Cinquecento poi inizia a consolidarsi l’idea di acquisire e trasmettere la conoscenza mediante collezioni di oggetti, organizzate secondo linee di classificazione di tipo enciclopedico. Attualmente i musei nel mondo sono più di 35.000 (Prösler, 1996) e la museologia è una disciplina in grande diffusione. Da più parti si analizza il ruolo che i musei rivestono nella costruzione delle identità nazionali, etniche, sulle modalità con cui i musei parlano del passato, intervengono nei processi di ricostruzione storica, scelgono di commemorare certi eventi e non altri. Soprattutto nei contesti urbani, ma non solo, i musei diventano o possono diventare luoghi di aggregazione sociale o, al contrario, di discriminazione etnica. Chiamati a spendere la loro autorità sulla rappresentazione di certi eventi, i musei possono decidere di parlare oppure di tacere. Ciò che fa la differenza è la nuova consapevolezza che si va acquisendo in riferimento all’autorità della forma museale, che è al contempo una forma mentis e una forma istituzionale. A questo proposito Macdonald (1995) parla di «effetto museo»: esso consiste nella capacità che l’istituzione ha di congelare un pezzo di storia sociale, di mummificare un oggetto, pietrificandolo per sempre nella sua funzione indicale rispetto ad una cultura o ad un periodo storico. Di fatto la scelta è già descrizione, come ricorda Amartya Sen (1982): scegliere di esporre nella teca un certo tipo di artefatti al posto di altri, può talora parlarci più della Weltanschauung dei curatori che della cultura oggetto dell’esposizione. Ciò si può verificare ad esempio nel caso delle mostre etniche, quando artefatti della cultura materiale di un popolo vengono esposti all’interno di una mostra: quello che per i Maori è un oggetto della vita quotidiana per il visitatore occidentale diviene un oggetto astratto, esotico, rivestito di un’aura sacrale, mummificato insomma in un’esperienza di fruizione estetica che non ci dice nulla dell’esperienza di un Maori rispetto a quell’oggetto. Questo genere di riflessioni si è intrecciato con il dibattito post-coloniale ed è stato al centro di ampie riflessioni anche all’interno delle scienze museali (ad esempio: Karp, Mullen Kreamer, Lavine, 1992; Riegel, 1996). Attualmente termini come «poetica e politica dell’allestimento museale» (Karp, Lavine, 1991) sono categorie analitiche correnti nella riflessione sociologica e non su questi temi. Ma esistono modelli sociologici di analisi dell’istituzione museo e del suo rapporto con il pubblico? Questo saggio propone una rassegna di tali modelli, documentandone l'efficacia analitica.
2005
8479088265
Tota, A.L. (2005). Sociologia de los museos. El museo como vivencia personal: propuestas. In Juan A. ROCHE y Manuel Oliver Narbona (a cura di), Cultura y Globalizaciòn. Entre el conflicto y el dialogo (pp. 367-388). Spanish Edition.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/167867
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact