Il cultore del diritto penale, così come quello del diritto internazionale, assiste oggi a una significativa affermazione della legalità nel campo della previsione dei crimini internazionali. Il fenomeno non tocca soltanto la “forma” dei crimini, nel senso che sia sufficiente assicurarne una previsione, ancorché minima o “per grandi linee”. Già negli Statuti dei Tribunali ad hoc, incaricati di giudicare sui crimini commessi nella ex-Jugoslavia e nel Rwanda, e poi nello Statuto della Corte penale internazionale il principio di legalità è attuato nei suoi contenuti più salienti. Tra questi va anzitutto annoverato il principio di chiarezza dell’incriminazione, che impone di delineare nettamente i confini tra il lecito e il non permesso (con il suo corollario dato dalla regola in dubio pro reo); poi il principio di determinatezza della fattispecie di diritto penale internazionale, con il rifiuto di incriminazioni fondate su una semplice schematizzazione del crimine o su descrizione sommarie. Occorre invece, almeno in via di principio, una definizione analitica, operata dalla legge. Fondamento primo della legalità, anche dal punto di vista delle fonti del diritto penale internazionale, sembra essere, secondo una tendenza che va affermandosi in diversi ordinamenti statali, l’affermazione della colpevolezza come fondamento del rimprovero penale, la quale postula che il singolo possa conoscere il precetto a lui indirizzato e le conseguenze della sua violazione, in modo da assumerlo alla base di scelte responsabili. Emergono, al contempo, esigenze di certezza che coinvolgono i singoli Stati, nei cui confronti la giurisdizione internazionale può operare come limite. Sotto entrambi i profili dovrebbe accogliersi l’idea che il precetto penale, anche di natura internazionale, debba potersi compiutamente ricavare, secondo il principio di tipicità, contenendo entro lo stretto indispensabile integrazioni esterne, incluse quelle provenienti dall’intervento del giudice. Andrebbero perciò concepite in senso conforme le clausole che abilitano il giudice alla interpretazione “costruttiva” della norma; d’altra parte, a garanzia dell’igiene complessiva del sistema sta il principio in dubio pro reo, che esclude effetti di incriminazione privi di un chiaro, univoco fondamento normativo. Si dovrà stabilire se spetti a questa regola, o si possa riconoscerle in futuro, dignità di principio generale, operante anche al di fuori di previsioni espresse, come quelle dello Statuto della Corte Penale Internazionale.
Masucci, M. (2006). Garanzie di legalità nel diritto penale internazionale. In Diritto penale internazionale. Casi e materiali, I, a cura di E. Mezzetti. TORINO : Giappichelli.
Garanzie di legalità nel diritto penale internazionale
MASUCCI, MASSIMILIANO
2006-01-01
Abstract
Il cultore del diritto penale, così come quello del diritto internazionale, assiste oggi a una significativa affermazione della legalità nel campo della previsione dei crimini internazionali. Il fenomeno non tocca soltanto la “forma” dei crimini, nel senso che sia sufficiente assicurarne una previsione, ancorché minima o “per grandi linee”. Già negli Statuti dei Tribunali ad hoc, incaricati di giudicare sui crimini commessi nella ex-Jugoslavia e nel Rwanda, e poi nello Statuto della Corte penale internazionale il principio di legalità è attuato nei suoi contenuti più salienti. Tra questi va anzitutto annoverato il principio di chiarezza dell’incriminazione, che impone di delineare nettamente i confini tra il lecito e il non permesso (con il suo corollario dato dalla regola in dubio pro reo); poi il principio di determinatezza della fattispecie di diritto penale internazionale, con il rifiuto di incriminazioni fondate su una semplice schematizzazione del crimine o su descrizione sommarie. Occorre invece, almeno in via di principio, una definizione analitica, operata dalla legge. Fondamento primo della legalità, anche dal punto di vista delle fonti del diritto penale internazionale, sembra essere, secondo una tendenza che va affermandosi in diversi ordinamenti statali, l’affermazione della colpevolezza come fondamento del rimprovero penale, la quale postula che il singolo possa conoscere il precetto a lui indirizzato e le conseguenze della sua violazione, in modo da assumerlo alla base di scelte responsabili. Emergono, al contempo, esigenze di certezza che coinvolgono i singoli Stati, nei cui confronti la giurisdizione internazionale può operare come limite. Sotto entrambi i profili dovrebbe accogliersi l’idea che il precetto penale, anche di natura internazionale, debba potersi compiutamente ricavare, secondo il principio di tipicità, contenendo entro lo stretto indispensabile integrazioni esterne, incluse quelle provenienti dall’intervento del giudice. Andrebbero perciò concepite in senso conforme le clausole che abilitano il giudice alla interpretazione “costruttiva” della norma; d’altra parte, a garanzia dell’igiene complessiva del sistema sta il principio in dubio pro reo, che esclude effetti di incriminazione privi di un chiaro, univoco fondamento normativo. Si dovrà stabilire se spetti a questa regola, o si possa riconoscerle in futuro, dignità di principio generale, operante anche al di fuori di previsioni espresse, come quelle dello Statuto della Corte Penale Internazionale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.