L’esempio di Peter Schreiner, nella sua lunga carriera di studioso e di accademico di respiro internazionale, è quello di un bizantinista interculturale e cosmopolita. La prefazione ripercorre le tappe essenziali della sua formazione e della sua produzione, soffermandosi in particolare sugli aspetti di innovazione metodologica. Peter Schreiner non è solo il massimo bizantinista tedesco vivente; è certamente anche il massimo bizantinista italiano, russo, greco, bulgaro, serbo, croato, nonché uno dei più autorevoli bizantinisti francesi, inglesi e spagnoli. Non solo padroneggia questi idiomi, ma è direttamente partecipe delle culture dei rispettivi paesi. La sua consuetudine con le lingue vive non è peraltro inferiore a quella con le lingue morte, a cominciare dal latino, dal greco e dal paleoslavo delle fonti bizantine che da sempre legge e studia di prima mano. Schreiner appartiene a una generazione di studiosi che ha operato e persegue un deciso svecchiamento della bizantinistica, disciplina rimasta in alcuni paesi e presso alcune scuole avviluppata, fino a un’epoca recente, in canoni filologico-antiquari di stampo pre-krumbacheriano. Con implacabile tenacia, negli scripta breviora raccolti in questo primo volume, Schreiner si muove sul terreno insidioso della ricerca storica non solo vagliando le fonti ma anche e soprattutto decodificando il carattere subiettivo, autoreferenziale e propagandistico della stessa scrittura bizantina del proprio passato. Spesso la bizantinistica, dall’Ottocento fino al Novecento inoltrato, ha ridotto il problema della validità di un documento a una questione di datazione o autenticità, senza interrogarsi sul valore probatorio della notizia in sé, senza contestualizzarla nell’intelaiatura del prima e del dopo, unica in grado di trasformarne il dettato inerte in forza enunciatrice. Così il primo saggio mostra che le vicende dell’iconoclastia non raffigurano quello scontro religioso tra est e ovest, fomentato da consiglieri arabi o giudei o monofisiti, che vi ha voluto scorgere e ancora recita la vulgata storiografica, bensì il difficile momento storico nel quale il clero viene elaborando, in opposizione agli interventi dell’imperatore, una teologia delle icone fondatrice dell’identità religiosa ortodossa. In generale le fonti della storia bizantina, argomenta Schreiner, dipendono le une dalle altre, e nell’insieme si rivelano animate dall’intento di orientare ideologicamente lettori rari, ma soli qualificati a trasmettere il passato comune alle generazioni successive. Cosa comportava una data decisione per un dato personaggio, ignaro del proprio futuro, in un dato presente? Uno degli speciali talenti di Schreiner è proprio questo: la contestualizzazione e “dinamizzazione” dei dati documentari. Ogni sua esegesi è autentica critica delle fonti, ogni suo atto scientifico è invito a “metterle in moto” leggendo e confrontando tutte quelle disponibili e ampliandone incessantemente l’ambito con nuove inquisizioni e acquisizioni. E ogni sua anche spericolata indagine è sempre monito a una rigorosa vigilanza, affinché nel discorso storiografico non si intrudano illazioni di sorta. Si pensi al caso del rogo della cosiddetta università di Costantinopoli intorno al 726. Secondo il cronista Giorgio Monaco, «Leone III chiedeva ai professori dell’università di acconsentire alla propria teologia iconoclasta. Ma poiché essi si rifiutavano di farlo, li aveva fatti chiudere nell’università e li aveva bruciati con tutti i loro libri» (I, p. 392). Questa leggenda, tanto diffusa a Bisanzio da essere accolta nei Patria, e alla quale credettero persino Gibbon e Hertzberg, non è tale «perché il fatto sia inverosimile, bensì perché l’istituzione universitaria all’epoca non esisteva», come ha dimostrato Lemerle nel 1971. All’epoca della stesura del saggio di Schreiner, i principali bizantinisti erano in effetti concordi nel riconoscere in quell’episodio una leggenda iconodula. Tanto più attuale è allora il rammarico dell’autore per l’inestirpabile «sopravvivenza dell’idea falsa che l’età iconoclasta sia illetterata e nemica della cultura, la sua valutazione come epoca di lotta alla cultura» (I, p. 393): idea e valutazione ancora oggi purtroppo inestinte nella letteratura storica non strettamente specialistica. Il fatto è che nel millennio di storia che Schreiner come pochi conosce la contiguità tra potere politico e storiografia non è solo metafora, bensì fisica compresenza nella corte imperiale: è un tratto distintivo di Bisanzio che non ha paragoni occidentali. È difficile trovare autori di letteratura profana che non ricoprano incarichi politici o amministrativi a corte; e dal canto loro ben pochi dei novanta imperatori della storia bizantina si astennero dal comporre opere letterarie (saggi IX, XI, XIII). Proprio per questo, i messaggi politici e la loro stessa tecnica di comunicazione agiscono a più livelli, spesso criptati secondo codici intelligibili solo a un’élite di contemporanei, e perciò tanto meno perspicui, il più delle volte, allo storico odierno. Così come lo storico della profonda anima bizantina, la politica, deve liberarsi dalle sovrastrutture ideologiche delle fonti cointeressate ai fatti, allo stesso modo lo storico della vita materiale, se vuole leggere davvero le descrizioni che Bisanzio dà della parte apparentemente più superficiale di sé stessa, deve acquisire una prospettiva per così dire metastorica e farsi quindi, anzitutto, storico delle mentalità.
Ronchey, S. (2006). Peter Schreiner bizantinista e bizantino. Introduzione a Byzantinische Kultur: eine Aufsatzsammlung, vol. I, Die Macht, I, ix-xxi.
Peter Schreiner bizantinista e bizantino. Introduzione a Byzantinische Kultur: eine Aufsatzsammlung, vol. I, Die Macht
RONCHEY, SILVIA
2006-01-01
Abstract
L’esempio di Peter Schreiner, nella sua lunga carriera di studioso e di accademico di respiro internazionale, è quello di un bizantinista interculturale e cosmopolita. La prefazione ripercorre le tappe essenziali della sua formazione e della sua produzione, soffermandosi in particolare sugli aspetti di innovazione metodologica. Peter Schreiner non è solo il massimo bizantinista tedesco vivente; è certamente anche il massimo bizantinista italiano, russo, greco, bulgaro, serbo, croato, nonché uno dei più autorevoli bizantinisti francesi, inglesi e spagnoli. Non solo padroneggia questi idiomi, ma è direttamente partecipe delle culture dei rispettivi paesi. La sua consuetudine con le lingue vive non è peraltro inferiore a quella con le lingue morte, a cominciare dal latino, dal greco e dal paleoslavo delle fonti bizantine che da sempre legge e studia di prima mano. Schreiner appartiene a una generazione di studiosi che ha operato e persegue un deciso svecchiamento della bizantinistica, disciplina rimasta in alcuni paesi e presso alcune scuole avviluppata, fino a un’epoca recente, in canoni filologico-antiquari di stampo pre-krumbacheriano. Con implacabile tenacia, negli scripta breviora raccolti in questo primo volume, Schreiner si muove sul terreno insidioso della ricerca storica non solo vagliando le fonti ma anche e soprattutto decodificando il carattere subiettivo, autoreferenziale e propagandistico della stessa scrittura bizantina del proprio passato. Spesso la bizantinistica, dall’Ottocento fino al Novecento inoltrato, ha ridotto il problema della validità di un documento a una questione di datazione o autenticità, senza interrogarsi sul valore probatorio della notizia in sé, senza contestualizzarla nell’intelaiatura del prima e del dopo, unica in grado di trasformarne il dettato inerte in forza enunciatrice. Così il primo saggio mostra che le vicende dell’iconoclastia non raffigurano quello scontro religioso tra est e ovest, fomentato da consiglieri arabi o giudei o monofisiti, che vi ha voluto scorgere e ancora recita la vulgata storiografica, bensì il difficile momento storico nel quale il clero viene elaborando, in opposizione agli interventi dell’imperatore, una teologia delle icone fondatrice dell’identità religiosa ortodossa. In generale le fonti della storia bizantina, argomenta Schreiner, dipendono le une dalle altre, e nell’insieme si rivelano animate dall’intento di orientare ideologicamente lettori rari, ma soli qualificati a trasmettere il passato comune alle generazioni successive. Cosa comportava una data decisione per un dato personaggio, ignaro del proprio futuro, in un dato presente? Uno degli speciali talenti di Schreiner è proprio questo: la contestualizzazione e “dinamizzazione” dei dati documentari. Ogni sua esegesi è autentica critica delle fonti, ogni suo atto scientifico è invito a “metterle in moto” leggendo e confrontando tutte quelle disponibili e ampliandone incessantemente l’ambito con nuove inquisizioni e acquisizioni. E ogni sua anche spericolata indagine è sempre monito a una rigorosa vigilanza, affinché nel discorso storiografico non si intrudano illazioni di sorta. Si pensi al caso del rogo della cosiddetta università di Costantinopoli intorno al 726. Secondo il cronista Giorgio Monaco, «Leone III chiedeva ai professori dell’università di acconsentire alla propria teologia iconoclasta. Ma poiché essi si rifiutavano di farlo, li aveva fatti chiudere nell’università e li aveva bruciati con tutti i loro libri» (I, p. 392). Questa leggenda, tanto diffusa a Bisanzio da essere accolta nei Patria, e alla quale credettero persino Gibbon e Hertzberg, non è tale «perché il fatto sia inverosimile, bensì perché l’istituzione universitaria all’epoca non esisteva», come ha dimostrato Lemerle nel 1971. All’epoca della stesura del saggio di Schreiner, i principali bizantinisti erano in effetti concordi nel riconoscere in quell’episodio una leggenda iconodula. Tanto più attuale è allora il rammarico dell’autore per l’inestirpabile «sopravvivenza dell’idea falsa che l’età iconoclasta sia illetterata e nemica della cultura, la sua valutazione come epoca di lotta alla cultura» (I, p. 393): idea e valutazione ancora oggi purtroppo inestinte nella letteratura storica non strettamente specialistica. Il fatto è che nel millennio di storia che Schreiner come pochi conosce la contiguità tra potere politico e storiografia non è solo metafora, bensì fisica compresenza nella corte imperiale: è un tratto distintivo di Bisanzio che non ha paragoni occidentali. È difficile trovare autori di letteratura profana che non ricoprano incarichi politici o amministrativi a corte; e dal canto loro ben pochi dei novanta imperatori della storia bizantina si astennero dal comporre opere letterarie (saggi IX, XI, XIII). Proprio per questo, i messaggi politici e la loro stessa tecnica di comunicazione agiscono a più livelli, spesso criptati secondo codici intelligibili solo a un’élite di contemporanei, e perciò tanto meno perspicui, il più delle volte, allo storico odierno. Così come lo storico della profonda anima bizantina, la politica, deve liberarsi dalle sovrastrutture ideologiche delle fonti cointeressate ai fatti, allo stesso modo lo storico della vita materiale, se vuole leggere davvero le descrizioni che Bisanzio dà della parte apparentemente più superficiale di sé stessa, deve acquisire una prospettiva per così dire metastorica e farsi quindi, anzitutto, storico delle mentalità.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.