Furono otto lunghi anni di denso e quotidiano terrore, tra il 1976 e il 1983. Migliaia di chilometri, decine di anni ci separano dai fatti. Sono vicende storiche, eppure sono storia viva. Resistono perché i desaparecidos lasciano dietro di sé un vuoto, lasciano quella forma di presenza di ciò che manca. Quel passato, apparentemente lontano, resta presente, immobile, non passa. Sono molti ad avvertire questa mancanza: i familiari delle vittime, i superstiti e una società che ha perso la paura e non vuole più chiudere gli occhi. La conseguenza è un punto di non ritorno, un Nunca más, un Mai più indispensabile per ristabilire la consapevolezza del valore dei diritti umani. Anche se in Argentina il regime ha fatto sparire nel silenzio migliaia di persone, la magistratura in qualche caso è riuscita, con grande difficoltà, a raccogliere le prove e condannare i responsabili. I desaparecidos sono però 30.000 e molti torturatori e assassini sono rimasti liberi e impuniti. In Italia alcuni militari argentini sono stati processati e condannati per crimini commessi nei confronti di cittadini italiani, in quel periodo l’azione della magistratura argentina era ostacolata da uno stato di eccezione che bloccava i processi. Le sentenze dei nostri tribunali hanno anche contribuito alla costruzione dell’unanime condanna internazionale e all’elaborazione della nozione di crimini di lesa umanità, in quanto delitti che offendono l’intero genere umano. Delitti la cui gravità non conosce frontiere, non ha un limite di giurisdizione né di prescrizione. Nessuno però è stato imprigionato, tutti sono stati processati e condannati in contumacia. Nel frattempo, il governo di Néstor Kirchner nel 2003 derogava le leggi di Punto final (1986) e di Obediencia debida (1987) norme che impedivano i processi. Da allora, molte cause sono arrivate a sentenza, altre sono in corso e l’incessante apertura di nuove istanze indica quanto sia ancora attuale il desiderio di giustizia. Questo lavoro vuole andare oltre le condanne ai diretti responsabili dei singoli delitti. Ora è tempo di capire fino in fondo come tutto ciò sia stato possibile. La denuncia delle violazioni dei diritti umani si è concentrata sui loro autori materiali: militari e paramilitari, la cui azione non avrebbe potuto svolgersi indisturbata se non fosse stata favorita da alcuni settori della società. Ci siamo domandati: cosa accadeva in Italia mentre l’Argentina sprofondava nel buio della dittatura militare? Come furono i rapporti tra la nostra democrazia e quel regime, ormai definito dalla comunità internazionale come uno dei più spietati del ventesimo secolo? La nostra società e la classe politica erano informate di quanto stava accadendo in Argentina? Reagivano? Come erano i nostri rapporti commerciali ed economici con i militari? E le nostre istituzioni, si sono date da fare per difendere l’integrità fisica dei desaparecidos di origine italiana, emigrati o figli di emigrati? In breve, il nostro obiettivo è stato quello di analizzare le dinamiche dei rapporti tra Stati, in presenza di violazioni sistematiche dei diritti umani in atto in uno di essi. Capire processi storici, protagonisti, complici, strutture politiche ed economiche che hanno reso possibile il protrarsi di quel silenzio che permise ai militari argentini di perpetrare una sistematica e quotidiana violazione dei diritti umani. Nel nostro caso concreto, l’obiettivo riguarda la ricostruzione della realtà dei rapporti italo-argentini nel periodo della dittatura. A volte la difesa dei diritti umani resta una dichiarazione sulla carta. Accade che i diritti sono in primo piano finché non entrano in conflitto con interessi forti, economici o politici. In questi casi le norme si ripiegano, diventano una mera enunciazione formale che decade di fronte alla legge della realpolitik. Chi si oppone a questa logica è considerato un ingenuo, una persona poco realista, un utopista. Lo studio del caso argentino è emblematico per la vastità, efferatezza e durata della violazione. La scomparsa di migliaia di corpi gettati vivi in mezzo al mare, i campi di concentramento e sterminio diffusi in tutto il territorio, l’uso sistematico e programmato della tortura fanno riferimento ad un piano preciso che va oltre l’eliminazione degli avversari. I desaparecidos sono parte di una tecnica che pretendeva annullare il passato e riscrivere la storia. Nella loro spietata repressione non vi erano azioni clamorose, si agiva di notte, gruppi anonimi in borghese sequestravano i dissidenti o presunti tali. Poi il nulla assoluto. Le vittime non finivano in carcere, non vi erano processi né condanne a morte, non si fucilava, non si imprigionava. I desaparecidos erano smistati nei campi di concentramento disseminati in tutto il paese. Qui erano torturati e poi “trasferiti”, cioè eliminati. Spesso i gerarchi della Giunta si facevano vedere in chiesa, insieme ai vertici della curia. I militari argentini curavano molto la loro immagine. Si preoccupavano per apparire come i garanti dell’ordine e della riorganizzazione del paese. Dichiaravano che la loro era una crociata in difesa del modello occidentale e cristiano. Avevano paura di essere scoperti, erano preoccupati da una eventuale condanna internazionale perché il loro progetto prevedeva un lavoro lungo, quotidiano e lento, ma inesorabile. Per rendere più efficace l’occultamento delle loro azioni si sono affidati a specialisti che hanno organizzato diverse campagne di propaganda per contrastare ciò che per molti costituiva già un’evidenza. Poi i campionati mondiali di calcio nel 1978 furono un’opportunità per guadagnare tempo, ripulire l’immagine internazionale e catturare simpatie interne attraverso il nazionalismo del pallone. A Parigi è stato creato un Centro Piloto destinato a contrastare la campaña anti-argentina infiltrandosi perfino nei gruppi che denunciavano quanto stava accadendo. Questa preoccupazione dimostra che anche loro, pur disponendo a piacere della vita e della morte, avevano un grande bisogno di consenso. Cosa sarebbe successo se il regime fosse stato accerchiato dalla condanna della comunità internazionale? L’importanza dei legami di sangue, culturali, commerciali ed economici tra l’Italia e l’Argentina apre una interrogativo che ci riguarda. Cosa ha fatto in quegli anni il nostro paese? Certamente poco. I nostri interessi economici continuarono a fare affari, forse i nostri politici non hanno capito cosa stava accadendo. L’Italia non ha mai concesso rifugio politico a nessun esule argentino. L’ambasciata a Buenos Aires chiuse le porte per evitare ciò che era successo nel vicino Cile. Nel nostro paese sono gli anni d’oro della Loggia P2. Licio Gelli aveva costruito il proprio potere intrecciando interessi italiani e argentini, prima con Perón e López Rega, poi con Massera e la dittatura. La Commissione parlamentare che indagò sulla Loggia massonica segnalò la necessità di approfondire i rapporti internazionali della Loggia. Noi, consapevoli dell’enorme difficoltà, abbiamo accettato la sfida e abbiamo cercato di fare qualche passo in quella direzione. In queste pagine più che un lavoro concluso si è voluto trasmettere un invito a proseguire. Il libro affronta la tematica da diversi punti di vista. Alcuni di noi sono stati protagonisti e hanno vissuto ciò che raccontano, altri hanno studiato con passione le vicende dei desaparecidos da diverse angolature: storia, letteratura, economia, politica, sociologia. Questo volume nasce da una ricerca a cui hanno partecipato diverse università argentine e italiane. Affari nostri sono le prime conclusioni del gruppo di lavoro italiano.
Tognonato, C.A. (2012). Silenzio, complicità e affari, 5-10.
Silenzio, complicità e affari
TOGNONATO, CLAUDIO ALBERTO
2012-01-01
Abstract
Furono otto lunghi anni di denso e quotidiano terrore, tra il 1976 e il 1983. Migliaia di chilometri, decine di anni ci separano dai fatti. Sono vicende storiche, eppure sono storia viva. Resistono perché i desaparecidos lasciano dietro di sé un vuoto, lasciano quella forma di presenza di ciò che manca. Quel passato, apparentemente lontano, resta presente, immobile, non passa. Sono molti ad avvertire questa mancanza: i familiari delle vittime, i superstiti e una società che ha perso la paura e non vuole più chiudere gli occhi. La conseguenza è un punto di non ritorno, un Nunca más, un Mai più indispensabile per ristabilire la consapevolezza del valore dei diritti umani. Anche se in Argentina il regime ha fatto sparire nel silenzio migliaia di persone, la magistratura in qualche caso è riuscita, con grande difficoltà, a raccogliere le prove e condannare i responsabili. I desaparecidos sono però 30.000 e molti torturatori e assassini sono rimasti liberi e impuniti. In Italia alcuni militari argentini sono stati processati e condannati per crimini commessi nei confronti di cittadini italiani, in quel periodo l’azione della magistratura argentina era ostacolata da uno stato di eccezione che bloccava i processi. Le sentenze dei nostri tribunali hanno anche contribuito alla costruzione dell’unanime condanna internazionale e all’elaborazione della nozione di crimini di lesa umanità, in quanto delitti che offendono l’intero genere umano. Delitti la cui gravità non conosce frontiere, non ha un limite di giurisdizione né di prescrizione. Nessuno però è stato imprigionato, tutti sono stati processati e condannati in contumacia. Nel frattempo, il governo di Néstor Kirchner nel 2003 derogava le leggi di Punto final (1986) e di Obediencia debida (1987) norme che impedivano i processi. Da allora, molte cause sono arrivate a sentenza, altre sono in corso e l’incessante apertura di nuove istanze indica quanto sia ancora attuale il desiderio di giustizia. Questo lavoro vuole andare oltre le condanne ai diretti responsabili dei singoli delitti. Ora è tempo di capire fino in fondo come tutto ciò sia stato possibile. La denuncia delle violazioni dei diritti umani si è concentrata sui loro autori materiali: militari e paramilitari, la cui azione non avrebbe potuto svolgersi indisturbata se non fosse stata favorita da alcuni settori della società. Ci siamo domandati: cosa accadeva in Italia mentre l’Argentina sprofondava nel buio della dittatura militare? Come furono i rapporti tra la nostra democrazia e quel regime, ormai definito dalla comunità internazionale come uno dei più spietati del ventesimo secolo? La nostra società e la classe politica erano informate di quanto stava accadendo in Argentina? Reagivano? Come erano i nostri rapporti commerciali ed economici con i militari? E le nostre istituzioni, si sono date da fare per difendere l’integrità fisica dei desaparecidos di origine italiana, emigrati o figli di emigrati? In breve, il nostro obiettivo è stato quello di analizzare le dinamiche dei rapporti tra Stati, in presenza di violazioni sistematiche dei diritti umani in atto in uno di essi. Capire processi storici, protagonisti, complici, strutture politiche ed economiche che hanno reso possibile il protrarsi di quel silenzio che permise ai militari argentini di perpetrare una sistematica e quotidiana violazione dei diritti umani. Nel nostro caso concreto, l’obiettivo riguarda la ricostruzione della realtà dei rapporti italo-argentini nel periodo della dittatura. A volte la difesa dei diritti umani resta una dichiarazione sulla carta. Accade che i diritti sono in primo piano finché non entrano in conflitto con interessi forti, economici o politici. In questi casi le norme si ripiegano, diventano una mera enunciazione formale che decade di fronte alla legge della realpolitik. Chi si oppone a questa logica è considerato un ingenuo, una persona poco realista, un utopista. Lo studio del caso argentino è emblematico per la vastità, efferatezza e durata della violazione. La scomparsa di migliaia di corpi gettati vivi in mezzo al mare, i campi di concentramento e sterminio diffusi in tutto il territorio, l’uso sistematico e programmato della tortura fanno riferimento ad un piano preciso che va oltre l’eliminazione degli avversari. I desaparecidos sono parte di una tecnica che pretendeva annullare il passato e riscrivere la storia. Nella loro spietata repressione non vi erano azioni clamorose, si agiva di notte, gruppi anonimi in borghese sequestravano i dissidenti o presunti tali. Poi il nulla assoluto. Le vittime non finivano in carcere, non vi erano processi né condanne a morte, non si fucilava, non si imprigionava. I desaparecidos erano smistati nei campi di concentramento disseminati in tutto il paese. Qui erano torturati e poi “trasferiti”, cioè eliminati. Spesso i gerarchi della Giunta si facevano vedere in chiesa, insieme ai vertici della curia. I militari argentini curavano molto la loro immagine. Si preoccupavano per apparire come i garanti dell’ordine e della riorganizzazione del paese. Dichiaravano che la loro era una crociata in difesa del modello occidentale e cristiano. Avevano paura di essere scoperti, erano preoccupati da una eventuale condanna internazionale perché il loro progetto prevedeva un lavoro lungo, quotidiano e lento, ma inesorabile. Per rendere più efficace l’occultamento delle loro azioni si sono affidati a specialisti che hanno organizzato diverse campagne di propaganda per contrastare ciò che per molti costituiva già un’evidenza. Poi i campionati mondiali di calcio nel 1978 furono un’opportunità per guadagnare tempo, ripulire l’immagine internazionale e catturare simpatie interne attraverso il nazionalismo del pallone. A Parigi è stato creato un Centro Piloto destinato a contrastare la campaña anti-argentina infiltrandosi perfino nei gruppi che denunciavano quanto stava accadendo. Questa preoccupazione dimostra che anche loro, pur disponendo a piacere della vita e della morte, avevano un grande bisogno di consenso. Cosa sarebbe successo se il regime fosse stato accerchiato dalla condanna della comunità internazionale? L’importanza dei legami di sangue, culturali, commerciali ed economici tra l’Italia e l’Argentina apre una interrogativo che ci riguarda. Cosa ha fatto in quegli anni il nostro paese? Certamente poco. I nostri interessi economici continuarono a fare affari, forse i nostri politici non hanno capito cosa stava accadendo. L’Italia non ha mai concesso rifugio politico a nessun esule argentino. L’ambasciata a Buenos Aires chiuse le porte per evitare ciò che era successo nel vicino Cile. Nel nostro paese sono gli anni d’oro della Loggia P2. Licio Gelli aveva costruito il proprio potere intrecciando interessi italiani e argentini, prima con Perón e López Rega, poi con Massera e la dittatura. La Commissione parlamentare che indagò sulla Loggia massonica segnalò la necessità di approfondire i rapporti internazionali della Loggia. Noi, consapevoli dell’enorme difficoltà, abbiamo accettato la sfida e abbiamo cercato di fare qualche passo in quella direzione. In queste pagine più che un lavoro concluso si è voluto trasmettere un invito a proseguire. Il libro affronta la tematica da diversi punti di vista. Alcuni di noi sono stati protagonisti e hanno vissuto ciò che raccontano, altri hanno studiato con passione le vicende dei desaparecidos da diverse angolature: storia, letteratura, economia, politica, sociologia. Questo volume nasce da una ricerca a cui hanno partecipato diverse università argentine e italiane. Affari nostri sono le prime conclusioni del gruppo di lavoro italiano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.