La monografia affronta, sistematicamente, uno dei temi dogmatici più difficili e controversi, quello della divergenza tra il reato voluto e quello realizzato. Operata anzitutto una actio finium regundorum con riferimento ai casi in cui solo uno dei termini della divergenza è costitutivo di reato (quali l’errore sul fatto di reato e il reato putativo per errore sul fatto) e i casi in cui, pur essendo entrambi i termini della divergenza costitutivi di fatti di reato, la divergenza o è penalmente irrilevante (aberratio ictus, aberratio causae, fattispecie c.d alternative) ovvero rileva solo ai fini della gravità del reato e quindi del quantum di pena applicabile (relazione tra reato semplice e reato circostanziato), il lavoro affronta lo studio delle fattispecie di divergenza nelle quali i due termini del rapporto sono costitutivi di titoli diversi di reato. Individuati anzitutto negli istituti del caso fortuito e della forza maggiore di cui all’art. 45 c.p. i limiti generali del sistema dell’imputazione soggettiva nell’ordinamento penale italiano, tali da rendere qualunque criterio di imputazione compatibile col principio di personalità della responsabilità penale, l’analisi si è soffermata anzitutto sulla c.d. aberratio delicti, vista quale fattispecie generale di divergenza, applicabile in mancanza di altre fattispecie di divergenza tra titoli autonomi di reato. Un’interpretazione innovativa viene data, in particolare, con riferimento al significato dell’inciso “o per altra causa”, idoneo a ricomprendere anche ipotesi di mero errore di giudizio, ed al rapporto tra l’errore sul fatto ex art. 47 comma 1 c.p. e l’art. 83 c.p., nel senso che, a differenza di quanto ritiene l’opinione dominante, il rispettivo ambito applicativo non dipenderebbe dalla causa della divergenza (rispettivamente, errore di giudizio-sviamento nell’iter esecutivo), ma dal contenuto della finalità che sorregge la condotta dell’agente, penalmente lecita nel caso dell’art. 47, penalmente illecita nel caso dell’art. 83. Un’attenzione particolare si è poi dedicata all’analisi dell’errore sugli elementi differenziali di cui agli artt. 47 comma 2 e 49 comma 3 c.p., giungendosi alla conclusione dell’applicabilità del tipo doloso meno gravemente sanzionato muovendo da una concezione dei rapporti norma generale-norma speciale diversa da quella comunemente sostenuta anche a livello di teoria generale, nel senso che l’elemento specializzante funziona da elemento negativo implicito della fattispecie generale. Il che porta a fissare l’ambito applicativo degli artt. 47 comma 2 e 49 comma 3 c.p. alla luce di un criterio assiologico e non strutturale. Un ultimo capitolo è dedicato al delitto preterintenzionale, visto come modello generale di illecito sotto cui ricondurre tutte le fattispecie di reato previste nella parte speciale che ne ripetono la struttura come delineata dall’art. 43 comma 1 secondo alinea, ossia tutti i delitti dolosi aggravati da una conseguenza non voluta. Sottolineato come qui l’errore sul fatto di reato rappresenti un requisito di tipicità per l’esistenza di questa figura di reato, si è concluso che, a differenza di quanto comunemente si ritiene, l’elemento soggettivo qualificato “preterintenzione” non sia un misto di dolo più colpa o responsabilità oggettiva, ma un criterio soggettivo di imputazione strutturalmente diverso dal dolo e dalla colpa in quanto gli elementi del fatto oggettivo del delitto preterintenzionale debbono qui essere in parte previsti e voluti in parte non previsti purché concretamente non imprevedibili o inevitabili.

Trapani, M. (2006). LA DIVERGENZA TRA IL "VOLUTO" E IL "REALIZZATO".. TORINO : Giappichelli.

LA DIVERGENZA TRA IL "VOLUTO" E IL "REALIZZATO".

TRAPANI, Mario
2006-01-01

Abstract

La monografia affronta, sistematicamente, uno dei temi dogmatici più difficili e controversi, quello della divergenza tra il reato voluto e quello realizzato. Operata anzitutto una actio finium regundorum con riferimento ai casi in cui solo uno dei termini della divergenza è costitutivo di reato (quali l’errore sul fatto di reato e il reato putativo per errore sul fatto) e i casi in cui, pur essendo entrambi i termini della divergenza costitutivi di fatti di reato, la divergenza o è penalmente irrilevante (aberratio ictus, aberratio causae, fattispecie c.d alternative) ovvero rileva solo ai fini della gravità del reato e quindi del quantum di pena applicabile (relazione tra reato semplice e reato circostanziato), il lavoro affronta lo studio delle fattispecie di divergenza nelle quali i due termini del rapporto sono costitutivi di titoli diversi di reato. Individuati anzitutto negli istituti del caso fortuito e della forza maggiore di cui all’art. 45 c.p. i limiti generali del sistema dell’imputazione soggettiva nell’ordinamento penale italiano, tali da rendere qualunque criterio di imputazione compatibile col principio di personalità della responsabilità penale, l’analisi si è soffermata anzitutto sulla c.d. aberratio delicti, vista quale fattispecie generale di divergenza, applicabile in mancanza di altre fattispecie di divergenza tra titoli autonomi di reato. Un’interpretazione innovativa viene data, in particolare, con riferimento al significato dell’inciso “o per altra causa”, idoneo a ricomprendere anche ipotesi di mero errore di giudizio, ed al rapporto tra l’errore sul fatto ex art. 47 comma 1 c.p. e l’art. 83 c.p., nel senso che, a differenza di quanto ritiene l’opinione dominante, il rispettivo ambito applicativo non dipenderebbe dalla causa della divergenza (rispettivamente, errore di giudizio-sviamento nell’iter esecutivo), ma dal contenuto della finalità che sorregge la condotta dell’agente, penalmente lecita nel caso dell’art. 47, penalmente illecita nel caso dell’art. 83. Un’attenzione particolare si è poi dedicata all’analisi dell’errore sugli elementi differenziali di cui agli artt. 47 comma 2 e 49 comma 3 c.p., giungendosi alla conclusione dell’applicabilità del tipo doloso meno gravemente sanzionato muovendo da una concezione dei rapporti norma generale-norma speciale diversa da quella comunemente sostenuta anche a livello di teoria generale, nel senso che l’elemento specializzante funziona da elemento negativo implicito della fattispecie generale. Il che porta a fissare l’ambito applicativo degli artt. 47 comma 2 e 49 comma 3 c.p. alla luce di un criterio assiologico e non strutturale. Un ultimo capitolo è dedicato al delitto preterintenzionale, visto come modello generale di illecito sotto cui ricondurre tutte le fattispecie di reato previste nella parte speciale che ne ripetono la struttura come delineata dall’art. 43 comma 1 secondo alinea, ossia tutti i delitti dolosi aggravati da una conseguenza non voluta. Sottolineato come qui l’errore sul fatto di reato rappresenti un requisito di tipicità per l’esistenza di questa figura di reato, si è concluso che, a differenza di quanto comunemente si ritiene, l’elemento soggettivo qualificato “preterintenzione” non sia un misto di dolo più colpa o responsabilità oggettiva, ma un criterio soggettivo di imputazione strutturalmente diverso dal dolo e dalla colpa in quanto gli elementi del fatto oggettivo del delitto preterintenzionale debbono qui essere in parte previsti e voluti in parte non previsti purché concretamente non imprevedibili o inevitabili.
2006
8834865014
Trapani, M. (2006). LA DIVERGENZA TRA IL "VOLUTO" E IL "REALIZZATO".. TORINO : Giappichelli.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/178409
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