La ricerca individua e descrive le diverse forme che può assumere la responsabilità penale per l’organizzazione difettosa dell’impresa con particolare riferimento alla materia della sicurezza sul lavoro, muovendo da un’analisi dei più importanti indirizzi giurisprudenziali e dall’interpretazione di alcune disposizioni introdotte e/o modificate con i più recenti interventi legislativi di cui ai dd.lgs. nn. 81/2008 e 106/2009. Lo scopo primario del lavoro è quello di rintracciare, descrivere e distinguere i diversi tipi di rimprovero che si appuntano sul datore di lavoro per non aver predisposto o efficacemente attuato un’organizzazione complessiva idonea a garantire la sicurezza ai sensi dell’art. 2087 c.c., cercando di distinguere, stante il principio di personalità della pena, quelli che possono determinare una responsabilità per l’organizzazione difettosa “generale” e quelli che possono invece integrare un contributo nel singolo infortunio che si realizzi in corrispondenza di un “particolare” settore, reparto o attività dell’azienda. Lo sviluppo della ricerca si fonda sulla distinzione, delineata dall’autore, tra difetti di organizzazione “primaria” e difetti di organizzazione “secondaria” da riferirsi, rispettivamente: a) alla strutturazione, all’alta gestione dell’impresa e alla valutazione dei rischi; b) alla ripartizione delle competenze o al controllo e coordinamento delle attività altrui. Centro di imputazione di queste responsabilità (cd. “vertice”) viene di volta in volta individuato nel “datore di lavoro”, nelle diverse figure individuali di garanzia previste dalla normativa di settore o nell’ente collettivo responsabile ai sensi dell’art. 25-septies, d.lgs. 231/2001. Nel primo capitolo si analizza la rilevanza penale dei difetti strutturali o di organizzazione “primaria” come possibile responsabilità sotto forma di omesso impedimento dell’evento (art. 40 cpv. c.p.) e/o di cooperazione nel delitto colposo (art. 113 c.p.) distinguendosi le ipotesi di omessa valutazione dei rischi in cui le responsabilità sono solo “apparentemente” concorsuali e dovrebbero invece farsi ricadere esclusivamente su soggetti diversi dal datore di lavoro (come il responsabile del servizio di prevenzione e protezione). Particolare spazio viene dato, in questa sede, a tutte le ipotesi nelle quali tra il difetto strutturale e il singolo infortunio si frappongono condotte illecite altrui (del dirigente, del delegato di funzioni, del preposto o dello stesso lavoratore) i cui eventuali profili di “abnormità” o “eccezionalità” possono attribuire valore interruttivo del nesso causale, nonostante l’interpretatio abrogans cui viene illegittimamente sottoposto, in giurisprudenza, l’art. 41 cpv. c.p. Il secondo capitolo tratta, in modo analitico ed approfondito, della rilevanza dei difetti di organizzazione “secondaria”, tradizionalmente espressi con le formule della culpa in eligendo o in vigilando, utilizzate spesso come mere “clausole di stile” volte a nascondere forme di vera e propria responsabilità oggettiva o “da posizione”. Partendo dal dato normativo, anche qui l’autore tenta di distinguere i diversi obblighi di diligenza e di controllo del datore di lavoro o del committente per circoscrivere le ipotesi in cui si può essere legittimamente chiamati a rispondere, a titolo di cooperazione, degli infortuni dovuti all’altrui inadeguatezza o pericolosità, all’omesso controllo sull’esercizio di funzioni altrui o a anche al mancato coordinamento delle attività svolte in cantiere. Il terzo capitolo reca un contributo alla teoria della cooperazione nel delitto colposo. In particolare, riprendendo gli studi in argomento svolti dalla dottrina sulla partecipazione colposa nel reato altrui e sulle ipotesi di cd. “causalità colposa mediata”, si analizzano i temi: della distinzione tra contributi “attivi” e contributi “passivi”; della precisa rilevanza penale dell’omissione in rapporto all’efficacia incriminatrice tradizionalmente attribuita alla normativa sul concorso e alla combinazione o interferenza degli articoli 40 cpv. e 113 c.p. quali clausole estensive della punibilità; del potenziale “regresso all’infinito” nell’imputazione oggettiva del reato; della differenza tra “concorso di persone” e “concorso di cause indipendenti”; della necessità di valutare la colpa del datore di lavoro in rapporto ai principi di autoresponsabilità e di affidamento; della ammissibilità o meno del concorso colposo nell’altrui fatto doloso e del concorso nelle contravvenzioni. Il tutto per giungere alla conclusione che, solo in certi casi e a determinate condizioni, le ipotesi di culpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro possono validamente integrare forme di concorso, dovendosi altrimenti prevedere fattispecie incriminatrici ad hoc per ricondurre l’imputazione entro i limiti consentiti dal principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost. Il quarto capitolo è dedicato alla comparazione e, traendo spunto dalla legislazione vigente nazionale, straniera e internazionale in tema di responsabilità del vertice in organizzazioni complesse, mira a delineare possibili modelli normativi per nuovi titoli di responsabilità del datore di lavoro incentrati su disvalore di pericolo speciale o su figure di omesso controllo diversamente strutturate e destinate comunque a supplire all’applicazione, sinora indiscriminata, del concorso per omesso impedimento del reato altrui ai sensi degli articoli 40 cpv. e 113 c.p. Tracciando le conclusioni del proprio lavoro, nel quinto ed ultimo capitolo l’autore esamina le prospettive di riforma della materia, spingendosi al punto di avanzare proposte concrete per l’introduzione di possibili reati di culpa in eligendo o in vigilando “a doppia condotta” con pena proporzionata al disvalore espresso dai singoli fatti ivi inclusi secondo la tecnica delle “norme a più fattispecie”. In alternativa ad un intervento normativo specifico si propone, infine, di operare un nuovo raccordo interpretativo tra la normativa sulle responsabilità individuali e quella sulle responsabilità dell’ente collettivo per infortuni sul lavoro, in modo da attuare un “modello integrato” di responsabilità in base al quale appuntare propriamente sull’ente il rimprovero per l’organizzazione difettosa, in termini di culpa in eligendo o in vigilando, evitando di operare indebite duplicazioni sanzionatorie (amministrative o penali) che, almeno in certi casi, potrebbero condurre a potenziali violazioni del principio del principio di ne bis in idem.
Piva, D. (2011). La responsabilità del "vertice" per organizzazione difettosa nel diritto penale del lavoro. NAPOLI : Jovene Editore.
La responsabilità del "vertice" per organizzazione difettosa nel diritto penale del lavoro
PIVA, DANIELE
2011-01-01
Abstract
La ricerca individua e descrive le diverse forme che può assumere la responsabilità penale per l’organizzazione difettosa dell’impresa con particolare riferimento alla materia della sicurezza sul lavoro, muovendo da un’analisi dei più importanti indirizzi giurisprudenziali e dall’interpretazione di alcune disposizioni introdotte e/o modificate con i più recenti interventi legislativi di cui ai dd.lgs. nn. 81/2008 e 106/2009. Lo scopo primario del lavoro è quello di rintracciare, descrivere e distinguere i diversi tipi di rimprovero che si appuntano sul datore di lavoro per non aver predisposto o efficacemente attuato un’organizzazione complessiva idonea a garantire la sicurezza ai sensi dell’art. 2087 c.c., cercando di distinguere, stante il principio di personalità della pena, quelli che possono determinare una responsabilità per l’organizzazione difettosa “generale” e quelli che possono invece integrare un contributo nel singolo infortunio che si realizzi in corrispondenza di un “particolare” settore, reparto o attività dell’azienda. Lo sviluppo della ricerca si fonda sulla distinzione, delineata dall’autore, tra difetti di organizzazione “primaria” e difetti di organizzazione “secondaria” da riferirsi, rispettivamente: a) alla strutturazione, all’alta gestione dell’impresa e alla valutazione dei rischi; b) alla ripartizione delle competenze o al controllo e coordinamento delle attività altrui. Centro di imputazione di queste responsabilità (cd. “vertice”) viene di volta in volta individuato nel “datore di lavoro”, nelle diverse figure individuali di garanzia previste dalla normativa di settore o nell’ente collettivo responsabile ai sensi dell’art. 25-septies, d.lgs. 231/2001. Nel primo capitolo si analizza la rilevanza penale dei difetti strutturali o di organizzazione “primaria” come possibile responsabilità sotto forma di omesso impedimento dell’evento (art. 40 cpv. c.p.) e/o di cooperazione nel delitto colposo (art. 113 c.p.) distinguendosi le ipotesi di omessa valutazione dei rischi in cui le responsabilità sono solo “apparentemente” concorsuali e dovrebbero invece farsi ricadere esclusivamente su soggetti diversi dal datore di lavoro (come il responsabile del servizio di prevenzione e protezione). Particolare spazio viene dato, in questa sede, a tutte le ipotesi nelle quali tra il difetto strutturale e il singolo infortunio si frappongono condotte illecite altrui (del dirigente, del delegato di funzioni, del preposto o dello stesso lavoratore) i cui eventuali profili di “abnormità” o “eccezionalità” possono attribuire valore interruttivo del nesso causale, nonostante l’interpretatio abrogans cui viene illegittimamente sottoposto, in giurisprudenza, l’art. 41 cpv. c.p. Il secondo capitolo tratta, in modo analitico ed approfondito, della rilevanza dei difetti di organizzazione “secondaria”, tradizionalmente espressi con le formule della culpa in eligendo o in vigilando, utilizzate spesso come mere “clausole di stile” volte a nascondere forme di vera e propria responsabilità oggettiva o “da posizione”. Partendo dal dato normativo, anche qui l’autore tenta di distinguere i diversi obblighi di diligenza e di controllo del datore di lavoro o del committente per circoscrivere le ipotesi in cui si può essere legittimamente chiamati a rispondere, a titolo di cooperazione, degli infortuni dovuti all’altrui inadeguatezza o pericolosità, all’omesso controllo sull’esercizio di funzioni altrui o a anche al mancato coordinamento delle attività svolte in cantiere. Il terzo capitolo reca un contributo alla teoria della cooperazione nel delitto colposo. In particolare, riprendendo gli studi in argomento svolti dalla dottrina sulla partecipazione colposa nel reato altrui e sulle ipotesi di cd. “causalità colposa mediata”, si analizzano i temi: della distinzione tra contributi “attivi” e contributi “passivi”; della precisa rilevanza penale dell’omissione in rapporto all’efficacia incriminatrice tradizionalmente attribuita alla normativa sul concorso e alla combinazione o interferenza degli articoli 40 cpv. e 113 c.p. quali clausole estensive della punibilità; del potenziale “regresso all’infinito” nell’imputazione oggettiva del reato; della differenza tra “concorso di persone” e “concorso di cause indipendenti”; della necessità di valutare la colpa del datore di lavoro in rapporto ai principi di autoresponsabilità e di affidamento; della ammissibilità o meno del concorso colposo nell’altrui fatto doloso e del concorso nelle contravvenzioni. Il tutto per giungere alla conclusione che, solo in certi casi e a determinate condizioni, le ipotesi di culpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro possono validamente integrare forme di concorso, dovendosi altrimenti prevedere fattispecie incriminatrici ad hoc per ricondurre l’imputazione entro i limiti consentiti dal principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost. Il quarto capitolo è dedicato alla comparazione e, traendo spunto dalla legislazione vigente nazionale, straniera e internazionale in tema di responsabilità del vertice in organizzazioni complesse, mira a delineare possibili modelli normativi per nuovi titoli di responsabilità del datore di lavoro incentrati su disvalore di pericolo speciale o su figure di omesso controllo diversamente strutturate e destinate comunque a supplire all’applicazione, sinora indiscriminata, del concorso per omesso impedimento del reato altrui ai sensi degli articoli 40 cpv. e 113 c.p. Tracciando le conclusioni del proprio lavoro, nel quinto ed ultimo capitolo l’autore esamina le prospettive di riforma della materia, spingendosi al punto di avanzare proposte concrete per l’introduzione di possibili reati di culpa in eligendo o in vigilando “a doppia condotta” con pena proporzionata al disvalore espresso dai singoli fatti ivi inclusi secondo la tecnica delle “norme a più fattispecie”. In alternativa ad un intervento normativo specifico si propone, infine, di operare un nuovo raccordo interpretativo tra la normativa sulle responsabilità individuali e quella sulle responsabilità dell’ente collettivo per infortuni sul lavoro, in modo da attuare un “modello integrato” di responsabilità in base al quale appuntare propriamente sull’ente il rimprovero per l’organizzazione difettosa, in termini di culpa in eligendo o in vigilando, evitando di operare indebite duplicazioni sanzionatorie (amministrative o penali) che, almeno in certi casi, potrebbero condurre a potenziali violazioni del principio del principio di ne bis in idem.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.