L’interesse per la codificazione tipologica e per la manualistica tradizionale che da essa discende è oggi, per alcuni versi giustamente, venuto meno. Gli aspetti che hanno evidenziato la rigidità e i limiti di questo tipo di strumenti di conoscenza sono: l’astrattezza, la presunta assolutezza e universalità dei precetti, la lontananza dalla concretezza e dalla specificità dell’opera singola, l’assenza quasi completa delle relazioni tra il “buon progettare” e le caratteristiche del luogo e la cultura che il luogo incarna, lo scarso interesse per la qualità dello spazio interno e per le relazioni di questo con quello esterno, in tutte le sue declinazioni, e infine, lo spazio esiguo riservato alle scelte di dettaglio, tecnologiche e dei materiali, che spesso determinano la qualità del manufatto. Per altri versi, i confini tipologici che stanno dietro l’ambito di interesse di un manuale di progettazione spesso conservano una loro ragione d’essere in relazione alla presenza di un’utenza dalle caratteristiche piuttosto delineate, di una normativa a volte piuttosto stringente e, soprattutto, di una, spesso sorprendente, dialettica, fatta di relazioni, influenze e rimandi, tra l’opera e la ricerca di architetti che si sono cimentati sul medesimo tema, come è accaduto durante tutto il ‘900 e accade ancora oggi, nel caso dell’oggetto del presente manuale: le residenze universitarie. La sfida è stata quindi quella, da un lato, di accettare i limiti determinati da un ambito tipologico precisamente definito, dall’altro, di strutturare la trattazione agendo proprio sul superamento di tali limiti, in un processo di inclusione di temi e sensibilità che finora non avevano trovato spazio nella trattazione manualistica. Il primo passo è stato quello di rimettere al centro della trattazione l’opera di architettura nella sua totalità, cercando di estrarre da questa, non solo la matrice tipologica, distributiva o le mere relazioni funzionali, ma anche tutti quegli aspetti materiali e non materiali che ne determinano la qualità. Il secondo è stato quello di trovare il giusto equilibrio tra la necessaria esemplificazione di alcune possibili soluzioni operative e la complessità dei ragionamenti e delle sensibilità che devono orientare le scelte progettuali. Moltiplicare i punti di vista, individuare le sfaccettature che si nascondono dietro alcuni problemi, piuttosto che ridurre il tema a poche, apparentemente certe, linee d’indirizzo. Questa operazione ha la sua origine proprio nello scardinamento di quella presunta omogeneità dell’utenza che, quand’anche trovi spazio nella manualistica tradizionale è, in genere, il principale presupposto per dare corpo a pochi, astratti, precetti operativi. Il terzo passaggio è stato quello di inserire l’intera trattazione all’interno della più ampia ricerca sull’abitare, nella convinzione che proprio le caratteristiche intrinseche delle residenze collettive in generale e di quelle universitarie in particolare, possano contribuire a individuare nuove strade di ricerca verso modi alternativi di abitare nel terzo millennio. Nel DNA delle residenze collettive, infatti, risiede il germe della contaminazione tipologica e quel particolare equilibrio tra la privacy dello spazio individuale e la condivisione dei luoghi e delle funzioni collettive, che oggi sembrano essere gli strumenti più efficaci per superare la rigidità e l’uniformità che ancora caratterizza l’abitare contemporaneo.
Dall'Olio, L., Mandolesi, D. (2014). Manuale di progettazione. Residenze collettive. Parte I. Residenze universitarie. Roma : Mancosu Editore s.r.l..
Manuale di progettazione. Residenze collettive. Parte I. Residenze universitarie
DALL'OLIO, LORENZO;
2014-01-01
Abstract
L’interesse per la codificazione tipologica e per la manualistica tradizionale che da essa discende è oggi, per alcuni versi giustamente, venuto meno. Gli aspetti che hanno evidenziato la rigidità e i limiti di questo tipo di strumenti di conoscenza sono: l’astrattezza, la presunta assolutezza e universalità dei precetti, la lontananza dalla concretezza e dalla specificità dell’opera singola, l’assenza quasi completa delle relazioni tra il “buon progettare” e le caratteristiche del luogo e la cultura che il luogo incarna, lo scarso interesse per la qualità dello spazio interno e per le relazioni di questo con quello esterno, in tutte le sue declinazioni, e infine, lo spazio esiguo riservato alle scelte di dettaglio, tecnologiche e dei materiali, che spesso determinano la qualità del manufatto. Per altri versi, i confini tipologici che stanno dietro l’ambito di interesse di un manuale di progettazione spesso conservano una loro ragione d’essere in relazione alla presenza di un’utenza dalle caratteristiche piuttosto delineate, di una normativa a volte piuttosto stringente e, soprattutto, di una, spesso sorprendente, dialettica, fatta di relazioni, influenze e rimandi, tra l’opera e la ricerca di architetti che si sono cimentati sul medesimo tema, come è accaduto durante tutto il ‘900 e accade ancora oggi, nel caso dell’oggetto del presente manuale: le residenze universitarie. La sfida è stata quindi quella, da un lato, di accettare i limiti determinati da un ambito tipologico precisamente definito, dall’altro, di strutturare la trattazione agendo proprio sul superamento di tali limiti, in un processo di inclusione di temi e sensibilità che finora non avevano trovato spazio nella trattazione manualistica. Il primo passo è stato quello di rimettere al centro della trattazione l’opera di architettura nella sua totalità, cercando di estrarre da questa, non solo la matrice tipologica, distributiva o le mere relazioni funzionali, ma anche tutti quegli aspetti materiali e non materiali che ne determinano la qualità. Il secondo è stato quello di trovare il giusto equilibrio tra la necessaria esemplificazione di alcune possibili soluzioni operative e la complessità dei ragionamenti e delle sensibilità che devono orientare le scelte progettuali. Moltiplicare i punti di vista, individuare le sfaccettature che si nascondono dietro alcuni problemi, piuttosto che ridurre il tema a poche, apparentemente certe, linee d’indirizzo. Questa operazione ha la sua origine proprio nello scardinamento di quella presunta omogeneità dell’utenza che, quand’anche trovi spazio nella manualistica tradizionale è, in genere, il principale presupposto per dare corpo a pochi, astratti, precetti operativi. Il terzo passaggio è stato quello di inserire l’intera trattazione all’interno della più ampia ricerca sull’abitare, nella convinzione che proprio le caratteristiche intrinseche delle residenze collettive in generale e di quelle universitarie in particolare, possano contribuire a individuare nuove strade di ricerca verso modi alternativi di abitare nel terzo millennio. Nel DNA delle residenze collettive, infatti, risiede il germe della contaminazione tipologica e quel particolare equilibrio tra la privacy dello spazio individuale e la condivisione dei luoghi e delle funzioni collettive, che oggi sembrano essere gli strumenti più efficaci per superare la rigidità e l’uniformità che ancora caratterizza l’abitare contemporaneo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.