La monografia si pone come obiettivo l’analisi della presenza della Corte costituzionale come istituzione operante nella crisi dello Stato sociale, verificando il ruolo di supplenza nei confronti del sistema politico e delle istituzioni del Welfare talvolta assunto dalla giurisprudenza costituzionale, soprattutto in materia lavoristica e previdenziale. Una particolare attenzione è rivolta agli strumenti decisori ai quali la Corte ha già fatto e può ancora far ricorso, per assicurare una difesa efficace dei diritti sociali nei confronti di interventi legislativi rivolti a limitare gli esborsi a carico dell’erario e, quindi, in ultima analisi, ad operare una riduzione dello “Stato sociale”. A tal fine, il lavoro ha avuto cura di seguire, in via preliminare, le fila del progressivo assestamento degli equilibri e dei rapporti tra la Corte costituzionale e gli altri poteri dello Stato (Cap. I), realizzatosi soprattutto attraverso il significativo ampliamento ed affinamento delle tecniche decisionali, che ha consentito di mettere in luce la valenza politico-legislativa della giurisprudenza costituzionale, ingenuamente trascurata dal Costituente. La ricerca ha quindi passato in rassegna l’ampia tipologia dei modelli di pronunzie, articolata in relazione all’eterogeneità delle situazioni e degli interessi di volta in volta implicati, tipologia che costituisce ormai patrimonio consolidato ed inespropriabile della Corte, e che ha finito per combinarsi con meccanismi di dosaggio e di gradualità sempre più sofisticati, i quali agiscono anche sulla stessa efficacia della giurisprudenza costituzionale per fugare il più possibile ogni pericolo di antagonismo tra il legislatore e la Corte. La successiva analisi della copiosa produzione giurisprudenziale della Corte costituzionale - particolarmente attenta ai risvolti politico-istituzionali della giurisprudenza costituzionale nelle delicate e significative materie del lavoro e della previdenza sociale - ha avuto come scopo lo studio dell’impatto del giudice delle leggi sulla struttura e sulla dinamica del sistema giuridico lavoristico, al fine di individuare quelle linee di politica del diritto che hanno ispirato e sorretto il ruolo svolto, soprattutto negli ultimi anni, dalla Corte nel sistema di produzione legislativa del diritto del lavoro e della previdenza sociale. L’intento è stato quello di delineare i possibili principi guida dei futuri interventi della Consulta, mossi dalla consapevolezza che l’opera da essa compiuta fino ad ora conta non solo per il passato, ma anche e soprattutto per le direttive che essa ha dato per l’avvenire, tanto più necessarie quanto meno evidente è la coerenza delle scelte di fondo espresse dal legislatore. L’analisi è stata condotta sotto un duplice profilo: quello della ricerca dei contenuti della giurisprudenza della Corte, nonché quello offerto dalla varietà dei modelli di intervento impiegati e delle argomentazioni interpretative a sostegno della strumentazione decisionale, al fine di esaminare, anche sotto tale prospettiva, i valori di fondo comunque introdotti nel tessuto normativo. All’esame vero e proprio della giurisprudenza è stato dedicato il II Capitolo, all’interno del quale vi sono apposite e separate trattazioni per il diritto del rapporto di lavoro (Sez. I) e per il diritto della previdenza sociale (Sez. II). Nell’ambito del diritto del rapporto di lavoro, dopo l’esame del tema dell’avviamento al lavoro, in cui si contrappongono atteggiamenti della Corte marcatamente “astensionisti” ed altri incisivamente “interventisti”, si è passato in rassegna quel vastissimo filone giurisprudenziale che ruota attorno alla tutela della salute e dell’integrità fisica del lavoratore, fatto di pronunce che pongono un nucleo di garanzie costituzionali intangibili nel regime giuridico dell’evento “malattia”, che procedono ad una riqualificazione di tale evento, ampliandone la nozione stessa e valorizzandone il collegamento con il principio costituzionale del diritto alla salute. L’ultima parte della Sezione è stata, invece, dedicata al tanto discusso tema del principio di non discriminazione e parità di trattamento. Qui l’apporto della giurisprudenza costituzionale ha comportato una modifica dell’assetto tradizionale delle posizioni giuridiche connesse al contratto di lavoro, con ripercussioni di non poco conto sugli ambiti di esercizio discrezionale del potere gestionale dell’imprenditore. La seconda parte della trattazione, in materia di diritto della previdenza sociale, è diversa ed assai più complessa, in quanto fatta di tanti interventi che abbracciano un arco tematico particolarmente esteso e specialistico, con implicazioni sugli assetti economico-finanziari degli enti previdenziali e del bilancio pubblico, che non hanno mancato di costituire oggetto di una attenta indagine. Anzitutto è stata ricostruita l’evoluzione normativa e giurisprudenziale della vicenda dell’integrazione al minimo delle pensioni, in cui la Corte ha avuto un ruolo di primo piano, imponendo, in nome del principio di eguaglianza, il diritto all’integrazione al minimo in caso di cumulo di trattamenti pensionistici, e pervenendo, attraverso la determinazione della natura del trattamento pensionistico minimo, a tracciare la fondamentale distinzione tra assistenza e previdenza sociale. Successivamente, nel ripercorrere il pensiero della Corte circa il valore e la portata dell’art. 38 Cost. - sulla base di quei filoni giurisprudenziali concernenti il tema della misura della prestazione previdenziale - è stata seguita l’evoluzione del concetto di prestazione previdenziale adeguata, alla ricerca dei criteri di determinazione del livello quantitativo idoneo a consentire tale adeguatezza ed a garantire l’effettività della tutela sancita dal precetto costituzionale in nome del principio della solidarietà sociale. Le conclusioni raggiunte al termine dell’analisi condotta hanno rivelato che l’apporto della giurisprudenza costituzionale al diritto del lavoro e della previdenza sociale ha sostanzialmente garantito lo Stato sociale disegnato dalla Costituzione e, quindi, promosso l’effettività del processo di costituzionalizzazione del diritto del lavoro (nel senso più ampio), ad ulteriore riprova che il valore sociale della Corte va ben al di là della funzione istituzionale che le viene assegnata al suo atto di nascita dalla legge. Nello stesso tempo è stato posto in evidenza come i problemi del lavoro e della previdenza abbiano da sempre costituito una delle voci fondamentali del Welfare (per gli effetti determinanti avuti sul trend e sulla forma assunta nel tempo dalla spesa sociale), e come la legislazione previdenziale-assicurativa garantita dallo Stato abbia finito con il rappresentare proprio la conquista fondamentale del medesimo Welfare State. Nell’ultima e conclusiva parte della trattazione (Cap. III) è stata svolta una riflessione complessiva sul ruolo svolto in questi anni dalla Corte costituzionale, che, nel tentativo di garantire i principi del Welfare State attraverso una politica estensiva dei diritti sociali, non ha mancato di confrontarsi costantemente con il problema delle risorse disponibili, ribadendo, tuttavia, a più riprese l’esistenza di limiti costituzionali invalicabili allo smantellamento dello Stato sociale; anche perché lo Stato sociale di diritto, coniugando libertà e giustizia sociale, rappresenta in ogni caso la forma più evoluta dello Stato contemporaneo, uno dei grandi obiettivi di uno Stato moderno, al quale nessun ordinamento sarebbe disposto a rinunciare. Una volta, quindi, chiarito che dallo Stato sociale non si torna indietro, è stata, tuttavia, evidenziata la necessità di dismettere quella mentalità informata ad un falso concetto dello Stato sociale, di abbandonare quella “cultura Welfare di tipo spendacciona”, che ha trasformato lo Stato da sociale in populista-assistenziale, assecondando così quell’evoluzione verso uno Stato sociale efficiente, che oggi la società civile reclama. In questo contesto si è rilevato, conclusivamente, come spetti in particolar modo al giudice delle leggi il compito di confermare l’esistenza di limiti costituzionali invalicabili alla riduzione dello Stato sociale, attraverso una difesa intransigente dei diritti e dei valori che costituiscono il nucleo della prima parte della nostra Costituzione. La Corte costituzionale, quindi, muovendosi al di sopra delle logiche politiche contingenti, assume in questo modo il ruolo nevralgico di uno degli ultimi baluardi rimasti a garanzia del valore costituzionale della solidarietà e, nel contempo, del principale difensore istituzionale dello Stato sociale, consapevole com’è che “creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire ad un maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale..., sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso”.

Colapietro, C. (1996). La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale - Collana delle Pubblicazioni dell’Istituto di Diritto Pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma - III Serie - n. 78. PADOVA : CEDAM.

La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale - Collana delle Pubblicazioni dell’Istituto di Diritto Pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma - III Serie - n. 78

COLAPIETRO, CARLO
1996-01-01

Abstract

La monografia si pone come obiettivo l’analisi della presenza della Corte costituzionale come istituzione operante nella crisi dello Stato sociale, verificando il ruolo di supplenza nei confronti del sistema politico e delle istituzioni del Welfare talvolta assunto dalla giurisprudenza costituzionale, soprattutto in materia lavoristica e previdenziale. Una particolare attenzione è rivolta agli strumenti decisori ai quali la Corte ha già fatto e può ancora far ricorso, per assicurare una difesa efficace dei diritti sociali nei confronti di interventi legislativi rivolti a limitare gli esborsi a carico dell’erario e, quindi, in ultima analisi, ad operare una riduzione dello “Stato sociale”. A tal fine, il lavoro ha avuto cura di seguire, in via preliminare, le fila del progressivo assestamento degli equilibri e dei rapporti tra la Corte costituzionale e gli altri poteri dello Stato (Cap. I), realizzatosi soprattutto attraverso il significativo ampliamento ed affinamento delle tecniche decisionali, che ha consentito di mettere in luce la valenza politico-legislativa della giurisprudenza costituzionale, ingenuamente trascurata dal Costituente. La ricerca ha quindi passato in rassegna l’ampia tipologia dei modelli di pronunzie, articolata in relazione all’eterogeneità delle situazioni e degli interessi di volta in volta implicati, tipologia che costituisce ormai patrimonio consolidato ed inespropriabile della Corte, e che ha finito per combinarsi con meccanismi di dosaggio e di gradualità sempre più sofisticati, i quali agiscono anche sulla stessa efficacia della giurisprudenza costituzionale per fugare il più possibile ogni pericolo di antagonismo tra il legislatore e la Corte. La successiva analisi della copiosa produzione giurisprudenziale della Corte costituzionale - particolarmente attenta ai risvolti politico-istituzionali della giurisprudenza costituzionale nelle delicate e significative materie del lavoro e della previdenza sociale - ha avuto come scopo lo studio dell’impatto del giudice delle leggi sulla struttura e sulla dinamica del sistema giuridico lavoristico, al fine di individuare quelle linee di politica del diritto che hanno ispirato e sorretto il ruolo svolto, soprattutto negli ultimi anni, dalla Corte nel sistema di produzione legislativa del diritto del lavoro e della previdenza sociale. L’intento è stato quello di delineare i possibili principi guida dei futuri interventi della Consulta, mossi dalla consapevolezza che l’opera da essa compiuta fino ad ora conta non solo per il passato, ma anche e soprattutto per le direttive che essa ha dato per l’avvenire, tanto più necessarie quanto meno evidente è la coerenza delle scelte di fondo espresse dal legislatore. L’analisi è stata condotta sotto un duplice profilo: quello della ricerca dei contenuti della giurisprudenza della Corte, nonché quello offerto dalla varietà dei modelli di intervento impiegati e delle argomentazioni interpretative a sostegno della strumentazione decisionale, al fine di esaminare, anche sotto tale prospettiva, i valori di fondo comunque introdotti nel tessuto normativo. All’esame vero e proprio della giurisprudenza è stato dedicato il II Capitolo, all’interno del quale vi sono apposite e separate trattazioni per il diritto del rapporto di lavoro (Sez. I) e per il diritto della previdenza sociale (Sez. II). Nell’ambito del diritto del rapporto di lavoro, dopo l’esame del tema dell’avviamento al lavoro, in cui si contrappongono atteggiamenti della Corte marcatamente “astensionisti” ed altri incisivamente “interventisti”, si è passato in rassegna quel vastissimo filone giurisprudenziale che ruota attorno alla tutela della salute e dell’integrità fisica del lavoratore, fatto di pronunce che pongono un nucleo di garanzie costituzionali intangibili nel regime giuridico dell’evento “malattia”, che procedono ad una riqualificazione di tale evento, ampliandone la nozione stessa e valorizzandone il collegamento con il principio costituzionale del diritto alla salute. L’ultima parte della Sezione è stata, invece, dedicata al tanto discusso tema del principio di non discriminazione e parità di trattamento. Qui l’apporto della giurisprudenza costituzionale ha comportato una modifica dell’assetto tradizionale delle posizioni giuridiche connesse al contratto di lavoro, con ripercussioni di non poco conto sugli ambiti di esercizio discrezionale del potere gestionale dell’imprenditore. La seconda parte della trattazione, in materia di diritto della previdenza sociale, è diversa ed assai più complessa, in quanto fatta di tanti interventi che abbracciano un arco tematico particolarmente esteso e specialistico, con implicazioni sugli assetti economico-finanziari degli enti previdenziali e del bilancio pubblico, che non hanno mancato di costituire oggetto di una attenta indagine. Anzitutto è stata ricostruita l’evoluzione normativa e giurisprudenziale della vicenda dell’integrazione al minimo delle pensioni, in cui la Corte ha avuto un ruolo di primo piano, imponendo, in nome del principio di eguaglianza, il diritto all’integrazione al minimo in caso di cumulo di trattamenti pensionistici, e pervenendo, attraverso la determinazione della natura del trattamento pensionistico minimo, a tracciare la fondamentale distinzione tra assistenza e previdenza sociale. Successivamente, nel ripercorrere il pensiero della Corte circa il valore e la portata dell’art. 38 Cost. - sulla base di quei filoni giurisprudenziali concernenti il tema della misura della prestazione previdenziale - è stata seguita l’evoluzione del concetto di prestazione previdenziale adeguata, alla ricerca dei criteri di determinazione del livello quantitativo idoneo a consentire tale adeguatezza ed a garantire l’effettività della tutela sancita dal precetto costituzionale in nome del principio della solidarietà sociale. Le conclusioni raggiunte al termine dell’analisi condotta hanno rivelato che l’apporto della giurisprudenza costituzionale al diritto del lavoro e della previdenza sociale ha sostanzialmente garantito lo Stato sociale disegnato dalla Costituzione e, quindi, promosso l’effettività del processo di costituzionalizzazione del diritto del lavoro (nel senso più ampio), ad ulteriore riprova che il valore sociale della Corte va ben al di là della funzione istituzionale che le viene assegnata al suo atto di nascita dalla legge. Nello stesso tempo è stato posto in evidenza come i problemi del lavoro e della previdenza abbiano da sempre costituito una delle voci fondamentali del Welfare (per gli effetti determinanti avuti sul trend e sulla forma assunta nel tempo dalla spesa sociale), e come la legislazione previdenziale-assicurativa garantita dallo Stato abbia finito con il rappresentare proprio la conquista fondamentale del medesimo Welfare State. Nell’ultima e conclusiva parte della trattazione (Cap. III) è stata svolta una riflessione complessiva sul ruolo svolto in questi anni dalla Corte costituzionale, che, nel tentativo di garantire i principi del Welfare State attraverso una politica estensiva dei diritti sociali, non ha mancato di confrontarsi costantemente con il problema delle risorse disponibili, ribadendo, tuttavia, a più riprese l’esistenza di limiti costituzionali invalicabili allo smantellamento dello Stato sociale; anche perché lo Stato sociale di diritto, coniugando libertà e giustizia sociale, rappresenta in ogni caso la forma più evoluta dello Stato contemporaneo, uno dei grandi obiettivi di uno Stato moderno, al quale nessun ordinamento sarebbe disposto a rinunciare. Una volta, quindi, chiarito che dallo Stato sociale non si torna indietro, è stata, tuttavia, evidenziata la necessità di dismettere quella mentalità informata ad un falso concetto dello Stato sociale, di abbandonare quella “cultura Welfare di tipo spendacciona”, che ha trasformato lo Stato da sociale in populista-assistenziale, assecondando così quell’evoluzione verso uno Stato sociale efficiente, che oggi la società civile reclama. In questo contesto si è rilevato, conclusivamente, come spetti in particolar modo al giudice delle leggi il compito di confermare l’esistenza di limiti costituzionali invalicabili alla riduzione dello Stato sociale, attraverso una difesa intransigente dei diritti e dei valori che costituiscono il nucleo della prima parte della nostra Costituzione. La Corte costituzionale, quindi, muovendosi al di sopra delle logiche politiche contingenti, assume in questo modo il ruolo nevralgico di uno degli ultimi baluardi rimasti a garanzia del valore costituzionale della solidarietà e, nel contempo, del principale difensore istituzionale dello Stato sociale, consapevole com’è che “creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire ad un maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale..., sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso”.
1996
88-13-19686-5
Colapietro, C. (1996). La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale - Collana delle Pubblicazioni dell’Istituto di Diritto Pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma - III Serie - n. 78. PADOVA : CEDAM.
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