Trasparenza e riflesso, veri e propri modelli dell’attività intellettiva già nell’indagine aristotelica sull’anima, assumono nella poesia duecentesca un ruolo strategico nel dibattito sulla natura dell’amore. Attraverso il gioco di reciproci richiami e opposizioni fra queste due metafore si arriva infatti a determinare la profonda divergenza che separa una visione dell’amore fatalistica, sensuale, “oscura”, caratteristica per la poesia di Guido Cavalcanti, e quella “luminosa”, positiva, che innerva invece la Commedia di Dante. Nel campo semantico delimitato dalle due immagini si colloca anche lo scarto fra l’orgogliosa utopia, di stampo averroista, di una «felicità mentale» legata alla conquista della conoscenza razionale assoluta, e la desistenza inevitabile dell’«alta fantasia» dantesca negli ultimi versi della Commedia, sui quali questo libro apre inattese prospettive ermeneutiche. Isolando il ruolo delle due metafore nella lirica del Duecento viene così messo a fuoco da un inedito punto di vista lo stretto legame che unisce fin dalle origini, nella tradizione letteraria italiana, riflessione filosofica ed espressione poetica. Sulla stessa traccia si ricompone sempre più nitidamente anche la particolare fisionomia della facoltà dell’anima denominata già nel medioevo fantasia, e in particolare della sua dimensione denominata alta: un “luogo dell’anima” molto diverso da ciò oggi definiamo fantastico.
Mocan, M.V. (2007). La trasparenza e il riflesso. Sull’«alta fantasia» in Dante e nel pensiero medievale. Milano : Bruno Mondadori.
La trasparenza e il riflesso. Sull’«alta fantasia» in Dante e nel pensiero medievale
MOCAN, MIRA VERONICA
2007-01-01
Abstract
Trasparenza e riflesso, veri e propri modelli dell’attività intellettiva già nell’indagine aristotelica sull’anima, assumono nella poesia duecentesca un ruolo strategico nel dibattito sulla natura dell’amore. Attraverso il gioco di reciproci richiami e opposizioni fra queste due metafore si arriva infatti a determinare la profonda divergenza che separa una visione dell’amore fatalistica, sensuale, “oscura”, caratteristica per la poesia di Guido Cavalcanti, e quella “luminosa”, positiva, che innerva invece la Commedia di Dante. Nel campo semantico delimitato dalle due immagini si colloca anche lo scarto fra l’orgogliosa utopia, di stampo averroista, di una «felicità mentale» legata alla conquista della conoscenza razionale assoluta, e la desistenza inevitabile dell’«alta fantasia» dantesca negli ultimi versi della Commedia, sui quali questo libro apre inattese prospettive ermeneutiche. Isolando il ruolo delle due metafore nella lirica del Duecento viene così messo a fuoco da un inedito punto di vista lo stretto legame che unisce fin dalle origini, nella tradizione letteraria italiana, riflessione filosofica ed espressione poetica. Sulla stessa traccia si ricompone sempre più nitidamente anche la particolare fisionomia della facoltà dell’anima denominata già nel medioevo fantasia, e in particolare della sua dimensione denominata alta: un “luogo dell’anima” molto diverso da ciò oggi definiamo fantastico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.