Se il Novecento e' stato da molti definito "il secolo americano", il 1918 e' stato sicuramente il primo "anno americano" della storia contemporanea. Il peso dell' ingresso degli Stati Uniti nella guerra mondiale si rivelo' subito fondamentale, sia dal lato militare che da quello economico e politico. Il Presidente Woodrow Wilson assurse al rango di leader mondiale, l' unico in grado di fronteggiare il contemporaneo astro nascente di Lenin. Un vero e proprio mito dell' America e di Wilson si diffuse in Europa. In esso confluirono elementi vecchi e nuovi: da un lato il mito dell' America come "terra promessa", nato sulla scia della Grande Emigrazione, e i miti risorgimentali della liberta' e democrazia americana; dall' altro la capacita' politica di Wilson di gestire una societa' di massa. Il carisma di Wilson, infatti, sia in America che all' estero, si basava non solo sulla forza di attrazione del suo idealismo, capace di far presa sulle masse, ma anche sulla moderna azione propagandistica che egli per primo promosse a livello mondiale. L' Italia e' stato il paese europeo in cui il mito americano e' stato piu' forte, anche se e' durato meno di un anno, trasformandosi presto nel suo contrario con il dissidio italo-americano della conferenza di pace, sfociato nello scoppio della "crisi di Fiume". Nel 1918, invece, il mito dell' America e di Wilson era dilagato nel vuoto ideologico del dopo-Caporetto e aveva supplito all' incapacita' della classe dirigente liberale di guidare una societa' che la guerra stessa aveva trasformato in una societa' di massa: "il presidente Wilson riscuote in questi giorni le testimonianze di maggiore simpatia", riconosceva Antonio Gramsci gia' nel marzo 1918. Anche in Italia, comunque, la popolarita' del presidente statunutense non dipese soltanto dalla modernita' del suo messaggio liberal-democratico, ma anche dalla capillare campagna propagandistica che egli promosse su tutto il territorio nazionale, attraverso le filiali della Croce Rossa Americana (cui aderi' la crema della gioventu' americana, fra cui Hemingway e Dos Passos), della Young Men's Christian Association (YMCA), del Committee on Public Information e alcune rappresentanze dell' esercito. Nel 1918-19 il mito americano in Italia ha avuto manifestazioni intense e appariscenti, anche se fugaci. Esse hanno contraddistinto una delle fasi iniziali del mito dell' America, che in modi diversi ha attraversato la cultura italiana per tutto il Novecento. Allora fu un mito soprattutto popolare, con punte di devozione quasi religiosa, su cui le forze politiche italiane fecero leva, sinceramente o opportunisticamente, per superare la crisi del dopo-Caporetto. Ad esso non corrispose, pero', un approfondimento del dialogo politico fra i due distanti alleati. Per motivi diversi, sia i dirigenti americani che quelli italiani preferirono non affrontare durante la guerra le evidenti divergenze delle loro politiche estere e rimandarono il chiarimento, e il probabile braccio di ferro, alla conferenza di pace. Il mio studio ricerca gli elementi che furono alla base del comportamento paradossale dei due alleati, che sbocco' nell' altrettanto paradossale vicenda della "questione adriatica". Con l' impossibilita' di un accordo, i due paesi di fatto accettarono la reciproca alienazione politica, tanto pericolosa e gravida di conseguenze in quel nevralgico primo dopoguerra. Le radici di questo scontro, pero', non vanno ricercate solo nelle personalita' dei leader politici, come si e' spesso fatto finora, ma soprattutto nella distanza culturale che separava i due paesi e che scaturiva principalmente dalla diverso grado di sviluppo delle rispettive societa' civili. La ricca e moderna America di Wilson, gia' familiare con i consumi, i mezzi di comunicazione e la politica di massa, era molto diversa dall' Italia elitaria e repressiva di Orlando e Sonnino. L' azione dei politici e diplomatici aumento' invece di diminuire il muro di ignoranza, incomprensioni e pregiudizi reciproci che divideva i due paesi. La diplomazia, intesa come l' arte di promuovere il dialogo tra culture differenti e il compromesso tra obiettivi politici distanti, fu la grande assente del primo incontro-scontro tra Italia e Stati Uniti negli anni della Grande Guerra. La propaganda, invece, entro' allora prepotentemente sulla scena politica per non abbandonarla piu'. In Italia, nel 1918 assistiamo al vasto dispiegarsi dell' azione assistenziale e propagandistico statunitense, il cui travolgente successo non era da ascriversi solo alla ricchezza ed efficacia dei mezzi impiegati, ma anche ai crescenti bisogni ideologici delle masse civili e combattenti italiane e al mito dell' America, paradiso dell' uomo comune, nato nelle zone d' emigrazione.

Rossini, D. (2000). Il mito americano nell'Italia della Grande Guerra. ROMA-BARI : Editori Laterza.

Il mito americano nell'Italia della Grande Guerra

ROSSINI, Daniela
2000-01-01

Abstract

Se il Novecento e' stato da molti definito "il secolo americano", il 1918 e' stato sicuramente il primo "anno americano" della storia contemporanea. Il peso dell' ingresso degli Stati Uniti nella guerra mondiale si rivelo' subito fondamentale, sia dal lato militare che da quello economico e politico. Il Presidente Woodrow Wilson assurse al rango di leader mondiale, l' unico in grado di fronteggiare il contemporaneo astro nascente di Lenin. Un vero e proprio mito dell' America e di Wilson si diffuse in Europa. In esso confluirono elementi vecchi e nuovi: da un lato il mito dell' America come "terra promessa", nato sulla scia della Grande Emigrazione, e i miti risorgimentali della liberta' e democrazia americana; dall' altro la capacita' politica di Wilson di gestire una societa' di massa. Il carisma di Wilson, infatti, sia in America che all' estero, si basava non solo sulla forza di attrazione del suo idealismo, capace di far presa sulle masse, ma anche sulla moderna azione propagandistica che egli per primo promosse a livello mondiale. L' Italia e' stato il paese europeo in cui il mito americano e' stato piu' forte, anche se e' durato meno di un anno, trasformandosi presto nel suo contrario con il dissidio italo-americano della conferenza di pace, sfociato nello scoppio della "crisi di Fiume". Nel 1918, invece, il mito dell' America e di Wilson era dilagato nel vuoto ideologico del dopo-Caporetto e aveva supplito all' incapacita' della classe dirigente liberale di guidare una societa' che la guerra stessa aveva trasformato in una societa' di massa: "il presidente Wilson riscuote in questi giorni le testimonianze di maggiore simpatia", riconosceva Antonio Gramsci gia' nel marzo 1918. Anche in Italia, comunque, la popolarita' del presidente statunutense non dipese soltanto dalla modernita' del suo messaggio liberal-democratico, ma anche dalla capillare campagna propagandistica che egli promosse su tutto il territorio nazionale, attraverso le filiali della Croce Rossa Americana (cui aderi' la crema della gioventu' americana, fra cui Hemingway e Dos Passos), della Young Men's Christian Association (YMCA), del Committee on Public Information e alcune rappresentanze dell' esercito. Nel 1918-19 il mito americano in Italia ha avuto manifestazioni intense e appariscenti, anche se fugaci. Esse hanno contraddistinto una delle fasi iniziali del mito dell' America, che in modi diversi ha attraversato la cultura italiana per tutto il Novecento. Allora fu un mito soprattutto popolare, con punte di devozione quasi religiosa, su cui le forze politiche italiane fecero leva, sinceramente o opportunisticamente, per superare la crisi del dopo-Caporetto. Ad esso non corrispose, pero', un approfondimento del dialogo politico fra i due distanti alleati. Per motivi diversi, sia i dirigenti americani che quelli italiani preferirono non affrontare durante la guerra le evidenti divergenze delle loro politiche estere e rimandarono il chiarimento, e il probabile braccio di ferro, alla conferenza di pace. Il mio studio ricerca gli elementi che furono alla base del comportamento paradossale dei due alleati, che sbocco' nell' altrettanto paradossale vicenda della "questione adriatica". Con l' impossibilita' di un accordo, i due paesi di fatto accettarono la reciproca alienazione politica, tanto pericolosa e gravida di conseguenze in quel nevralgico primo dopoguerra. Le radici di questo scontro, pero', non vanno ricercate solo nelle personalita' dei leader politici, come si e' spesso fatto finora, ma soprattutto nella distanza culturale che separava i due paesi e che scaturiva principalmente dalla diverso grado di sviluppo delle rispettive societa' civili. La ricca e moderna America di Wilson, gia' familiare con i consumi, i mezzi di comunicazione e la politica di massa, era molto diversa dall' Italia elitaria e repressiva di Orlando e Sonnino. L' azione dei politici e diplomatici aumento' invece di diminuire il muro di ignoranza, incomprensioni e pregiudizi reciproci che divideva i due paesi. La diplomazia, intesa come l' arte di promuovere il dialogo tra culture differenti e il compromesso tra obiettivi politici distanti, fu la grande assente del primo incontro-scontro tra Italia e Stati Uniti negli anni della Grande Guerra. La propaganda, invece, entro' allora prepotentemente sulla scena politica per non abbandonarla piu'. In Italia, nel 1918 assistiamo al vasto dispiegarsi dell' azione assistenziale e propagandistico statunitense, il cui travolgente successo non era da ascriversi solo alla ricchezza ed efficacia dei mezzi impiegati, ma anche ai crescenti bisogni ideologici delle masse civili e combattenti italiane e al mito dell' America, paradiso dell' uomo comune, nato nelle zone d' emigrazione.
2000
88-420-6014-3
Rossini, D. (2000). Il mito americano nell'Italia della Grande Guerra. ROMA-BARI : Editori Laterza.
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