Bits senza peso “Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks... e poi l’informatica... è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma d’impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso”. (I. Calvino, Lezioni americane). Ecco allora questo giardino etereo, diafano, quasi glauco che risponde a questa nuova attualità tecnologica ma che è anche il risultato di un’analisi filologica: tecnica: dal greco teknê = arte poesia: dal latino poesis derivato dal greco poiên = fare poetica: dal latino poetica derivato dal greco poietique <- fare arte. L’arte, la poesia è tecnica, il giardino è una composizione, un paesaggio retorico (<- rhetorike <- teknê): siamo su un palcoscenico con una precisa coreografia. Il modello del giardino giapponese di rocce e sabbia è la matrice di questo giardino di evocazioni e allusioni. L’immaginazione può riguardare solo ciò che è assente, suggerendo sempre di più con sempre di meno. È un giardino dello spirito dove noi possiamo passeggiare, galleggiare, volare su un ponte sottile, vettore d’informazione, sospeso su un’isola magica d’acqua in un mare mitico di lavanda. Ogni interpretazione impoverisce il mito e lo soffoca, non usciamo quindi da questo linguaggio d’immagini.

Cianci, M.G. (1999). Giardino di Lavanda. In Siti e paesaggi (pp. 96-99).

Giardino di Lavanda

CIANCI, MARIA GRAZIA
1999-01-01

Abstract

Bits senza peso “Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks... e poi l’informatica... è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma d’impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso”. (I. Calvino, Lezioni americane). Ecco allora questo giardino etereo, diafano, quasi glauco che risponde a questa nuova attualità tecnologica ma che è anche il risultato di un’analisi filologica: tecnica: dal greco teknê = arte poesia: dal latino poesis derivato dal greco poiên = fare poetica: dal latino poetica derivato dal greco poietique <- fare arte. L’arte, la poesia è tecnica, il giardino è una composizione, un paesaggio retorico (<- rhetorike <- teknê): siamo su un palcoscenico con una precisa coreografia. Il modello del giardino giapponese di rocce e sabbia è la matrice di questo giardino di evocazioni e allusioni. L’immaginazione può riguardare solo ciò che è assente, suggerendo sempre di più con sempre di meno. È un giardino dello spirito dove noi possiamo passeggiare, galleggiare, volare su un ponte sottile, vettore d’informazione, sospeso su un’isola magica d’acqua in un mare mitico di lavanda. Ogni interpretazione impoverisce il mito e lo soffoca, non usciamo quindi da questo linguaggio d’immagini.
1999
88-8125-347-X
Cianci, M.G. (1999). Giardino di Lavanda. In Siti e paesaggi (pp. 96-99).
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