Dopo tanto camminare da qualche tempo ho cominciato a riflettere sul fermarsi come pratica estetica. Cosa produce il fermarsi? Cosa induce a fermarsi? Come si sceglie il luogo in cui fermarsi? Quando arriva il Tempo del fermarsi? Esiste un archetipo del fermarsi? Esistono artisti che del fermarsi fanno la loro pratica poetica? Sono una serie di questioni che avevo affrontato scrivendo Walkscapes e che rimangono ancora aperte soprattutto se le si trasla sulla durata, dalla pausa di un momento del camminare nomade a quello di uno stop prolungato, quasi sedentario. Il camminare sembrava esprimere una natura antiachitettonica e quindi raccontare il camminare in quanto architettura era un concetto che doveva essere costruito e argomentato, nel fermarsi invece la relazione con l’architettura sembrerebbe più facile e diretta: quando ci si ferma nascerebbe l’architettura. Nel prossimo libro vorrei invece provare a prolungare anche nel fermarsi un modo nomade di approcciare al tema. Camminare e fermarsi non come termini in contraddizione tra loro, ma come parte di uno stesso processo. Vista in questa ottica il fermarsi è infatti una grande opportunità per continuare ad agire con lo stesso spirito dell’andare ma in uno spazio dello stare. Siamo insomma abituati a ragionare su uno spazio naturalmente “da fermi” ma senza la consapevolezza che quello stare fermi è in una instabile relazione con l’andare. Se si è fermi, è perché prima si stava camminando.
Careri, F. (2015). Stopscapes, un glosario.. In Densidadeds (pp. 49-55). Ciudad de Mexico : Arquine.
Stopscapes, un glosario.
CARERI, FRANCESCO
2015-01-01
Abstract
Dopo tanto camminare da qualche tempo ho cominciato a riflettere sul fermarsi come pratica estetica. Cosa produce il fermarsi? Cosa induce a fermarsi? Come si sceglie il luogo in cui fermarsi? Quando arriva il Tempo del fermarsi? Esiste un archetipo del fermarsi? Esistono artisti che del fermarsi fanno la loro pratica poetica? Sono una serie di questioni che avevo affrontato scrivendo Walkscapes e che rimangono ancora aperte soprattutto se le si trasla sulla durata, dalla pausa di un momento del camminare nomade a quello di uno stop prolungato, quasi sedentario. Il camminare sembrava esprimere una natura antiachitettonica e quindi raccontare il camminare in quanto architettura era un concetto che doveva essere costruito e argomentato, nel fermarsi invece la relazione con l’architettura sembrerebbe più facile e diretta: quando ci si ferma nascerebbe l’architettura. Nel prossimo libro vorrei invece provare a prolungare anche nel fermarsi un modo nomade di approcciare al tema. Camminare e fermarsi non come termini in contraddizione tra loro, ma come parte di uno stesso processo. Vista in questa ottica il fermarsi è infatti una grande opportunità per continuare ad agire con lo stesso spirito dell’andare ma in uno spazio dello stare. Siamo insomma abituati a ragionare su uno spazio naturalmente “da fermi” ma senza la consapevolezza che quello stare fermi è in una instabile relazione con l’andare. Se si è fermi, è perché prima si stava camminando.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.