Il libro raccoglie tre saggi. Il primo, schiettamente filosofico, prende avvio dall’esame degli stati d’animo da cui siamo pervasi, secondo Kant e Wittgenstein, quando pensiamo al mondo nel suo insieme, al semplice fatto che esso esiste e che noi vi apparteniamo. Per Kant, pensieri di tal genere sono inseparabili dal sentimento del sublime; per Wittgenstein, vanno di pari passo con una meraviglia che nulla può smorzare. Ma questo e soltanto lo spunto iniziale. Il testo vorrebbe abbozzare una idea di mondo niente affatto metafisica: capace, dunque, di produrre un attrito con le posizioni di Kant e di Wittgenstein, che, pure, si adottano quale esemplare falsariga. Una idea, se possibile, né roboante né squisita, che contribuisca a chiarire il significato implicito di espressioni consuete come ‘il corso del mondo, ‘stare al mondo’, ‘gente di mondo’. Il secondo saggio ha invece le sembianze di un piccolo trattato politico. Seleziona concetti e parole-chiave (intelletto pubblico, moltitudine, intemperanza, esodo ecc.) in grado di affrontare la tempesta magnetica che ha messo fuori uso le bussole cui si è affidata, dal Seicento in poi, la riflessione sulla “cura degli affari comuni”. L’obiettivo è perimetrare il terreno in tutta la sua estensione: con strumenti rudimentali, certo, ma senza eludere nessuno dei problemi cruciali e spinosi che pone, oggi, l’azione collettiva. I due saggi sotto un profilo concettuale si implicano a vicenda come le parole ‘sopra’ e ‘sotto’o ‘fuori’ e ‘dentro’. E sono concatenati. Basti pensare che il secondo, Virtuosismo e rivoluzione, ha per tema principale la nozione di sfera pubblica, discutendo della quale il primo, Mondanità, termina. I due testi si collocano però in generi letterari nettamente distinti, anzi eterogenei. Tra filosofia e teoria politica non manca mai uno scarto, spesso prevale l’incommensurabilità. Quando si passa da un piano all’altro, è inevitabile cambiare lingua, premesse, unità di misura. Il terzo saggio riprende e approfondisce, sia pure da un diverso angolo prospettico, alcuni dei temi discussi nei due testi che lo precedono, così come alcuni dei suoi autori, ad es. L. Wittgenstein. Ma non ci si inganni: più che un contrappunto al canovaccio teorico elaborato nei capitoli precedenti, L’uso della vita è l’enunciazione stenografica, scandita da tesi perentorie, di un programma di ricerca ancora da realizzare. Tutte le questioni lì nominate (dallo statuto del pronome ‘noi’ alla recitazione teatrale come banco di prova della filosofia del linguaggio) meriterebbero degli affondo rigorosi e spregiudicati. Lungi dal tirare le somme, il saggio finale riapre la partita.

Virno, P. (2015). L'idea di mondo. Intelletto pubblico e uso della vita. Macerata : Quodlibet.

L'idea di mondo. Intelletto pubblico e uso della vita

VIRNO, PAOLO
2015-01-01

Abstract

Il libro raccoglie tre saggi. Il primo, schiettamente filosofico, prende avvio dall’esame degli stati d’animo da cui siamo pervasi, secondo Kant e Wittgenstein, quando pensiamo al mondo nel suo insieme, al semplice fatto che esso esiste e che noi vi apparteniamo. Per Kant, pensieri di tal genere sono inseparabili dal sentimento del sublime; per Wittgenstein, vanno di pari passo con una meraviglia che nulla può smorzare. Ma questo e soltanto lo spunto iniziale. Il testo vorrebbe abbozzare una idea di mondo niente affatto metafisica: capace, dunque, di produrre un attrito con le posizioni di Kant e di Wittgenstein, che, pure, si adottano quale esemplare falsariga. Una idea, se possibile, né roboante né squisita, che contribuisca a chiarire il significato implicito di espressioni consuete come ‘il corso del mondo, ‘stare al mondo’, ‘gente di mondo’. Il secondo saggio ha invece le sembianze di un piccolo trattato politico. Seleziona concetti e parole-chiave (intelletto pubblico, moltitudine, intemperanza, esodo ecc.) in grado di affrontare la tempesta magnetica che ha messo fuori uso le bussole cui si è affidata, dal Seicento in poi, la riflessione sulla “cura degli affari comuni”. L’obiettivo è perimetrare il terreno in tutta la sua estensione: con strumenti rudimentali, certo, ma senza eludere nessuno dei problemi cruciali e spinosi che pone, oggi, l’azione collettiva. I due saggi sotto un profilo concettuale si implicano a vicenda come le parole ‘sopra’ e ‘sotto’o ‘fuori’ e ‘dentro’. E sono concatenati. Basti pensare che il secondo, Virtuosismo e rivoluzione, ha per tema principale la nozione di sfera pubblica, discutendo della quale il primo, Mondanità, termina. I due testi si collocano però in generi letterari nettamente distinti, anzi eterogenei. Tra filosofia e teoria politica non manca mai uno scarto, spesso prevale l’incommensurabilità. Quando si passa da un piano all’altro, è inevitabile cambiare lingua, premesse, unità di misura. Il terzo saggio riprende e approfondisce, sia pure da un diverso angolo prospettico, alcuni dei temi discussi nei due testi che lo precedono, così come alcuni dei suoi autori, ad es. L. Wittgenstein. Ma non ci si inganni: più che un contrappunto al canovaccio teorico elaborato nei capitoli precedenti, L’uso della vita è l’enunciazione stenografica, scandita da tesi perentorie, di un programma di ricerca ancora da realizzare. Tutte le questioni lì nominate (dallo statuto del pronome ‘noi’ alla recitazione teatrale come banco di prova della filosofia del linguaggio) meriterebbero degli affondo rigorosi e spregiudicati. Lungi dal tirare le somme, il saggio finale riapre la partita.
2015
9788874627660
Virno, P. (2015). L'idea di mondo. Intelletto pubblico e uso della vita. Macerata : Quodlibet.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/289895
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