L'articolo è scritto in forma di conferenza sulla ricerca da me svolta dagli anni di Stalker fino alle ultime esperienze con il LAC, Laboratorio di Arti Civiche del Dipartimento di Architettura di Roma Tre, tenendo come filo del discorso il tema delle risorse urbane latenti, o meglio dei territori urbani latenti, come li ha chiamati Sennet nel suo bellissimo testo sugli “usi del disordine”. La parola, latente deriva dal latino latere, star nascosto. Es: Latet anguis in herba, “il serpente sta nascosto tra l’erba” (Virgilio Egl.III. 93), immagine che si usa a proposito dei pericoli e delle insidie nascoste. E latente si usa anche per quelle malattie che non presentano sintomi, che covano in segreto, che non si sono ancora rivelate chiaramente: fenomeni urbani nascosti per paura di venire a galla ed essere “normalizzati”, zone considerate come delle malattie da curare prima ancora di essere comprese, realtà sociali che riescono a sopravvivere solo dove c’è poco o nessun controllo dal parte del Potere, preziosi terzi paesaggi in abbandono considerati sterpaglia da estirpare (Clement 2004). Ma ancora più utile è la parola Anabiosi, la vita biologica latente: un fenomeno che appartiene ad organismi che possono trascorrere un periodo di morte apparente, un certo tempo in condizioni di minima attività metabolica, per poi riprendere la loro primitiva vitalità al cessare delle condizioni sfavorevoli che lo avevano determinato. Parafrando gli usi del disordine di Sennet, sorgono allora alla mente molte domande sugli usi del latente: riconoscere le sue potenzialità ma non sfruttarle? Lasciarlo dormire? E se le condizioni che lo hanno reso latente non fossero cambiate? E poi oltre ai territori ed ai paesaggi ci sono anche persone, reti e gruppi sociali latenti, portatori di energie latenti, e con vocazioni e desideri latenti. E se fosse arrivato il tempo di sprigionarle? Forse si, ma bisogna praticare lentamente delle metodologie di rivelazione o di svelamento, inventarsele slungo la strada, anche collezionando errori. La dicitura tempo di latenza che si usa per l’anabiosi, è la stessa che si usa per definire in fotografia il tempo con cui le immagini si cominciano a rivelare nel bagno degli acidi durante la stampa. Forse è bene che anche la rappresentazione e il disvelamento di questi spazi abbia i suoi tempi lenti, che non sia data tutta in una volta, che sia una pratica artistica a rappresentarli, che ci sia consapevolezza di operare su un corpo delicato, che si nasconde e che a volte è bene non rivelare.
Careri, F. (2016). Latitants metropolitans. In Ressources urbaines latentes. Pour un renouveau écologique des territoires (pp. 335-352). Ginevra : MetisPresses.
Latitants metropolitans
CARERI, FRANCESCO
2016-01-01
Abstract
L'articolo è scritto in forma di conferenza sulla ricerca da me svolta dagli anni di Stalker fino alle ultime esperienze con il LAC, Laboratorio di Arti Civiche del Dipartimento di Architettura di Roma Tre, tenendo come filo del discorso il tema delle risorse urbane latenti, o meglio dei territori urbani latenti, come li ha chiamati Sennet nel suo bellissimo testo sugli “usi del disordine”. La parola, latente deriva dal latino latere, star nascosto. Es: Latet anguis in herba, “il serpente sta nascosto tra l’erba” (Virgilio Egl.III. 93), immagine che si usa a proposito dei pericoli e delle insidie nascoste. E latente si usa anche per quelle malattie che non presentano sintomi, che covano in segreto, che non si sono ancora rivelate chiaramente: fenomeni urbani nascosti per paura di venire a galla ed essere “normalizzati”, zone considerate come delle malattie da curare prima ancora di essere comprese, realtà sociali che riescono a sopravvivere solo dove c’è poco o nessun controllo dal parte del Potere, preziosi terzi paesaggi in abbandono considerati sterpaglia da estirpare (Clement 2004). Ma ancora più utile è la parola Anabiosi, la vita biologica latente: un fenomeno che appartiene ad organismi che possono trascorrere un periodo di morte apparente, un certo tempo in condizioni di minima attività metabolica, per poi riprendere la loro primitiva vitalità al cessare delle condizioni sfavorevoli che lo avevano determinato. Parafrando gli usi del disordine di Sennet, sorgono allora alla mente molte domande sugli usi del latente: riconoscere le sue potenzialità ma non sfruttarle? Lasciarlo dormire? E se le condizioni che lo hanno reso latente non fossero cambiate? E poi oltre ai territori ed ai paesaggi ci sono anche persone, reti e gruppi sociali latenti, portatori di energie latenti, e con vocazioni e desideri latenti. E se fosse arrivato il tempo di sprigionarle? Forse si, ma bisogna praticare lentamente delle metodologie di rivelazione o di svelamento, inventarsele slungo la strada, anche collezionando errori. La dicitura tempo di latenza che si usa per l’anabiosi, è la stessa che si usa per definire in fotografia il tempo con cui le immagini si cominciano a rivelare nel bagno degli acidi durante la stampa. Forse è bene che anche la rappresentazione e il disvelamento di questi spazi abbia i suoi tempi lenti, che non sia data tutta in una volta, che sia una pratica artistica a rappresentarli, che ci sia consapevolezza di operare su un corpo delicato, che si nasconde e che a volte è bene non rivelare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.