Questa pubblicazione si propone come risposta corale di elaborazioni sullo stato dell’arte degli studi di paesaggio, per scavare, nel presente, il nuovo inizio di un cammino condiviso che, pur nelle singole specificità, ha posto il progetto al centro del dialogo, delle relazioni e dei saperi. Il paesaggio al centro delle discussioni sul nostro futuro permea il presente e con la presa d’atto di una discontinuità città-natura, assistiamo ad un processo dove la città, con i propri nuclei storici, con le trasformazioni del dopoguerra, con gli innesti contemporanei, con gli spazi aperti, rurali anche residuali, riconosce proprio nei frammenti di natura il principio fondante per ricercare una nuova struttura che, dalla presenza dei sistemi idrografici, orografici, dalla vegetazione spontanea e coltivata trae le ragioni per ripensare e rifondare lo spazio della città abitata dall’uomo. La ricerca propone la condizione paesaggistica dei luoghi come il fattore chiave dal quale partire per innescare processi di trasformazione e riconnettere il sistema diffuso degli spazi aperti verso la comprensione della città-paesaggio determinando processi virtuosi di socialità e di cura degli spazi che abitiamo. Questo saggio propone una riflessione sul tema della conflittualità che si fa spazio nell’habitat urbano, quotidianamente; di quali ricadute possa avere sul progetto; al contempo e viceversa, sul progetto dello spazio aperto come generatore o mediatore di contese. Vi si trovano le figure e azioni del confine e del bordo, il barricare e il trasgredire; lo spessore della frontiera, e il negoziarne continuamente lo spazio e il tempo pertinenti; le proprietà e i passaggi, l’attraversare e l’escludere; i corpi e i comportamenti che, con inesausta vitalità, interrogano quei confini, quei bordi, quelle frontiere. L’architettura del paesaggio assume come proprie le leggi del vivente: che cambia, continuamente, si sposta, migra, cerca condizioni più favorevoli, fugge ai pericoli, si estingue, poi si rinnova, ricomincia, con ciò ignorando e rifiutando ogni frontiera. La negoziazione continua, l’incertezza, la porosità dei bordi, la trasformazione incessante, finanche la distruzione come fatto creativo, costituiscono lo statuto più autentico del progetto di paesaggio, abile a confrontarsi con strutture di luoghi, corpi e volontà in apparenza caotici e non organizzati e a dar loro un ordine instabile e giammai definitivo, con la consapevolezza che è nelle condizioni di frizione e di attrito che si sviluppa una effervescenza speciale, quella delle promesse, delle cose che sono in attesa, quella del futuro.
Metta, A. (2017). I fiumi non esistono. In V.C. Isotta Cortesi (a cura di), Il paesaggio al centro. Integrazione tra discipline (pp. 332-341). Siracusa : LetteraVentidue Edizioni srl.
I fiumi non esistono
annalisa metta
2017-01-01
Abstract
Questa pubblicazione si propone come risposta corale di elaborazioni sullo stato dell’arte degli studi di paesaggio, per scavare, nel presente, il nuovo inizio di un cammino condiviso che, pur nelle singole specificità, ha posto il progetto al centro del dialogo, delle relazioni e dei saperi. Il paesaggio al centro delle discussioni sul nostro futuro permea il presente e con la presa d’atto di una discontinuità città-natura, assistiamo ad un processo dove la città, con i propri nuclei storici, con le trasformazioni del dopoguerra, con gli innesti contemporanei, con gli spazi aperti, rurali anche residuali, riconosce proprio nei frammenti di natura il principio fondante per ricercare una nuova struttura che, dalla presenza dei sistemi idrografici, orografici, dalla vegetazione spontanea e coltivata trae le ragioni per ripensare e rifondare lo spazio della città abitata dall’uomo. La ricerca propone la condizione paesaggistica dei luoghi come il fattore chiave dal quale partire per innescare processi di trasformazione e riconnettere il sistema diffuso degli spazi aperti verso la comprensione della città-paesaggio determinando processi virtuosi di socialità e di cura degli spazi che abitiamo. Questo saggio propone una riflessione sul tema della conflittualità che si fa spazio nell’habitat urbano, quotidianamente; di quali ricadute possa avere sul progetto; al contempo e viceversa, sul progetto dello spazio aperto come generatore o mediatore di contese. Vi si trovano le figure e azioni del confine e del bordo, il barricare e il trasgredire; lo spessore della frontiera, e il negoziarne continuamente lo spazio e il tempo pertinenti; le proprietà e i passaggi, l’attraversare e l’escludere; i corpi e i comportamenti che, con inesausta vitalità, interrogano quei confini, quei bordi, quelle frontiere. L’architettura del paesaggio assume come proprie le leggi del vivente: che cambia, continuamente, si sposta, migra, cerca condizioni più favorevoli, fugge ai pericoli, si estingue, poi si rinnova, ricomincia, con ciò ignorando e rifiutando ogni frontiera. La negoziazione continua, l’incertezza, la porosità dei bordi, la trasformazione incessante, finanche la distruzione come fatto creativo, costituiscono lo statuto più autentico del progetto di paesaggio, abile a confrontarsi con strutture di luoghi, corpi e volontà in apparenza caotici e non organizzati e a dar loro un ordine instabile e giammai definitivo, con la consapevolezza che è nelle condizioni di frizione e di attrito che si sviluppa una effervescenza speciale, quella delle promesse, delle cose che sono in attesa, quella del futuro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.