ll termine “postbellico” denota qui l’epoca storica che si apre con la fine del secondo conflitto mondiale e coincide, in una sua prima fase, conclusasi nel 1989, con il costituirsi di quell’ambito politico, economico e militare che solitamente chiamiamo “atlantico”. L’Europa occidentale smette di essere lo scenario elettivo dei principali processi storici; e per la prima volta nella sua storia moderna diviene parte della sfera di influenza di una potenza extraeuropea, gli Stati Uniti. Gli equilibri geoculturali si ridisegnano con uguale radicalità, e Parigi cede a New York, in un breve giro d’anni prima della metà degli anni Cinquanta, la palma di capitale culturale planetaria. Tutto ciò ha profonde conseguenze sul modo in cui gli artisti concepiscono o vengono a costruire le loro “carriere”; si definiscono élites culturali e “cerchie”; e più in generale arte, politica, media e società stabiliscono tra di loro nuovi e durevoli rapporti. Per ragioni storico-sociali, ideologico-politiche e culturali insieme, il gioco tra “resistenza” e “assimilazione”, “identità” (o “nazione culturale”) e cosmopolitismo è drammatizzato nell’arte italiana postbellica come mai altrove. La storiografia angloamericana si è interessata all’arte italiana postbellica in anni recenti, e con pieno merito, sollevando problemi, invocando nuove prospettive storiografiche, dispiegando confronti. È tuttavia inevitabile che la ricostruzione mostri rigidità ideologiche e angolature su cui è utile riflettere, anche per la mancanza della traduzione delle fonti, che rischia sovente di sbilanciare o appiattire il discorso sui pochi testi disponibili e su una cronologia di fatti e una lista di nomi riconosciuti come “ufficiali”. Si tratta adesso, esauritasi per ovvie ragioni cronologiche la stagione della critica militante e venuti a maturità gli studi delle fonti documentarie, di sperimentare una posizione critica terza, mirata ad avvicinare le opere sul duplice presupposto di una loro autonoma (benché certo non irrelata) capacità di dichiarazione; e a procurare una connoisseurship specifica, tale da spingere la ricerca, ove necessario, oltre la fedeltà all’egodocumento in direzione di un’indagine compiutamente storiografica che permetta di percorrere nuove vie di studio e interpretazione volte altresì a richiamare l’attenzione sui molteplici processi di rimozione cui è incorsa la ricezione dell’arte e della critica italiana postbellica nel contesto internazionale.
Conte, L. (a cura di). (2016). Arte italiana postbellica. Pisa : ETS.
Arte italiana postbellica
Lara Conte
2016-01-01
Abstract
ll termine “postbellico” denota qui l’epoca storica che si apre con la fine del secondo conflitto mondiale e coincide, in una sua prima fase, conclusasi nel 1989, con il costituirsi di quell’ambito politico, economico e militare che solitamente chiamiamo “atlantico”. L’Europa occidentale smette di essere lo scenario elettivo dei principali processi storici; e per la prima volta nella sua storia moderna diviene parte della sfera di influenza di una potenza extraeuropea, gli Stati Uniti. Gli equilibri geoculturali si ridisegnano con uguale radicalità, e Parigi cede a New York, in un breve giro d’anni prima della metà degli anni Cinquanta, la palma di capitale culturale planetaria. Tutto ciò ha profonde conseguenze sul modo in cui gli artisti concepiscono o vengono a costruire le loro “carriere”; si definiscono élites culturali e “cerchie”; e più in generale arte, politica, media e società stabiliscono tra di loro nuovi e durevoli rapporti. Per ragioni storico-sociali, ideologico-politiche e culturali insieme, il gioco tra “resistenza” e “assimilazione”, “identità” (o “nazione culturale”) e cosmopolitismo è drammatizzato nell’arte italiana postbellica come mai altrove. La storiografia angloamericana si è interessata all’arte italiana postbellica in anni recenti, e con pieno merito, sollevando problemi, invocando nuove prospettive storiografiche, dispiegando confronti. È tuttavia inevitabile che la ricostruzione mostri rigidità ideologiche e angolature su cui è utile riflettere, anche per la mancanza della traduzione delle fonti, che rischia sovente di sbilanciare o appiattire il discorso sui pochi testi disponibili e su una cronologia di fatti e una lista di nomi riconosciuti come “ufficiali”. Si tratta adesso, esauritasi per ovvie ragioni cronologiche la stagione della critica militante e venuti a maturità gli studi delle fonti documentarie, di sperimentare una posizione critica terza, mirata ad avvicinare le opere sul duplice presupposto di una loro autonoma (benché certo non irrelata) capacità di dichiarazione; e a procurare una connoisseurship specifica, tale da spingere la ricerca, ove necessario, oltre la fedeltà all’egodocumento in direzione di un’indagine compiutamente storiografica che permetta di percorrere nuove vie di studio e interpretazione volte altresì a richiamare l’attenzione sui molteplici processi di rimozione cui è incorsa la ricezione dell’arte e della critica italiana postbellica nel contesto internazionale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.