Il nuovo rapporto SaniRegio2017, in linea con le edizioni precedenti, fornisce un’analisi della spesa sanitaria corrente delle singole Regioni italiane proponendo un meccanismo di calcolo del fabbisogno standard basato sulla stima di una funzione di spesa. SaniRegio è incentrato su un modello empirico derivato dalla funzione di costo dei servizi sanitari che considera come variabile dipendente la spesa storica corrente di ogni Regione e, tra i principali driver del fabbisogno, tiene conto di una pluralità di dimensioni legate al contesto socio-economico di ogni territorio, a partire dalla numerosità e dalla composizione per età della popolazione residente. Tra le principali caratteristiche metodologiche di SaniRegio2017 è opportuno citare l’introduzione di due stime riferite rispettivamente alla quota di spesa spiegata dall’adeguatezza dei servizi erogati e all’efficienza con cui questi ultimi sono stati prodotti. L’analisi s’inserisce nel recente dibattito sull’evoluzione del processo di calcolo dei fabbisogni e costi standard del settore sanitario. Dibattito animato dalla necessità di aggiornare la procedura di calcolo prevista dal d.lgs. 68/2011 in modo da tenere conto, oltre che della struttura della popolazione, anche dei livelli di efficienza e di appropriatezza raggiunti da ogni regione nell’offerta dei servizi sanitari come indicato dall’art. 1 comma 601 della l. 190/2014. L’approccio alla stima dei fabbisogni del sistema sanitario non vuole essere un mero esercizio dal lato della spesa, ma considerare all’interno dello stesso framework di stima il livello del servizio offerto sul territorio; il livello della domanda, dell’offerta e della spesa sono, infatti, tre parti di una stessa visione del problema che vanno stimati in modo congiunto alla ricerca di un sottile equilibrio tra una maggiore efficienza ed una distribuzione più equa dell’offerta. Il rapporto mostra come a fronte di una livello globale di spesa inefficiente stimato nel 16,2% della spesa storica, pari a circa 15,47 miliardi di euro, la riduzione di risorse si concentrerebbe maggiormente nelle regioni del sud; prendendo in considerazione anche l’ammontare di risorse sufficiente a colmare l’output-gap negativo, il possibile risparmio globale di spesa si ridurrebbe drasticamente, attestandosi al 2,5% della spesa storica, pari a circa 3 miliardi di euro. Più in particolare, accanto all’analisi della spesa sono stati presi in esame in modo esplicito i livelli delle prestazioni erogate, gli input impiegati e quindi il livello di spesa attribuibile alle inefficienze di ogni sistema sanitario regionale. In particolare si è cercato di isolare la quota di spesa storica relativa all’inefficienza tecnica, generata dall’utilizzo eccessivo di input in rapporto ai servizi offerti, dalla quota di spesa storica relativa all’inefficienza di prezzo dovuta, invece, alla presenza di costi unitari degli input superiori rispetto a quelli efficienti. Per l’individuazione dei livelli di inefficienza di ogni sistema sanitario regionale sono state impiegate, quindi, una varietà di tecniche di stima e di aggregazione basate sui modelli di Data Envelopment Analysis e sui modelli delle Frontiere Stocastiche. Oltre all’individuazione dei livelli di spesa inefficiente sono state ottenute tre misure che approssimano la funzione di produzione dei servizi sanitari: un indicatore composito di output, costituito da una componente dimensionale misurata in relazione alle giornate di degenza e da una componente qualitativa legata principalmente ai flussi della mobilità sanitaria; un indicatore composito dell’input lavoro, che comprende sia la componente legata agli infermieri, ai tecnici e al personale riabilitativo in generale, sia la componente più specialistica legata al personale medico; un indicatore composito dell’input capitale, che misura il livello delle dotazioni strumentali considerando la distribuzione dei beni strumentali (quali TAC, tavoli operatori, tavoli radio ecc.) e la distribuzione dei posti letto. Al fine di valutare l’appropriatezza dei servizi è stata introdotta una misura di output-gap corrispondente alla differenza tra output storico e output standard. Mentre l’output storico corrisponde all’indicatore composito di output descritto sopra, l’output standard è misurato attraverso la stima di una funzione di output, un modello empirico derivato dalla funzione di domanda dei servizi sanitari che vede come variabile dipendente l’output storico; tra le variabili esplicative del livello dei servizi erogati, oltre agli stessi driver del fabbisogno standard, sono considerati anche i saldi di mobilità ospedaliera interregionale in modo da isolare la componente di output-gap legata al soddisfacimento della domanda esterna dalla componente di output-gap legata al soddisfacimento della domanda interna. Le Regioni che non riescono a soddisfare adeguatamente la domanda del proprio territorio, in quanto offrono un livello di servizi inferiore rispetto allo standard, sono quelle che mostrano un output-gap negativo. Grazie al calcolo dell’output-gap si è potuto, successivamente, quantificare l’ammontare di risorse necessarie a potenziare in modo efficiente l’offerta di servizi delle regioni con output-gap negativo. L’output-gap, pertanto, identifica, per ogni regione, l’adeguatezza dei servizi offerti avendo come benchmark il sistema sanitario regionale che a parità di variabili di contesto riesce a massimizzare il livello di prestazioni per abitante. Nel modello la regione benchmark è la Lombardia: di conseguenza, per le altre regioni l’output-gap mostra il livello dei servizi pro capite che si sarebbe potuto produrre se si fosse operato come la Lombardia a parità di variabili che misurano il contesto socio-economico di riferimento. È importante, a tal proposito, precisare che il livello di output standard ottimale di ogni Regione, anche considerando l’output-gap rispetto alla regione benchmark, non sarà necessariamente uguale a quello della Lombardia, in quanto il livello di servizio ottimale dipende in primis dalle caratteristiche di ogni territorio tra cui un ruolo predominante è rappresentato dalla struttura della popolazione. I risultati delle analisi elaborate in SaniRegio2017 mostrano come cambierebbe il riparto della quota indistinta del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale se ad ogni Regione venisse sottratta una quota di finanziamento pari al suo livello di spesa inefficiente: a fronte di una livello globale di spesa inefficiente stimato nel 16,2% della spesa storica, pari a circa 15,47 miliardi di euro, la riduzione di risorse si concentrerebbe maggiormente nelle regioni del sud passando da una riduzione del 3,1% e del 4,5%, rispettivamente nelle Marche e in Lombardia, a una riduzione del 28,0% e del 30,3% stimata, rispettivamente, per la Sardegna e la Calabria. Se si ipotizza, poi, di attribuire a ogni Regione un ammontare di risorse sufficiente a colmare l’output-gap negativo, il possibile risparmio globale di spesa si ridurrebbe drasticamente, attestandosi al 2,5% della spesa storica, pari a circa 3 miliardi di euro. Nonostante la quota di spesa comprimibile continui a concentrarsi maggiormente nelle regioni meridionali, una volta che nel calcolo dei possibili risparmi di spesa si tiene conto congiuntamente, sia dei livelli di inefficienza, sia del grado di adeguatezza delle prestazioni offerte, le distanze tra nord e sud tendono a ridursi. Ad esempio, se nella quantificazione della spesa standard si considerasse, congiuntamente all’inefficienza, anche l’adeguatezza dei servizi offerti, la riduzione potenziale di spesa per la Calabria passerebbe dal 30,3% al 6,6%. Questo accade perché nelle regioni meridionali si osservano contemporaneamente i livelli più alti di spesa inefficiente e le esigenze più forti di innalzamento dei livelli quantitativi e qualitativi delle prestazioni offerte. Come riportato nella figura 1, dall’analisi dell’evoluzione nel tempo della quota di spesa attribuibile alle inefficienza emerge, tra il 1998 e il 2012, una costante recupero di efficienza che ha interessato mediamente tutte le aree del paese anche se si nota chiaramente una forte dualizzazione con le regioni del sud molto distante da quelle del centro, escluso il Lazio, e del nord. In particolare, le regioni del mezzogiorno (incluse Sicilia e Sardegna) sono passate da un livello di inefficienza medio prossimo al 50% del 1998 ad una quota di spesa inefficiente inferiore al 30% nel 2012, le rimanente regioni sono passate mediamente dal 25% di spesa inefficiente a circa il 15%. Il recupero in termini di efficienza da parte delle regioni meridionali, con il conseguente ridursi del gap con il resto del paese è sicuramente un’ottima notizia anche se è importante sottolineare come il trend decrescente abbia subito un forte rallentamento a partire dal 2006, anno dal quale le distanze tra le regioni meridionali e il resto del paese non si sono più ridotte arrestando il processo di convergenza iniziato alla fine degli anni ’90. Un andamento simile si registra nell’evoluzione dell’output-gap, come mostrato nella figura 2, dove si evince però una diversa dualizzazione del Paese con le regioni del centro – sempre escludendo il Lazio – molto più vicine al quelle del Sud piuttosto che a quelle del Nord. Figura 1: Inefficienza in percentuale della spesa storica La distanza (negativa) tra le prestazioni erogate e lo standard mostra, in percentuale della spesa storica, un notevole miglioramento nel corso degli ultimi 20 anni passando da una media del -16% del 1998 ad un valore del -10% del 2012, il che testimonia un generale miglioramento nell’adeguatezza dei servizi erogati lungo la penisola. Se si guarda alle singole aree del paese separatamente, però, l’analisi mostra anche delle criticità. In particolare nelle regioni del nord (incluse le regioni a statuto speciale) si è passati da una media del -10% del 1998 al -6% del 2012, nelle regioni del centro si è passati da una media del -20% ad una valore del -12%, da ultimo nelle regioni meridionali (incluse le isole) si è passati dal -35% del 1998 al -20% del 2012. Se è vero che la forbice tra il Nord e il resto del paese si è ridotta nel periodo analizzato, è anche vero che le distanze si sono ridotte principalmente dalla fine degli anni ’90 sino al 2006, anno dal quale il processo di catching-up del meridione e delle regioni del centro (in cui un peso notevole è rappresentato dal Lazio) sembra essersi arrestato mostrando segni preoccupanti di una inversione di tendenza rispetto al sentiero di miglioramento delle prestazioni mantenuto in modo costante, invece, dalle regioni settentrionali. I risultati di SaniRegio2017 mostrano che le cause del mancato recupero di efficienza osservato nelle regioni meridionali nella seconda parte degli anni duemila vanno ricercate non solo in relazione ai più bassi livelli di output per abitante offerti rispetto a quanto registrato nel Centro e nel Nord della penisola, ma anche in relazione alla non corretta proporzione tra gli input e agli effetti generati dai programmi di contenimento della spesa che hanno interessato principalmente le regioni meridionali a partire dalla seconda metà degli anni duemila attraverso l’adozione dei Piani di rientro. Figura 2: Output-gap in percentuale della spesa storica Dallo studio dell’impatto generato dall’adozione dei piani di rientro sui livelli di inefficienza e sui livelli delle prestazioni erogate scaturiscono importanti indicazioni di policy. Secondo quanto riportato dalla Ragioneria Generale dello Stato (2014) i piani di rientro rappresentano attualmente “uno strumento fondamentale del sistema di governance del Servizio sanitario nazionale diretto alla risoluzione delle problematiche inerenti l’efficienza e l’efficacia nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione in relazione alla manifestazione, in talune regioni, di elevati ed insostenibili disavanzi strutturali e la presenza di gravi carenze nell’erogazione appropriata dei LEA” (Livelli Essenziali delle Prestazioni). Dalla nostra analisi emerge che, probabilmente, non tutti questi obiettivi sono stati raggiunti soprattutto sul versante degli stimoli ad una più efficiente erogazione delle prestazioni a fronte di una salvaguardia dei livelli delle prestazioni erogate. Le nostre stime mostrano che i piani di rientro hanno avuto successo nel centrare l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica a scapito, però, dei livelli delle prestazioni offerte, che nelle regioni interessate da questi programmi sono diminuite portando ad deterioramento dell’output-gap. Di conseguenza non sembra che i piani di rientro siano riusciti nell’intento di intercettare correttamente e ridurre la spesa inefficiente. Da qui la necessità di riformare parzialmente questo strumento di governance sviluppando sistemi di monitoraggio che pongano maggiore enfasi sul livello dei servizi erogati a parità di input al fine di garantire che, a fronte di un miglioramento dei saldi finanziari, non si registri un deterioramento delle prestazioni. Tali conclusioni relative ai macro aggregati di spesa pubblica sono fondamentali per una corretta programmazione dei trasferimenti statali, ma rischiano di rimanere sterili se non calati in modo corretto ed equo sui singoli territori o a livello più micro. Da questa considerazione è nato l’interesse per stimare la domanda di salute ad un livello il più possibile disaggregato al fine da un lato di fornire strumenti statistici per riallineare dinamicamente la relativa offerta e dall’altro di sottolineare sempre più l’importanza di produrre/diffondere dati sul comportamento individuale e sociale che possano aiutare a migliorare le decisioni e le politiche pubbliche. L’indicatore di domanda disaggregato a livello comunale ha prodotto due importanti risultati sulle regolarità cross-regionali in termini di domanda e di offerta e sul rischio sanitario, che aumenta all’aumentare della distanza fisica dalle strutture sanitarie. Questi risultati, sia pure ancora in forma provvisoria, dovrebbero essere presi in considerazione per evitare un’offerta diseguale collegata ai singoli confini amministrativi regionali e, in ultima analisi, per costruire sistemi che, nell’interazione tra centro e periferia, possano collaborare per una migliore e più puntuale offerta locale.
Fabio, P., Porcelli, F.S., Vidoli, F., Auteri, M., Guido, B. (2017). La spesa sanitaria delle Regioni in Italia – Saniregio2017. Siena : Edizioni Fondazionei CERM.
La spesa sanitaria delle Regioni in Italia – Saniregio2017
PORCELLI, FRANCESCO SAVERIOMembro del Collaboration Group
;Vidoli, Francesco
Membro del Collaboration Group
;Monica AuteriMembro del Collaboration Group
;
2017-01-01
Abstract
Il nuovo rapporto SaniRegio2017, in linea con le edizioni precedenti, fornisce un’analisi della spesa sanitaria corrente delle singole Regioni italiane proponendo un meccanismo di calcolo del fabbisogno standard basato sulla stima di una funzione di spesa. SaniRegio è incentrato su un modello empirico derivato dalla funzione di costo dei servizi sanitari che considera come variabile dipendente la spesa storica corrente di ogni Regione e, tra i principali driver del fabbisogno, tiene conto di una pluralità di dimensioni legate al contesto socio-economico di ogni territorio, a partire dalla numerosità e dalla composizione per età della popolazione residente. Tra le principali caratteristiche metodologiche di SaniRegio2017 è opportuno citare l’introduzione di due stime riferite rispettivamente alla quota di spesa spiegata dall’adeguatezza dei servizi erogati e all’efficienza con cui questi ultimi sono stati prodotti. L’analisi s’inserisce nel recente dibattito sull’evoluzione del processo di calcolo dei fabbisogni e costi standard del settore sanitario. Dibattito animato dalla necessità di aggiornare la procedura di calcolo prevista dal d.lgs. 68/2011 in modo da tenere conto, oltre che della struttura della popolazione, anche dei livelli di efficienza e di appropriatezza raggiunti da ogni regione nell’offerta dei servizi sanitari come indicato dall’art. 1 comma 601 della l. 190/2014. L’approccio alla stima dei fabbisogni del sistema sanitario non vuole essere un mero esercizio dal lato della spesa, ma considerare all’interno dello stesso framework di stima il livello del servizio offerto sul territorio; il livello della domanda, dell’offerta e della spesa sono, infatti, tre parti di una stessa visione del problema che vanno stimati in modo congiunto alla ricerca di un sottile equilibrio tra una maggiore efficienza ed una distribuzione più equa dell’offerta. Il rapporto mostra come a fronte di una livello globale di spesa inefficiente stimato nel 16,2% della spesa storica, pari a circa 15,47 miliardi di euro, la riduzione di risorse si concentrerebbe maggiormente nelle regioni del sud; prendendo in considerazione anche l’ammontare di risorse sufficiente a colmare l’output-gap negativo, il possibile risparmio globale di spesa si ridurrebbe drasticamente, attestandosi al 2,5% della spesa storica, pari a circa 3 miliardi di euro. Più in particolare, accanto all’analisi della spesa sono stati presi in esame in modo esplicito i livelli delle prestazioni erogate, gli input impiegati e quindi il livello di spesa attribuibile alle inefficienze di ogni sistema sanitario regionale. In particolare si è cercato di isolare la quota di spesa storica relativa all’inefficienza tecnica, generata dall’utilizzo eccessivo di input in rapporto ai servizi offerti, dalla quota di spesa storica relativa all’inefficienza di prezzo dovuta, invece, alla presenza di costi unitari degli input superiori rispetto a quelli efficienti. Per l’individuazione dei livelli di inefficienza di ogni sistema sanitario regionale sono state impiegate, quindi, una varietà di tecniche di stima e di aggregazione basate sui modelli di Data Envelopment Analysis e sui modelli delle Frontiere Stocastiche. Oltre all’individuazione dei livelli di spesa inefficiente sono state ottenute tre misure che approssimano la funzione di produzione dei servizi sanitari: un indicatore composito di output, costituito da una componente dimensionale misurata in relazione alle giornate di degenza e da una componente qualitativa legata principalmente ai flussi della mobilità sanitaria; un indicatore composito dell’input lavoro, che comprende sia la componente legata agli infermieri, ai tecnici e al personale riabilitativo in generale, sia la componente più specialistica legata al personale medico; un indicatore composito dell’input capitale, che misura il livello delle dotazioni strumentali considerando la distribuzione dei beni strumentali (quali TAC, tavoli operatori, tavoli radio ecc.) e la distribuzione dei posti letto. Al fine di valutare l’appropriatezza dei servizi è stata introdotta una misura di output-gap corrispondente alla differenza tra output storico e output standard. Mentre l’output storico corrisponde all’indicatore composito di output descritto sopra, l’output standard è misurato attraverso la stima di una funzione di output, un modello empirico derivato dalla funzione di domanda dei servizi sanitari che vede come variabile dipendente l’output storico; tra le variabili esplicative del livello dei servizi erogati, oltre agli stessi driver del fabbisogno standard, sono considerati anche i saldi di mobilità ospedaliera interregionale in modo da isolare la componente di output-gap legata al soddisfacimento della domanda esterna dalla componente di output-gap legata al soddisfacimento della domanda interna. Le Regioni che non riescono a soddisfare adeguatamente la domanda del proprio territorio, in quanto offrono un livello di servizi inferiore rispetto allo standard, sono quelle che mostrano un output-gap negativo. Grazie al calcolo dell’output-gap si è potuto, successivamente, quantificare l’ammontare di risorse necessarie a potenziare in modo efficiente l’offerta di servizi delle regioni con output-gap negativo. L’output-gap, pertanto, identifica, per ogni regione, l’adeguatezza dei servizi offerti avendo come benchmark il sistema sanitario regionale che a parità di variabili di contesto riesce a massimizzare il livello di prestazioni per abitante. Nel modello la regione benchmark è la Lombardia: di conseguenza, per le altre regioni l’output-gap mostra il livello dei servizi pro capite che si sarebbe potuto produrre se si fosse operato come la Lombardia a parità di variabili che misurano il contesto socio-economico di riferimento. È importante, a tal proposito, precisare che il livello di output standard ottimale di ogni Regione, anche considerando l’output-gap rispetto alla regione benchmark, non sarà necessariamente uguale a quello della Lombardia, in quanto il livello di servizio ottimale dipende in primis dalle caratteristiche di ogni territorio tra cui un ruolo predominante è rappresentato dalla struttura della popolazione. I risultati delle analisi elaborate in SaniRegio2017 mostrano come cambierebbe il riparto della quota indistinta del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale se ad ogni Regione venisse sottratta una quota di finanziamento pari al suo livello di spesa inefficiente: a fronte di una livello globale di spesa inefficiente stimato nel 16,2% della spesa storica, pari a circa 15,47 miliardi di euro, la riduzione di risorse si concentrerebbe maggiormente nelle regioni del sud passando da una riduzione del 3,1% e del 4,5%, rispettivamente nelle Marche e in Lombardia, a una riduzione del 28,0% e del 30,3% stimata, rispettivamente, per la Sardegna e la Calabria. Se si ipotizza, poi, di attribuire a ogni Regione un ammontare di risorse sufficiente a colmare l’output-gap negativo, il possibile risparmio globale di spesa si ridurrebbe drasticamente, attestandosi al 2,5% della spesa storica, pari a circa 3 miliardi di euro. Nonostante la quota di spesa comprimibile continui a concentrarsi maggiormente nelle regioni meridionali, una volta che nel calcolo dei possibili risparmi di spesa si tiene conto congiuntamente, sia dei livelli di inefficienza, sia del grado di adeguatezza delle prestazioni offerte, le distanze tra nord e sud tendono a ridursi. Ad esempio, se nella quantificazione della spesa standard si considerasse, congiuntamente all’inefficienza, anche l’adeguatezza dei servizi offerti, la riduzione potenziale di spesa per la Calabria passerebbe dal 30,3% al 6,6%. Questo accade perché nelle regioni meridionali si osservano contemporaneamente i livelli più alti di spesa inefficiente e le esigenze più forti di innalzamento dei livelli quantitativi e qualitativi delle prestazioni offerte. Come riportato nella figura 1, dall’analisi dell’evoluzione nel tempo della quota di spesa attribuibile alle inefficienza emerge, tra il 1998 e il 2012, una costante recupero di efficienza che ha interessato mediamente tutte le aree del paese anche se si nota chiaramente una forte dualizzazione con le regioni del sud molto distante da quelle del centro, escluso il Lazio, e del nord. In particolare, le regioni del mezzogiorno (incluse Sicilia e Sardegna) sono passate da un livello di inefficienza medio prossimo al 50% del 1998 ad una quota di spesa inefficiente inferiore al 30% nel 2012, le rimanente regioni sono passate mediamente dal 25% di spesa inefficiente a circa il 15%. Il recupero in termini di efficienza da parte delle regioni meridionali, con il conseguente ridursi del gap con il resto del paese è sicuramente un’ottima notizia anche se è importante sottolineare come il trend decrescente abbia subito un forte rallentamento a partire dal 2006, anno dal quale le distanze tra le regioni meridionali e il resto del paese non si sono più ridotte arrestando il processo di convergenza iniziato alla fine degli anni ’90. Un andamento simile si registra nell’evoluzione dell’output-gap, come mostrato nella figura 2, dove si evince però una diversa dualizzazione del Paese con le regioni del centro – sempre escludendo il Lazio – molto più vicine al quelle del Sud piuttosto che a quelle del Nord. Figura 1: Inefficienza in percentuale della spesa storica La distanza (negativa) tra le prestazioni erogate e lo standard mostra, in percentuale della spesa storica, un notevole miglioramento nel corso degli ultimi 20 anni passando da una media del -16% del 1998 ad un valore del -10% del 2012, il che testimonia un generale miglioramento nell’adeguatezza dei servizi erogati lungo la penisola. Se si guarda alle singole aree del paese separatamente, però, l’analisi mostra anche delle criticità. In particolare nelle regioni del nord (incluse le regioni a statuto speciale) si è passati da una media del -10% del 1998 al -6% del 2012, nelle regioni del centro si è passati da una media del -20% ad una valore del -12%, da ultimo nelle regioni meridionali (incluse le isole) si è passati dal -35% del 1998 al -20% del 2012. Se è vero che la forbice tra il Nord e il resto del paese si è ridotta nel periodo analizzato, è anche vero che le distanze si sono ridotte principalmente dalla fine degli anni ’90 sino al 2006, anno dal quale il processo di catching-up del meridione e delle regioni del centro (in cui un peso notevole è rappresentato dal Lazio) sembra essersi arrestato mostrando segni preoccupanti di una inversione di tendenza rispetto al sentiero di miglioramento delle prestazioni mantenuto in modo costante, invece, dalle regioni settentrionali. I risultati di SaniRegio2017 mostrano che le cause del mancato recupero di efficienza osservato nelle regioni meridionali nella seconda parte degli anni duemila vanno ricercate non solo in relazione ai più bassi livelli di output per abitante offerti rispetto a quanto registrato nel Centro e nel Nord della penisola, ma anche in relazione alla non corretta proporzione tra gli input e agli effetti generati dai programmi di contenimento della spesa che hanno interessato principalmente le regioni meridionali a partire dalla seconda metà degli anni duemila attraverso l’adozione dei Piani di rientro. Figura 2: Output-gap in percentuale della spesa storica Dallo studio dell’impatto generato dall’adozione dei piani di rientro sui livelli di inefficienza e sui livelli delle prestazioni erogate scaturiscono importanti indicazioni di policy. Secondo quanto riportato dalla Ragioneria Generale dello Stato (2014) i piani di rientro rappresentano attualmente “uno strumento fondamentale del sistema di governance del Servizio sanitario nazionale diretto alla risoluzione delle problematiche inerenti l’efficienza e l’efficacia nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione in relazione alla manifestazione, in talune regioni, di elevati ed insostenibili disavanzi strutturali e la presenza di gravi carenze nell’erogazione appropriata dei LEA” (Livelli Essenziali delle Prestazioni). Dalla nostra analisi emerge che, probabilmente, non tutti questi obiettivi sono stati raggiunti soprattutto sul versante degli stimoli ad una più efficiente erogazione delle prestazioni a fronte di una salvaguardia dei livelli delle prestazioni erogate. Le nostre stime mostrano che i piani di rientro hanno avuto successo nel centrare l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica a scapito, però, dei livelli delle prestazioni offerte, che nelle regioni interessate da questi programmi sono diminuite portando ad deterioramento dell’output-gap. Di conseguenza non sembra che i piani di rientro siano riusciti nell’intento di intercettare correttamente e ridurre la spesa inefficiente. Da qui la necessità di riformare parzialmente questo strumento di governance sviluppando sistemi di monitoraggio che pongano maggiore enfasi sul livello dei servizi erogati a parità di input al fine di garantire che, a fronte di un miglioramento dei saldi finanziari, non si registri un deterioramento delle prestazioni. Tali conclusioni relative ai macro aggregati di spesa pubblica sono fondamentali per una corretta programmazione dei trasferimenti statali, ma rischiano di rimanere sterili se non calati in modo corretto ed equo sui singoli territori o a livello più micro. Da questa considerazione è nato l’interesse per stimare la domanda di salute ad un livello il più possibile disaggregato al fine da un lato di fornire strumenti statistici per riallineare dinamicamente la relativa offerta e dall’altro di sottolineare sempre più l’importanza di produrre/diffondere dati sul comportamento individuale e sociale che possano aiutare a migliorare le decisioni e le politiche pubbliche. L’indicatore di domanda disaggregato a livello comunale ha prodotto due importanti risultati sulle regolarità cross-regionali in termini di domanda e di offerta e sul rischio sanitario, che aumenta all’aumentare della distanza fisica dalle strutture sanitarie. Questi risultati, sia pure ancora in forma provvisoria, dovrebbero essere presi in considerazione per evitare un’offerta diseguale collegata ai singoli confini amministrativi regionali e, in ultima analisi, per costruire sistemi che, nell’interazione tra centro e periferia, possano collaborare per una migliore e più puntuale offerta locale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.