La necessità dell’umanizzazione della medicina rischia ormai di diventare un luogo comune, che sentiamo ripetere sempre più spesso. D’altra parte, mentre è chiaro cosa significhi medicina dis-umana, non è altrettanto chiaro il contenuto di quella che si definisce come medicina umana o umanizzata. Appare sempre più evidente che la medicina, per rendersi più consapevole dei propri scopi e dei propri metodi, ha bisogno di un “supplemento di riflessione”, ossia di attingere a categorie filosofiche. In particolare, il dialogo tra medicina e antropologia filosofica è imprescindibile per riempire di senso nozioni come la malattia, la storia clinica, il rapporto medico-paziente. Nella penisola iberica è possibile riconoscere l’esistenza di un’esperienza medica e, più recentemente, psichiatrica, accompagnata da una spiccata sensibilità per conciliare l’indagine clinica con la riflessione antropologica. Essa rappresenta un’eredità dei numerosi terapeuti ebrei e arabi che operarono in Spagna fin dal X secolo, come il filosofo e medico arabo Averroé (1126-1198) e l’ebreo Mosé Maimonide (1135-1204), filosofo di Cordoba e medico in Egitto. Da queste figure di medici-filosofi parte una lunga tradizione di “medicina umanistica” o di “umanesimo medico” che soprattutto nella prima metà del XX secolo può offrire un contributo prezioso per impostare un dialogo tra la filosofia e la medicina, di fatto proficuo per entrambe le discipline. Tra i protagonisti di questo orientamento si possono citare Gregorio Marañón (1887-1960), Juan Rof Carballo (1905-1994), Juan José Lopez Ibor (1906-1991), Pedro Laín Entralgo (1908-2001).
Russo, M.T. (2018). Umanesimo medico e filosofia della medicina nella Spagna della prima metà del XX secolo. In Cosio Sonia (a cura di), L’ottimo medico è anche filosofo? Il proficuo scambio tra medicina e filosofia attraverso i secoli e le culture (pp. 29-49). Bologna : Le due Torri.
Umanesimo medico e filosofia della medicina nella Spagna della prima metà del XX secolo
Russo Maria Teresa
2018-01-01
Abstract
La necessità dell’umanizzazione della medicina rischia ormai di diventare un luogo comune, che sentiamo ripetere sempre più spesso. D’altra parte, mentre è chiaro cosa significhi medicina dis-umana, non è altrettanto chiaro il contenuto di quella che si definisce come medicina umana o umanizzata. Appare sempre più evidente che la medicina, per rendersi più consapevole dei propri scopi e dei propri metodi, ha bisogno di un “supplemento di riflessione”, ossia di attingere a categorie filosofiche. In particolare, il dialogo tra medicina e antropologia filosofica è imprescindibile per riempire di senso nozioni come la malattia, la storia clinica, il rapporto medico-paziente. Nella penisola iberica è possibile riconoscere l’esistenza di un’esperienza medica e, più recentemente, psichiatrica, accompagnata da una spiccata sensibilità per conciliare l’indagine clinica con la riflessione antropologica. Essa rappresenta un’eredità dei numerosi terapeuti ebrei e arabi che operarono in Spagna fin dal X secolo, come il filosofo e medico arabo Averroé (1126-1198) e l’ebreo Mosé Maimonide (1135-1204), filosofo di Cordoba e medico in Egitto. Da queste figure di medici-filosofi parte una lunga tradizione di “medicina umanistica” o di “umanesimo medico” che soprattutto nella prima metà del XX secolo può offrire un contributo prezioso per impostare un dialogo tra la filosofia e la medicina, di fatto proficuo per entrambe le discipline. Tra i protagonisti di questo orientamento si possono citare Gregorio Marañón (1887-1960), Juan Rof Carballo (1905-1994), Juan José Lopez Ibor (1906-1991), Pedro Laín Entralgo (1908-2001).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.