Spreafico prende spunto dalla diffusione a trecentosessanta gradi del termine “populismo” per compiere una riflessione sull’autoproduzione di oggetti di analisi da parte degli studiosi del sociale e del politico. Per l’Autore, tali studiosi prendono costantemente parte all’interno della suddetta “produzione” e contemporaneamente fanno attività politica, più o meno inavvertita, in connessione con un certo modo di intendere la loro professione. Riferirsi al populismo diviene dunque una scusa per ragionare sull’attività del sociologo, che può confondere il fornire conoscenza con l’indicare ove sia il bene ed il giusto. Ne emerge la necessità di un’approfondita riflessione sui compiti di una sociologia che provi a tenersi lontana dal partecipare alla vita sociale (in cui sostiene cause a fini trasformativi) invece di studiarla, e che dunque si limiti a fornire sapere sugli aspetti costitutivi del vivere sociale. Una sociologia non politico-emancipatoria, volta a pensarsi ancora come scienza, si occuperà, ad esempio, delle modalità e dei processi attraverso cui gli studiosi giungono a impiegare certe categorie, in un certo modo, e a fornire certe descrizioni, con certi dispositivi di classificazione, dunque dei processi di definizione dei problemi sociali. Non si occuperà, invece, di indicare la retta via ai nemici (se, come accade spesso, “populisti” ha una connotazione negativa) o di concordare con gli amici (quando, più di rado, “populisti” è un’espressione positiva – coloro che credono di offrirne una versione neutrale cominciano ad essere smentiti nel testo e in altri cui lì si rinvia).
Spreafico, A. (2020). Ricerca, politica, populismo, sociologia: un circolo vizioso?. In A.C. Marco Burgalassi (a cura di), Diseguaglianze e inclusione. Saggi di sociologia (pp. 45-66). Roma : Roma TrE-Press [10.13134/979-12-80060-43-3].
Ricerca, politica, populismo, sociologia: un circolo vizioso?
Andrea Spreafico
2020-01-01
Abstract
Spreafico prende spunto dalla diffusione a trecentosessanta gradi del termine “populismo” per compiere una riflessione sull’autoproduzione di oggetti di analisi da parte degli studiosi del sociale e del politico. Per l’Autore, tali studiosi prendono costantemente parte all’interno della suddetta “produzione” e contemporaneamente fanno attività politica, più o meno inavvertita, in connessione con un certo modo di intendere la loro professione. Riferirsi al populismo diviene dunque una scusa per ragionare sull’attività del sociologo, che può confondere il fornire conoscenza con l’indicare ove sia il bene ed il giusto. Ne emerge la necessità di un’approfondita riflessione sui compiti di una sociologia che provi a tenersi lontana dal partecipare alla vita sociale (in cui sostiene cause a fini trasformativi) invece di studiarla, e che dunque si limiti a fornire sapere sugli aspetti costitutivi del vivere sociale. Una sociologia non politico-emancipatoria, volta a pensarsi ancora come scienza, si occuperà, ad esempio, delle modalità e dei processi attraverso cui gli studiosi giungono a impiegare certe categorie, in un certo modo, e a fornire certe descrizioni, con certi dispositivi di classificazione, dunque dei processi di definizione dei problemi sociali. Non si occuperà, invece, di indicare la retta via ai nemici (se, come accade spesso, “populisti” ha una connotazione negativa) o di concordare con gli amici (quando, più di rado, “populisti” è un’espressione positiva – coloro che credono di offrirne una versione neutrale cominciano ad essere smentiti nel testo e in altri cui lì si rinvia).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.