Più vicina al continente africano che a quello europeo, punto di riferimento, con la sua alta montagna, di ogni viaggio che volesse attraversare il Mediterraneo lungo l’antico Mar d’Affrica, Pantelleria, ben prima di richiamare turisti, ha attratto commercianti di ossidiana, conquistatori di imperi, razziatori di alberi, agricoltori disperati, esuli costretti al confino e studiosi di ogni scienza. Ciascuno nell’isola ha lasciato tracce di sé ed essa, a sua volta, l’ha lasciata nelle vicende dei singoli interessi economici, militari o culturali che a Pantelleria si erano indirizzati. La peculiarità dell’isola in ogni storia, naturale o umana, del Mediterraneo trova specifici spazi: l’indicazione di qualche endemismo animale o vegetale, singolarità vulcanologiche o geologiche, significative tracce archeologiche ... Pantelleria ospita, con tutta evidenza, anche un notevole numero di adattamenti colturali tradizionali adeguati alle difficili caratteristiche ambientali e alla mancanza di risorse produttive. Le attività umane e, soprattutto, l’agricoltura erano possibili solo attraverso l’uso estensivo di pratiche particolari che hanno trasformato l’isola, nel corso della sua storia millenaria, in un paesaggio unico in pietra a secco fatto di terrazze e muretti che ne segnano fortemente il carattere. Al centro delle rotte commerciali del Mediterraneo fin dall’epoca preistorica, Pantelleria ha una lunga storia di insediamenti umani che hanno dovuto affrontare la natura vulcanica e la scarsità associata di risorse fondamentali come la disponibilità di acqua e il terreno coltivabile. Queste limitazioni imponevano agli abitanti di sviluppare una serie di tecniche, dando origine a un peculiare agro-ecosistema che incarna un sistema di conoscenze tradizionali complesso e pienamente sviluppato. Le testimonianze di chi si occupa di scienze agrarie non mancano di segnalare significative eccellenze (spesso esclusive della cultura agronomica isolana) dell’agricoltura locale: la diffusione delle architetture e delle sistemazioni agrarie in pietra a secco, la forma di allevamento del vigneto e quella dell’ olivo che quasi non si solleva dal suolo, la coltivazione del cappero (specie altrove solitamente utilizzata allo stato selvatico), la diffusione di una grande biodiversità ortofrutticola coltivata, tecniche di aridocoltura che, in assenza di acqua da destinare all’irrigazione, consentono comunque di coltivare ortaggi e (quasi un miracolo!) di far produrre sull’isola gli agrumi. Ancora oggi Pantelleria, e la sua agricoltura, vivono sulle tracce di una tradizione multiculturale, ma questa deve far fronte ai recenti cambiamenti avvenuti nello scenario economico e ambientale globale, trovando nuovi modi di conservare il tradizionale paesaggio agricolo ancora attivo e redditizio nonostante i costi elevati del lavoro umano e gli investimenti richiesti. I singoli accorgimenti del sistema tradizionale non sono sfuggiti alle attenzioni degli scienziati fino a portare a Pantelleria importanti riconoscimenti come l’inserimento della forma di allevamento “a conca” dell’alberello di Zibibbo, come bene immateriale dell’umanità, nella World Heritage List dell’UNESCO o l’acquisizione del giardino Donnafugata, costituito da un singolo albero di arancio, tra i beni del Fondo Ambiente Italiano. Ma ciò che più e meglio contraddistingue l’agricoltura pantesca non è la singola tecnica ma il sistema all’interno della quale essa è inserita. Sistema di conoscenze che, seppure inconsapevolmente, hanno riferimento nei presupposti culturali fondativi della scienza dell’agroecologia, nata negli anni Ottanta del secolo scorso e mirata all’applicazione dei concetti dell’ecologia al campo coltivato. Una scienza correlata all’ecologia ma anche all’economia e al sociale; partecipativa in quanto richiede il coinvolgimento di tutte le parti interessate che va dalla “fattoria alla tavola” e non guarda solo alle funzioni produttive, ma anche a quelle ambientali, culturali, sociali. Interessa, in definitiva, la complessità dei rapporti tra uomo e natura. L’agroecologia consente di comprendere la complessità dell’agricoltura pantesca ma essa è ancora meglio espressa dalla nozione di paesaggio, inteso nel senso di “paesaggio culturale”, come intende l’ UNESCO «opera combinata della natura e dell’uomo», espressione del progetto di società i cui bisogni, materiali e immateriali possono cambiare in relazione alle necessità di essa. Il paesaggio, nella sua dinamicità connaturata, è in grado di confrontarsi con il futuro e di adeguarsi a esso, alla sua inevitabile imprevedibilità, alle domande che si porranno, ai bisogni che nasceranno dalla storia passata e presente di una comunità attraverso la partecipazione, la condivisione, l’incontro di saperi diversi. Il paesaggio è il risultato della cultura di un popolo, nasce con la partecipazione di chi li costruisce “con sudore e amore” (come ha scritto Cesare Brandi nelle sue imprescindibili pagine sul paesaggio pantesco). Non si dimentichi che è stato detto (M. Schwind) che “mentre un pittore dipinge un quadro, un poeta scrive una poesia, un intero popolo crea il proprio paesaggio; costruisce il serbatoio profondo della sua cultura, reca l’impronta del suo spirito” Tali caratteristiche sono alla base di molti paesaggi tradizionali (variamente definiti tradizionali o storici, agrari o rurali) sopravvissuti al successo dell’agricoltura industriale. Essi definiscono i sistemi agrari nei loro caratteri evolutivi storicamente sedimentati; l’attributo di tradizionalità riguarda non solo la persistenza storica dell’uso del suolo ma anche quella di funzioni ambientali, culturali, sociali, economiche che insieme ne denotano la complessità. I paesaggi rurali tradizionali non sono valutati solo per il valore di heritage, di bene culturale da salvaguardare, né di riserva di biodiversità o come deposito di saperi immateriali: nel disegno spaziale considerano l’insieme che da tutto ciò deriva in relazione alla capacità di organizzare molteplici funzioni e gli interessi (materiali e immateriali, il tangibile e l’intangibile come direbbe l’UNESCO) delle popolazioni. In Italia l’idea è presente nell’iniziativa del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali relativa all’”Osservatorio nazionale del paesaggio rurale e delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali”, al momento attivo nella catalogazione attraverso un Registro Nazionale al quale è già iscritto “Il paesaggio della pietra a secco dell’Isola di Pantelleria” redatto da un gruppo di lavoro, guidato da Giorgia De Pasquale. Il lavoro (che ispira questo primo Quaderno del Parco e che perfettamente esprime l’intenzione di confrontarsi, anche attraverso le prossime pubblicazioni, con la “coltura” e la “cultura” dell’isola) parte da una attenta disamina degli studi che hanno riguardato il territorio e attraverso un continuo confronto con la popolazione di Pantelleria. Porta al “racconto” del paesaggio tradizionale e dei suoi valori, conduce ai presupposti culturali che hanno condotto all’Istituzione del “Parco Nazionale Isola di Pantelleria” come dimostra il fatto che questo non considera il paesaggio tradizionale in quanto “monumento” ma come esempio di un rapporto felice tra il sapere degli uomini e l’ambiente. Non paesaggio “boutique” oggetto di conservazione, ma paesaggio al quale si garantisce la connaturata dinamicità, espressione di attiva coevoluzione tra uomo e natura.

DE PASQUALE, G. (2020). Il paesaggio rurale tradizionale dell'Isola di Pantelleria. Parco Nazionale Isola di Pantelleria.

Il paesaggio rurale tradizionale dell'Isola di Pantelleria

GIORGIA DE PASQUALE
2020-01-01

Abstract

Più vicina al continente africano che a quello europeo, punto di riferimento, con la sua alta montagna, di ogni viaggio che volesse attraversare il Mediterraneo lungo l’antico Mar d’Affrica, Pantelleria, ben prima di richiamare turisti, ha attratto commercianti di ossidiana, conquistatori di imperi, razziatori di alberi, agricoltori disperati, esuli costretti al confino e studiosi di ogni scienza. Ciascuno nell’isola ha lasciato tracce di sé ed essa, a sua volta, l’ha lasciata nelle vicende dei singoli interessi economici, militari o culturali che a Pantelleria si erano indirizzati. La peculiarità dell’isola in ogni storia, naturale o umana, del Mediterraneo trova specifici spazi: l’indicazione di qualche endemismo animale o vegetale, singolarità vulcanologiche o geologiche, significative tracce archeologiche ... Pantelleria ospita, con tutta evidenza, anche un notevole numero di adattamenti colturali tradizionali adeguati alle difficili caratteristiche ambientali e alla mancanza di risorse produttive. Le attività umane e, soprattutto, l’agricoltura erano possibili solo attraverso l’uso estensivo di pratiche particolari che hanno trasformato l’isola, nel corso della sua storia millenaria, in un paesaggio unico in pietra a secco fatto di terrazze e muretti che ne segnano fortemente il carattere. Al centro delle rotte commerciali del Mediterraneo fin dall’epoca preistorica, Pantelleria ha una lunga storia di insediamenti umani che hanno dovuto affrontare la natura vulcanica e la scarsità associata di risorse fondamentali come la disponibilità di acqua e il terreno coltivabile. Queste limitazioni imponevano agli abitanti di sviluppare una serie di tecniche, dando origine a un peculiare agro-ecosistema che incarna un sistema di conoscenze tradizionali complesso e pienamente sviluppato. Le testimonianze di chi si occupa di scienze agrarie non mancano di segnalare significative eccellenze (spesso esclusive della cultura agronomica isolana) dell’agricoltura locale: la diffusione delle architetture e delle sistemazioni agrarie in pietra a secco, la forma di allevamento del vigneto e quella dell’ olivo che quasi non si solleva dal suolo, la coltivazione del cappero (specie altrove solitamente utilizzata allo stato selvatico), la diffusione di una grande biodiversità ortofrutticola coltivata, tecniche di aridocoltura che, in assenza di acqua da destinare all’irrigazione, consentono comunque di coltivare ortaggi e (quasi un miracolo!) di far produrre sull’isola gli agrumi. Ancora oggi Pantelleria, e la sua agricoltura, vivono sulle tracce di una tradizione multiculturale, ma questa deve far fronte ai recenti cambiamenti avvenuti nello scenario economico e ambientale globale, trovando nuovi modi di conservare il tradizionale paesaggio agricolo ancora attivo e redditizio nonostante i costi elevati del lavoro umano e gli investimenti richiesti. I singoli accorgimenti del sistema tradizionale non sono sfuggiti alle attenzioni degli scienziati fino a portare a Pantelleria importanti riconoscimenti come l’inserimento della forma di allevamento “a conca” dell’alberello di Zibibbo, come bene immateriale dell’umanità, nella World Heritage List dell’UNESCO o l’acquisizione del giardino Donnafugata, costituito da un singolo albero di arancio, tra i beni del Fondo Ambiente Italiano. Ma ciò che più e meglio contraddistingue l’agricoltura pantesca non è la singola tecnica ma il sistema all’interno della quale essa è inserita. Sistema di conoscenze che, seppure inconsapevolmente, hanno riferimento nei presupposti culturali fondativi della scienza dell’agroecologia, nata negli anni Ottanta del secolo scorso e mirata all’applicazione dei concetti dell’ecologia al campo coltivato. Una scienza correlata all’ecologia ma anche all’economia e al sociale; partecipativa in quanto richiede il coinvolgimento di tutte le parti interessate che va dalla “fattoria alla tavola” e non guarda solo alle funzioni produttive, ma anche a quelle ambientali, culturali, sociali. Interessa, in definitiva, la complessità dei rapporti tra uomo e natura. L’agroecologia consente di comprendere la complessità dell’agricoltura pantesca ma essa è ancora meglio espressa dalla nozione di paesaggio, inteso nel senso di “paesaggio culturale”, come intende l’ UNESCO «opera combinata della natura e dell’uomo», espressione del progetto di società i cui bisogni, materiali e immateriali possono cambiare in relazione alle necessità di essa. Il paesaggio, nella sua dinamicità connaturata, è in grado di confrontarsi con il futuro e di adeguarsi a esso, alla sua inevitabile imprevedibilità, alle domande che si porranno, ai bisogni che nasceranno dalla storia passata e presente di una comunità attraverso la partecipazione, la condivisione, l’incontro di saperi diversi. Il paesaggio è il risultato della cultura di un popolo, nasce con la partecipazione di chi li costruisce “con sudore e amore” (come ha scritto Cesare Brandi nelle sue imprescindibili pagine sul paesaggio pantesco). Non si dimentichi che è stato detto (M. Schwind) che “mentre un pittore dipinge un quadro, un poeta scrive una poesia, un intero popolo crea il proprio paesaggio; costruisce il serbatoio profondo della sua cultura, reca l’impronta del suo spirito” Tali caratteristiche sono alla base di molti paesaggi tradizionali (variamente definiti tradizionali o storici, agrari o rurali) sopravvissuti al successo dell’agricoltura industriale. Essi definiscono i sistemi agrari nei loro caratteri evolutivi storicamente sedimentati; l’attributo di tradizionalità riguarda non solo la persistenza storica dell’uso del suolo ma anche quella di funzioni ambientali, culturali, sociali, economiche che insieme ne denotano la complessità. I paesaggi rurali tradizionali non sono valutati solo per il valore di heritage, di bene culturale da salvaguardare, né di riserva di biodiversità o come deposito di saperi immateriali: nel disegno spaziale considerano l’insieme che da tutto ciò deriva in relazione alla capacità di organizzare molteplici funzioni e gli interessi (materiali e immateriali, il tangibile e l’intangibile come direbbe l’UNESCO) delle popolazioni. In Italia l’idea è presente nell’iniziativa del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali relativa all’”Osservatorio nazionale del paesaggio rurale e delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali”, al momento attivo nella catalogazione attraverso un Registro Nazionale al quale è già iscritto “Il paesaggio della pietra a secco dell’Isola di Pantelleria” redatto da un gruppo di lavoro, guidato da Giorgia De Pasquale. Il lavoro (che ispira questo primo Quaderno del Parco e che perfettamente esprime l’intenzione di confrontarsi, anche attraverso le prossime pubblicazioni, con la “coltura” e la “cultura” dell’isola) parte da una attenta disamina degli studi che hanno riguardato il territorio e attraverso un continuo confronto con la popolazione di Pantelleria. Porta al “racconto” del paesaggio tradizionale e dei suoi valori, conduce ai presupposti culturali che hanno condotto all’Istituzione del “Parco Nazionale Isola di Pantelleria” come dimostra il fatto che questo non considera il paesaggio tradizionale in quanto “monumento” ma come esempio di un rapporto felice tra il sapere degli uomini e l’ambiente. Non paesaggio “boutique” oggetto di conservazione, ma paesaggio al quale si garantisce la connaturata dinamicità, espressione di attiva coevoluzione tra uomo e natura.
2020
978-88-945243-0-7
DE PASQUALE, G. (2020). Il paesaggio rurale tradizionale dell'Isola di Pantelleria. Parco Nazionale Isola di Pantelleria.
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