Il Rapporto dal Territorio 2019, nella consapevolezza di operare tra Cambiamento e Mutazione, registra una marcata incisività delle attività di pianificazione nelle modalità di governo del territorio nelle diverse aree del Paese ma soprattutto intende fornire un supporto cognitivo per interpretare i complessi processi che intervengono nella Mutazione. Questo riguarda in particolare le interazioni imperfette che nei diversi contesti producono metamorfosi dei paesaggi, e dei Sistemi insediativi, senza una razionalità estetica, funzionale e spesso neanche economica comprensibile dei cittadini. Al fine di meglio interpretare la dimensione complessa del Cambiamento/Mutazione e nella tradizione dei precedenti Rapporti, sono stati intervistati alcuni autorevoli “testimoni” anche in riferimento alla loro più recente produzione disciplinare. Ne è derivato un significativo mosaico, le cui tessere costituiscono una interessante descrizione del contesto in cui opera l’Urbanistica. Il Rapporto si articola in tre parti: una prima parte tratta le Politiche pubbliche territoriali, nazionali e regionali, la seconda parte tratta dei Sistemi di pianificazione, definititi dalle legislazioni regionali e analizzati nelle dimensioni della pianificazione territoriale e in quella dei comuni. Lo stato della pianificazione del Paesaggio conclude la seconda parte. La terza parte che ripropone come complementi al RdT che intendono fornire una documentazione di come l’Istituto interpreta il cambiamento/mutazione dall’Urbanistica e delle sue prassi, sul piano di una verifica diretta, attraverso il lavoro delle Communities che può aiutare a “porre bene” i problemi che la disciplina affronta nelle sue complesse articolazioni. In alcune specifiche situazioni territoriali o su temi di particolare interesse l’istituto ha inoltre avviato sperimentazioni di cui il Rapporto da una sintetica discrezione attraverso i Progetti pilota per il paese i Progetti urbanistici, di territorio e di paesaggio, presenti anche nelle divere edizioni di U.Promo e nella RUN e che costituiscono un riscontro significativo di una nuova dimensione operativa nella quale sperimentare nuove prassi. I Box approfondiscono i temi della Rigenerazione, del Documento Unico di programmazione, dei PUMS ma analizzano anche nella loro evoluzione, i Sistemi locali del lavoro, la Cassa Depositi e Prestiti, etc. , tutti temi interrelati con il Piano . La prima parte del RdT che tratta delle Politiche di contenuto territoriale è separata in questa edizione dalla seconda parte, che tratta della Pianificazione, pur mantenendo concettualmente viva la interazione tra Piani e Politiche sia per meglio comprendere l’intervenuta interruzione di un ciclo di riforme avviate dal Governo precedente al voto del 2018 che si sono mostrate più intenzionali che “sostanziali” per lo meno per gli effetti sul territorio e le città, sia per le modeste risorse investite, sia per l’assenza di una strategia complessiva comune alle diverse politiche (SNAI – Città Metropolitane – Periferie). Parallelamente si sono ridotte le rappresentazioni dei fenomeni alla scala Macroregionale condensandoli in dati aggregati e spostando la loro valutazione nello spazio dedicato alle politiche regionali. Questo non tanto per l’abbandono di una visione macroregionale, in quanto non praticabile nell’immediato in relazione al crescente antieuropeismo di parte del governo alle politiche infrastrutturali connesse ai programmi europei o interregionali, quanto per una totale assenza di idee e di progetti, connotati da caratteri strategici nella dimensione macro regionale, da parte delle stesse Regioni. Questo è dovuto sia alla regressione dello Stato rispetto ad una fase forse troppo illuministica, che aveva caratterizzato la stagione dei Programmi Complessi, sia alla crescente disillusione rispetto alla dimensione europea, statale e regionale che era alla base della Coesione territoriale ma che è stata spesso interpretata solo come sommatoria di spezzoni di localismo senza una regia (N. Rossi. Mediterraneo del Nord 2005). Proprio l’assenza di una interpretazione del cambiamento di lungo periodo alla quale si sono preferite politiche ridistributive, di tipo settoriale e tra loro non integrate, ha ridotto gli effetti che le stesse hanno prodotto non tanto sul territorio quanto sui comportamenti degli amministratori, dei tecnici e dell’opinione pubblica. Scarsità di risorse, intellettualismo, sopravvalutazione del ruolo opportunistico della politica locale hanno decretato il fallimento di una stagione di riforme riavviare le quali non sarà facile nel delinerasi di una recessione economica che interessa l’intera UE. E’ quindi apparso opportuno tentare un bilancio di alcune di queste Politiche Nazionali di contenuto territoriale quali: La Strategia nazionale dello sviluppo sostenibile, la Strategia per le aree interne, il Programma periferie, etc con ricognizioni analitiche e critiche degli stessi. L’Analisi delle Politiche parte da un aggiornamento del quadro di sintesi elaborato nel Rapporto 2016 che ha consentito di verificar le stesse sia in termini di continuità /discontinua, sia in termini di attuazione. L’apporto alla edizione RdT 2019 dell’Agenzia per la coesione territoriale, inaugura una importante collaborazione in base ad uno specifico Accordo quadro con l‘Istituto e consente una ampia descrizione degli esiti delle diverse politiche e in particolare del PON Metro e della politica di Cooperazione territoriale rilanciando il tema del rapporto tra pianificazione e programmazione. Il Rapporto propone inoltre un diretto confronto tra la ricognizione analitica dello stato della Pianificazione presente nella seconda parte e l’azione di monitoraggio dell’Agenzia sulla Programmazione in essere che fa emergere alcuni elementi critici quali: la permanenza di eccessivi ritardi attuativi, una diffusa incapacità progettuale dei soggetti locali, l’assenza di uno Schema di assetto nazionale, di Quadri Conoscitivi di Rischi e Valori adeguati e, alla scala Regionale, di Piani o Quadri di Riferimento di natura strategica. L’Analisi delle Politiche Regionali di interesse territoriale mantiene il format delle “Agende” elaborato dalle Sezioni INU regionali e si arricchisce di diagrammi a radar relativi ai principali indicatori dei fenomeni socioeconomici e territoriali in atto, che consente una comparazione del consumo di suolo con l’abusivismo o con l’indice di infrastrutturazione riprendendo una analisi comparativa contenuta nel RdT 2007. Gli indicatori utilizzati per l’analisi comparativa sono relativi ad: Innovazione, Sviluppo, Infrastrutture, Istituzioni, Pianificazione e Ambiente e descrivono il tradizionale dualismo del Paese, ma confermano anche il rapporto tra domanda di pianificazione nelle Regioni l’una a maggior tasso di sviluppo con alcune significative eccezioni nel Lazio e nella Basilicata, con valori superiori alla media per Innovazione e Infrastrutture e l’altra per indicatori Ambiente e Sviluppo. La seconda parte del RdT: I Sistemi di Pianificazione analizza l’evoluzione nel quadriennio della Legislazione regionale che presenta alcuni aspetti di rilievo. - Molte Regioni hanno introdotto norme speciali per regolare il consumo di suolo ed assieme alla rigenerazione urbana talvolta accompagnando tale nuova disciplina con nuove norme incentivanti o di semplificazione dei più semplici interventi edilizi di riqualificazione. - Le nuove leggi regionali non sono frutto di innovazioni concettuali, ma dipendono dal perfezionamento di impianti precedenti, inoltre ogni intervento dei legislatori regionali cerca di rispondere all’esigenza di semplificazione. - La ricerca di semplificazione, specialmente in ambito di pianificazione ed in connessione tra questa e la programmazione degli interventi, porta inevitabilmente a dover riconsiderare i rapporti tra fonti di normazione e strumenti di pianificazione. Ma su questo piano però possono scendere solo le leggi di riforma più sistematica - L’impressione è che oggi mentre si ricerca il prossimo modello di quarta generazione, sulla legislazione regionale pesi il prolungarsi del distacco da quel modello con una stasi concettuale e metodologica che non riesce ad attivare una relazione dinamica tra la visione politica e la strumentazione, tra democrazia partecipativa e competenza, ma che intanto ricerca un assestamento di una semplificazione delle pratiche sinora seguite. La Pianificazione di Area Vasta nelle sue configurazioni istituzionali e settoriali (di tutela e di intervento), ma anche nelle sperimentazioni progettuali e strategiche, rappresenta il campo più significativo di una riconfigurazione disciplinare in gran parte ancora da avviare e rispetto alla quale il Rdt intende fornire una rappresentazione “unitaria”. Pur in una fase di incertezza e di stasi si riscontra un passaggio da Schemi spaziali eredi di una tradizione centralista ( dalle Proiezioni del Progetto ’80 ai Programmi Complessi) a processi di governance: (Accordi, Intese, Patti riferiti a Quadri conoscitivi), la cui terzietà rispetto alle decisioni può garantire ai Progetti Urbanistici (di Territorio e di Paesaggio) una nuova valenza quali strumenti di verifica degli stessi Quadri in un rapporto di reciproco perfezionamento e conferimento di senso. Relativamente alla Pianificazione comunale al fine di garantire, la comparazione dei dati si è mantenuta una struttura di rilevamento (decentrata nelle Sezioni/INU regionali) basata sui dati comunali così da registrare l’andamento dei fenomeni e in particolare della tendenza a innovare (indice di rinnovamento), determinata sia dalla elaborazione-approvazione di nuovi piani, sia alla produzione di nuove leggi regionali che a loro volta introducono nuove modalità e/o nuovi strumenti di pianificazione. Sulla “stabilità” delle modalità di rilevazione di base del numero dei Piani in relazione a popolazione e superficie, propria di un Rapporto periodico, si sono viceversa introdotte due nuove modalità di organizzazione - rappresentazione dei dati. La tradizionale rappresentazione nelle tre tipologie di sistemi insediativi: Città metropolitane, Città medie, Comuni minori, è stata arricchita da analisi su campioni significativi per avviare una prima riflessione sulla qualità della pianificazione. Come si ebbe modo di segnalare anche in trascorse edizioni del RdT, il tasso di pianificazione si dimostra correlato all’andamento delle dinamiche economiche, e tale correlazione va crescendo. I dati del RdT 2019 segnalano una condizione complementare alla prima: una più bassa attività di pianificazione nelle realtà con una più elevata sofferenza nelle dimensioni economico-sociali. I dati raccolti per l’edizione 2019 del Rapporto dal Territorio indicano un significativo rallentamento dell’attività di pianificazione urbanistica comunale generale. Nel complesso l’attività di rinnovo dei piani urbanistici, nel confronto fra i quadrienni 2011-2014 e 2015-2018, mostra come la percentuale di comuni dotatisi di una nuova pianificazione (nuovo piano o variante generale) è diminuita dal 22,0% al 10,5%, con un calo del 52,3% fra i due quadrienni. La distribuzione territoriale, pur nella varietà tipica della complessità del territorio italiano, mostra come il calo sia diffuso in molte realtà regionali, al nord come al centro e al sud. Fanno eccezione alcune regioni che sono giunte ad un elevato livello di maturità del sistema di pianificazione, come il Trentino e l’Emilia-Romagna, che segnano invece un incremento. Mentre a Nord si hanno rinnovi che coprono circa la metà dei comuni e più elevati valori per la popolazione (fino all’80% della Lombardia), dal Centro Sud in giù i valori scendono molto, con un calo particolare per i valori di popolazione (Sardegna esclusa). Ciò testimonia non solo la più ridotta attività di pianificazione, ma che il calo riguarda soprattutto comuni di dimensione minore. Fra i maggiori livelli di attività nella pianificazione va segnalato il caso del Trentino Alto Adige che in particolare nell’ultimo quadriennio risulta primo in tutti i valori, con il 41% di comuni, il 35,5% di territorio e il 42,9% di popolazione interessati da nuovi piani. Un altro aspetto degno di attenzione emerge dall’analisi delle regioni che pianificano meno. Oltre il caso eclatante del Lazio, le regioni con meno attività si raccolgono in due gruppi; un primo che comprende Puglia, Calabria, Sicilia, Molise e Campania, con valori molto bassi, che corrisponde alle regioni Convergenza della programmazione 2014-2020; e un secondo gruppo con Marche, Abruzzo, Umbria, Basilicata e Sardegna, con valori più elevati, che comprende le regioni in phasing out della programmazione 2014-2020 e quelle che verranno ammesse in area convergenza nella programmazione 2021-2027. Specifica attenzione è stata dedicata al tema degli Standard Urbanistici. Non va infatti dimenticato che è intono a questo rapporto che si sono combattute importanti “battaglie urbanistiche” è sull’entità di questo rapporto che si sono misurate la volontà progressista e riformista e l’indipendenza dagli interessi particolari delle amministrazioni comunali, così come è nel modo in cui questo rapporto ha trovato concreta attuazione che si è verificata l’efficacia della norma e la volontà politica alla sua applicazione. La strutturazione dei dati raccolti e la valutazione di essi viene sviluppata mettendo in evidenza le tendenze emergenti nelle Regioni e Comuni capoluogo accorpati nelle macro geografie in cui è articolato il Paese Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud Isole in quanto è parso particolarmente significativo a fronte delle richieste di autonomia differenziata avanzate per prime dalle Regioni Lombardia, Veneto e Emilia Romagna cui corrisponde un esplicito impegno dell’attuale Governo nazionale di dare attuazione all’art. 16, comma terzo, della Costituzione, nei confronti delle Ragioni che ne facciano motivata richiesta. Relativamente alle Città Metropolitane si è approfondita l’analisi campionaria sulle sole città che hanno avviato concretamente i processi di pianificazione. Si prende atto di un avanzamento di pratiche che le istituite Città metropolitane stanno svolgendo con diversa intensità e per le quali l’esistenza di un’area istituzionale si propone come essenziale per l’individuazione dei problemi nodali da risolvere e per la trasmissione di buone pratiche. Le Città Metropolitane più volenterose puntano alla cooperazione con i comuni (Milano) o con la Regione (Firenze), talvolta cercando di stringere accordi o stabilire processi di copianificazione, dove cercano di ritagliarsi gli spazi consentiti dai partener maggiori, che non possono essere se non marginali o di accompagnamento. Pertanto il ruolo nel processo di pianificazione finisce per essere più importante non tanto per quello che realizza da sola quanto per la capacità di fornire il luogo di incontro per la cooperazione o la guida culturale per indirizzare le scelte degli altri partecipanti. A questo scopo si prestano “visioni” con il ricorso a metafore dal valore comunicativo penetrante, in modo da sposare il ruolo della CM all’indicazione di un indirizzo di cooperazione con limiti flessibili ed indefiniti. In definitiva, il governo del territorio metropolitano, in attesa dell’affermarsi politico ed urbanistico della CM, si muove piuttosto secondo una complessa governance multiattoriale con tutti i pregi ed i difetti che ciò comporta. In particolare, ed in modo piuttosto sorprendente, mancano all’appello soprattutto i comuni ricompresi nei sistemi locali delle aree metropolitane, che pure al sud costituiscono una quota rilevante della popolazione complessiva e dei fenomeni urbanizzativi, in particolare in due regioni: in Sicilia, dove sono il 60% della popolazione, e in Campania dove sono il 53%. La debolezza del rinnovo della pianificazione in questi due casi (dal 2011 al 2018 nei sistemi locali delle aree metropolitane sono stati rinnovati piani per una copertura del 3,5% della popolazione in Sicilia e addirittura del solo 1,4% in Campania) denuncia la scarsa domanda di trasformazione insediativa nelle maggiori realtà urbanizzate del Mezzogiorno, e non parla solo del pur preoccupante calo demografico, ma evidenzia l’indebolimento delle economie urbane e della componente di servizi, profondamente connessa alle trasformazioni urbanistiche, che nelle economie contemporanee ne costituisce un pilastro primario. Relativamente alle Città medie si è definito un campione di 30 città, sulle 102 così definite, sulle quali l’approfondimento è stato relativo agli strumenti, non solo generali (Piani attuativi, Piano Periferie, Piani Urbani Mobilità, Strategica), e sulla consistenza degli uffici “urbanistici” (di pianificazione), nonché sul tema della attuazione degli standard. Il funzionamento di tipo “metropolitano” di alcuni sistemi insediativi sta caratterizzando, a prescindere dalle dimensioni anche molte delle “città medie” , al punto che oggi sembra opportuno riconoscere l’esistenza di ver e proprie “metropoli regionali”. L’attuale funzionamento delle metropoli di media dimensione mostra, nuovi sistemi di centralità a geometria variabile, organizzati per ritmi d’uso e temi d’interesse. Si tratta, per altro, di rileggere criticamente le politiche e i relativi stanziamenti finanziari fin qui attivati in tema di agenda urbana (PON Metro e POR regionali), stigmatizzando ii fenomeno che Fabrizio Barca ha recentemente definito di “accomodamento passivo delle agglomerazioni urbane”. Le città medie sono inoltre più esposte al rischio ambientale e paesaggistico, anche se ad oggi e proprio in esse che si riscontrano le migliori prestazioni insediative in termini di qualità della vita, di servizi e di sostenibilità ambientale (Vedi Ecosistema Urbano 2018 Legambiente). II “sistema urbano intermedio” delle Città Medie deve poter svolgere un ruolo di cerniera e di mediazione tra le aree forti e quelle deboli del Paese. La vera capacità innovativa di questa fondamentale risorsa è infatti quella di porre in relazione le politiche per le Città Metropolitane (PON-METRO) con quelle tentate per le aree interne (SNAI), allo scopo di sviluppare le possibili sinergie che sono alla base di uno sviluppo equilibrato del Paese. Relativamente ai Comuni minori, termine utilizzato per ricomprendere i comuni con meno di 5.000 abitanti, e in quanto tale sinonimo di Piccoli comuni, si sono estrapolati i comuni turistici (montani e costieri) con la collaborazione dell’Ismart e i comuni che hanno avviato pratiche di intercomunalità. La distribuzione territoriale dei piccoli comuni interessati da un maggiore tasso di rinnovo della pianificazione è tale per cui la gran parte di amministrazioni virtuose, si concentra nelle regioni del nord est, per lo più in Trentino (in minor misura in Alto Adige) e, inoltre, in alcune zone della Lombardia, della Toscana, in settori del Piemonte e dell’Emilia Romagna, come nella ristretta porzione settentrionale delle Marche e, ancor meno, in !imitate aree di Basilicata ed Abruzzo sud orientale. Il maggior numero di percorsi di fusione sembra aver interessato ii Trentino, il Veneto (Cadore ed Agordino nel bellunese), alcune aree dell’Appennino tosco-emiliano, diverse zone della bassa padana (per lo più aree nel cremonese, mantovano, 6.170 ferrarese e Polesine padovano), come anche aree di Piemonte e Lombardia prossime ai grandi laghi ( (Provincia di Pesaro Urbino e Ancona), con eccezioni in Irpinia (Campania) ed area silana cosentina; Il modello di distribuzione spaziale dei comuni minori con più elevate potenzialità turistiche, come delineate, mostra chiaramente come circa ii 60% di essi si trovi a nord una significative coincidenza degli stessi con la gran parte (oltre il 45%) dei comuni (solo poco del 20% al sud e non più del 16% al centro), verificandosi, peraltro, anche una significativa coincidenza degli stessi con la gran parte (oltre il 45%) dei comuni montani (la stragrande maggioranza dei quali nell’arco alpino ) e con un buon andamento di comuni costieri per lo più distribuiti in Liguria, Calabria, Sardegna, ed aree molto circoscritte della Campania (Cilento). Si sono, dunque, “portate in luce”, entro la variegata trama del mosaico dei comuni minori, alcune “tessere o macchie luminose”, isolandole da una prevalente tonalità di fondo alquanto opaca, identificandole o traguardandole, in prospettiva, proprio con piccole comunità tanto più attrattive, accoglienti, dinamiche, quanto più interessate da una stabile attitudine alla programmazione e alla pianificazione spaziale (ispirate da idonee visioni strategiche), oltre che, meglio di altre, beneficiarie di sinergie di comunità (di rango territoriale) che, in taluni casi, hanno spinto le istituzioni locali verso vincoli stabili, a servizio di una progettualità comune. Ne è derivato un notevole avanzamento dell’analisi di tipo “qualitativo” conferendo al RdT/2019 un più significativa utilità ai fini della ricerca. Da un lato la costruzione di una dimensione reticolare e colloquiante tra i diversi e numerosi Rapporti, da sempre ricercata dall’INU, ma di difficile avvio, dall’altro lo spostamento dell’attenzione, dalla natura puramente quantitativa dei fenomeni, alla dimensione qualitativa, questa sicuramente di difficile rilevazione, ma necessaria in una fase di riflessione sui fini e sui mezzi della disciplina. La Pianificazione Paesaggistica di cui si registra nel Rapporto un sostanziale stallo (solo tre nuovi Piani approvati – nessuno nel triennio) coincide con un arretramento difensivo sulla sola natura vincolistica e con la rinuncia alle potenzialità insite nei Progetti di Paesaggio. La costruzione di Statuti del territorio ha per altro introdotto “invarianti Strutturali” di dubbia consistenza scientifica allontanando la Pianificazione Paesaggistica dagli indirizzi della stessa Convenzione Europea del paesaggio e aprendo ad una notevole conflittualità espressa dai numerosi ricorsi presentati ai TAR regionali relativamente ad alcuni nuovi Piani Paesaggistici. Il Codice Urbani affida la competenza del piano paesaggistico, al livello regionale, aprendo la strada di un unico piano territoriale paesaggistico o quella dei piani paesaggistici separati da quelli territoriali, essa però non risolve il problema della distanza del piano regionale dalle pratiche di trasformazione del territorio. I piani paesaggistici, anche quelli di recente formazione secondo le indicazioni del Codice, appaiono astratti e lontani dal territorio, concentrati soprattutto nel compito della individuazione degli Ambiti che ne rappresentano l’elemento comune a cui riferire gli obiettivi di qualità e gli indirizzi d’uso e comportamento, invece che nell’esprimere concrete politiche paesaggistiche. Manca una definizione di relazioni di coerenza sia nel quadro conoscitivo che in quello normativo, fra territorio regionale e beni paesaggistici, per stabilire una continuità tra prescrizioni relative ai beni e regole per tutto il territorio, articolate in obiettivi di qualità, indirizzi e direttive. l’Altro nodo non risolto è quello di una mancata introitazione del paesaggio nelle prassi di pianificazione urbanistica ordinaria. Il Progetto di paesaggio può costituire un campo di sperimentazione in cui superare la innaturale frammentazione tra diritti patrimoniali (pubblici e privati) e diritti fondamentali evitando la simonia che spesso viene riproposta con la monetizzazione degli usi (suolo-paesaggio-ambiente-acqua). Il passaggio dal piano al progetto è sempre stato il nodo centrale della pianificazione paesaggistica del nostro Paese. Per passare dal “paesaggio di carta” alla realizzazione concreta dell’azione paesaggistica occorre saper integrare la progettualità dei territori, costruirle attraverso processi di condivisione delle scelte supportati (lane politiche regionali (ad esempio, Puglia e Piemonte)
Ombuen, S., Properzi, P. (a cura di). (2019). Rapporto dal Territorio 2019. Roma : INU Edizioni.
Rapporto dal Territorio 2019
Ombuen S;
2019-01-01
Abstract
Il Rapporto dal Territorio 2019, nella consapevolezza di operare tra Cambiamento e Mutazione, registra una marcata incisività delle attività di pianificazione nelle modalità di governo del territorio nelle diverse aree del Paese ma soprattutto intende fornire un supporto cognitivo per interpretare i complessi processi che intervengono nella Mutazione. Questo riguarda in particolare le interazioni imperfette che nei diversi contesti producono metamorfosi dei paesaggi, e dei Sistemi insediativi, senza una razionalità estetica, funzionale e spesso neanche economica comprensibile dei cittadini. Al fine di meglio interpretare la dimensione complessa del Cambiamento/Mutazione e nella tradizione dei precedenti Rapporti, sono stati intervistati alcuni autorevoli “testimoni” anche in riferimento alla loro più recente produzione disciplinare. Ne è derivato un significativo mosaico, le cui tessere costituiscono una interessante descrizione del contesto in cui opera l’Urbanistica. Il Rapporto si articola in tre parti: una prima parte tratta le Politiche pubbliche territoriali, nazionali e regionali, la seconda parte tratta dei Sistemi di pianificazione, definititi dalle legislazioni regionali e analizzati nelle dimensioni della pianificazione territoriale e in quella dei comuni. Lo stato della pianificazione del Paesaggio conclude la seconda parte. La terza parte che ripropone come complementi al RdT che intendono fornire una documentazione di come l’Istituto interpreta il cambiamento/mutazione dall’Urbanistica e delle sue prassi, sul piano di una verifica diretta, attraverso il lavoro delle Communities che può aiutare a “porre bene” i problemi che la disciplina affronta nelle sue complesse articolazioni. In alcune specifiche situazioni territoriali o su temi di particolare interesse l’istituto ha inoltre avviato sperimentazioni di cui il Rapporto da una sintetica discrezione attraverso i Progetti pilota per il paese i Progetti urbanistici, di territorio e di paesaggio, presenti anche nelle divere edizioni di U.Promo e nella RUN e che costituiscono un riscontro significativo di una nuova dimensione operativa nella quale sperimentare nuove prassi. I Box approfondiscono i temi della Rigenerazione, del Documento Unico di programmazione, dei PUMS ma analizzano anche nella loro evoluzione, i Sistemi locali del lavoro, la Cassa Depositi e Prestiti, etc. , tutti temi interrelati con il Piano . La prima parte del RdT che tratta delle Politiche di contenuto territoriale è separata in questa edizione dalla seconda parte, che tratta della Pianificazione, pur mantenendo concettualmente viva la interazione tra Piani e Politiche sia per meglio comprendere l’intervenuta interruzione di un ciclo di riforme avviate dal Governo precedente al voto del 2018 che si sono mostrate più intenzionali che “sostanziali” per lo meno per gli effetti sul territorio e le città, sia per le modeste risorse investite, sia per l’assenza di una strategia complessiva comune alle diverse politiche (SNAI – Città Metropolitane – Periferie). Parallelamente si sono ridotte le rappresentazioni dei fenomeni alla scala Macroregionale condensandoli in dati aggregati e spostando la loro valutazione nello spazio dedicato alle politiche regionali. Questo non tanto per l’abbandono di una visione macroregionale, in quanto non praticabile nell’immediato in relazione al crescente antieuropeismo di parte del governo alle politiche infrastrutturali connesse ai programmi europei o interregionali, quanto per una totale assenza di idee e di progetti, connotati da caratteri strategici nella dimensione macro regionale, da parte delle stesse Regioni. Questo è dovuto sia alla regressione dello Stato rispetto ad una fase forse troppo illuministica, che aveva caratterizzato la stagione dei Programmi Complessi, sia alla crescente disillusione rispetto alla dimensione europea, statale e regionale che era alla base della Coesione territoriale ma che è stata spesso interpretata solo come sommatoria di spezzoni di localismo senza una regia (N. Rossi. Mediterraneo del Nord 2005). Proprio l’assenza di una interpretazione del cambiamento di lungo periodo alla quale si sono preferite politiche ridistributive, di tipo settoriale e tra loro non integrate, ha ridotto gli effetti che le stesse hanno prodotto non tanto sul territorio quanto sui comportamenti degli amministratori, dei tecnici e dell’opinione pubblica. Scarsità di risorse, intellettualismo, sopravvalutazione del ruolo opportunistico della politica locale hanno decretato il fallimento di una stagione di riforme riavviare le quali non sarà facile nel delinerasi di una recessione economica che interessa l’intera UE. E’ quindi apparso opportuno tentare un bilancio di alcune di queste Politiche Nazionali di contenuto territoriale quali: La Strategia nazionale dello sviluppo sostenibile, la Strategia per le aree interne, il Programma periferie, etc con ricognizioni analitiche e critiche degli stessi. L’Analisi delle Politiche parte da un aggiornamento del quadro di sintesi elaborato nel Rapporto 2016 che ha consentito di verificar le stesse sia in termini di continuità /discontinua, sia in termini di attuazione. L’apporto alla edizione RdT 2019 dell’Agenzia per la coesione territoriale, inaugura una importante collaborazione in base ad uno specifico Accordo quadro con l‘Istituto e consente una ampia descrizione degli esiti delle diverse politiche e in particolare del PON Metro e della politica di Cooperazione territoriale rilanciando il tema del rapporto tra pianificazione e programmazione. Il Rapporto propone inoltre un diretto confronto tra la ricognizione analitica dello stato della Pianificazione presente nella seconda parte e l’azione di monitoraggio dell’Agenzia sulla Programmazione in essere che fa emergere alcuni elementi critici quali: la permanenza di eccessivi ritardi attuativi, una diffusa incapacità progettuale dei soggetti locali, l’assenza di uno Schema di assetto nazionale, di Quadri Conoscitivi di Rischi e Valori adeguati e, alla scala Regionale, di Piani o Quadri di Riferimento di natura strategica. L’Analisi delle Politiche Regionali di interesse territoriale mantiene il format delle “Agende” elaborato dalle Sezioni INU regionali e si arricchisce di diagrammi a radar relativi ai principali indicatori dei fenomeni socioeconomici e territoriali in atto, che consente una comparazione del consumo di suolo con l’abusivismo o con l’indice di infrastrutturazione riprendendo una analisi comparativa contenuta nel RdT 2007. Gli indicatori utilizzati per l’analisi comparativa sono relativi ad: Innovazione, Sviluppo, Infrastrutture, Istituzioni, Pianificazione e Ambiente e descrivono il tradizionale dualismo del Paese, ma confermano anche il rapporto tra domanda di pianificazione nelle Regioni l’una a maggior tasso di sviluppo con alcune significative eccezioni nel Lazio e nella Basilicata, con valori superiori alla media per Innovazione e Infrastrutture e l’altra per indicatori Ambiente e Sviluppo. La seconda parte del RdT: I Sistemi di Pianificazione analizza l’evoluzione nel quadriennio della Legislazione regionale che presenta alcuni aspetti di rilievo. - Molte Regioni hanno introdotto norme speciali per regolare il consumo di suolo ed assieme alla rigenerazione urbana talvolta accompagnando tale nuova disciplina con nuove norme incentivanti o di semplificazione dei più semplici interventi edilizi di riqualificazione. - Le nuove leggi regionali non sono frutto di innovazioni concettuali, ma dipendono dal perfezionamento di impianti precedenti, inoltre ogni intervento dei legislatori regionali cerca di rispondere all’esigenza di semplificazione. - La ricerca di semplificazione, specialmente in ambito di pianificazione ed in connessione tra questa e la programmazione degli interventi, porta inevitabilmente a dover riconsiderare i rapporti tra fonti di normazione e strumenti di pianificazione. Ma su questo piano però possono scendere solo le leggi di riforma più sistematica - L’impressione è che oggi mentre si ricerca il prossimo modello di quarta generazione, sulla legislazione regionale pesi il prolungarsi del distacco da quel modello con una stasi concettuale e metodologica che non riesce ad attivare una relazione dinamica tra la visione politica e la strumentazione, tra democrazia partecipativa e competenza, ma che intanto ricerca un assestamento di una semplificazione delle pratiche sinora seguite. La Pianificazione di Area Vasta nelle sue configurazioni istituzionali e settoriali (di tutela e di intervento), ma anche nelle sperimentazioni progettuali e strategiche, rappresenta il campo più significativo di una riconfigurazione disciplinare in gran parte ancora da avviare e rispetto alla quale il Rdt intende fornire una rappresentazione “unitaria”. Pur in una fase di incertezza e di stasi si riscontra un passaggio da Schemi spaziali eredi di una tradizione centralista ( dalle Proiezioni del Progetto ’80 ai Programmi Complessi) a processi di governance: (Accordi, Intese, Patti riferiti a Quadri conoscitivi), la cui terzietà rispetto alle decisioni può garantire ai Progetti Urbanistici (di Territorio e di Paesaggio) una nuova valenza quali strumenti di verifica degli stessi Quadri in un rapporto di reciproco perfezionamento e conferimento di senso. Relativamente alla Pianificazione comunale al fine di garantire, la comparazione dei dati si è mantenuta una struttura di rilevamento (decentrata nelle Sezioni/INU regionali) basata sui dati comunali così da registrare l’andamento dei fenomeni e in particolare della tendenza a innovare (indice di rinnovamento), determinata sia dalla elaborazione-approvazione di nuovi piani, sia alla produzione di nuove leggi regionali che a loro volta introducono nuove modalità e/o nuovi strumenti di pianificazione. Sulla “stabilità” delle modalità di rilevazione di base del numero dei Piani in relazione a popolazione e superficie, propria di un Rapporto periodico, si sono viceversa introdotte due nuove modalità di organizzazione - rappresentazione dei dati. La tradizionale rappresentazione nelle tre tipologie di sistemi insediativi: Città metropolitane, Città medie, Comuni minori, è stata arricchita da analisi su campioni significativi per avviare una prima riflessione sulla qualità della pianificazione. Come si ebbe modo di segnalare anche in trascorse edizioni del RdT, il tasso di pianificazione si dimostra correlato all’andamento delle dinamiche economiche, e tale correlazione va crescendo. I dati del RdT 2019 segnalano una condizione complementare alla prima: una più bassa attività di pianificazione nelle realtà con una più elevata sofferenza nelle dimensioni economico-sociali. I dati raccolti per l’edizione 2019 del Rapporto dal Territorio indicano un significativo rallentamento dell’attività di pianificazione urbanistica comunale generale. Nel complesso l’attività di rinnovo dei piani urbanistici, nel confronto fra i quadrienni 2011-2014 e 2015-2018, mostra come la percentuale di comuni dotatisi di una nuova pianificazione (nuovo piano o variante generale) è diminuita dal 22,0% al 10,5%, con un calo del 52,3% fra i due quadrienni. La distribuzione territoriale, pur nella varietà tipica della complessità del territorio italiano, mostra come il calo sia diffuso in molte realtà regionali, al nord come al centro e al sud. Fanno eccezione alcune regioni che sono giunte ad un elevato livello di maturità del sistema di pianificazione, come il Trentino e l’Emilia-Romagna, che segnano invece un incremento. Mentre a Nord si hanno rinnovi che coprono circa la metà dei comuni e più elevati valori per la popolazione (fino all’80% della Lombardia), dal Centro Sud in giù i valori scendono molto, con un calo particolare per i valori di popolazione (Sardegna esclusa). Ciò testimonia non solo la più ridotta attività di pianificazione, ma che il calo riguarda soprattutto comuni di dimensione minore. Fra i maggiori livelli di attività nella pianificazione va segnalato il caso del Trentino Alto Adige che in particolare nell’ultimo quadriennio risulta primo in tutti i valori, con il 41% di comuni, il 35,5% di territorio e il 42,9% di popolazione interessati da nuovi piani. Un altro aspetto degno di attenzione emerge dall’analisi delle regioni che pianificano meno. Oltre il caso eclatante del Lazio, le regioni con meno attività si raccolgono in due gruppi; un primo che comprende Puglia, Calabria, Sicilia, Molise e Campania, con valori molto bassi, che corrisponde alle regioni Convergenza della programmazione 2014-2020; e un secondo gruppo con Marche, Abruzzo, Umbria, Basilicata e Sardegna, con valori più elevati, che comprende le regioni in phasing out della programmazione 2014-2020 e quelle che verranno ammesse in area convergenza nella programmazione 2021-2027. Specifica attenzione è stata dedicata al tema degli Standard Urbanistici. Non va infatti dimenticato che è intono a questo rapporto che si sono combattute importanti “battaglie urbanistiche” è sull’entità di questo rapporto che si sono misurate la volontà progressista e riformista e l’indipendenza dagli interessi particolari delle amministrazioni comunali, così come è nel modo in cui questo rapporto ha trovato concreta attuazione che si è verificata l’efficacia della norma e la volontà politica alla sua applicazione. La strutturazione dei dati raccolti e la valutazione di essi viene sviluppata mettendo in evidenza le tendenze emergenti nelle Regioni e Comuni capoluogo accorpati nelle macro geografie in cui è articolato il Paese Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud Isole in quanto è parso particolarmente significativo a fronte delle richieste di autonomia differenziata avanzate per prime dalle Regioni Lombardia, Veneto e Emilia Romagna cui corrisponde un esplicito impegno dell’attuale Governo nazionale di dare attuazione all’art. 16, comma terzo, della Costituzione, nei confronti delle Ragioni che ne facciano motivata richiesta. Relativamente alle Città Metropolitane si è approfondita l’analisi campionaria sulle sole città che hanno avviato concretamente i processi di pianificazione. Si prende atto di un avanzamento di pratiche che le istituite Città metropolitane stanno svolgendo con diversa intensità e per le quali l’esistenza di un’area istituzionale si propone come essenziale per l’individuazione dei problemi nodali da risolvere e per la trasmissione di buone pratiche. Le Città Metropolitane più volenterose puntano alla cooperazione con i comuni (Milano) o con la Regione (Firenze), talvolta cercando di stringere accordi o stabilire processi di copianificazione, dove cercano di ritagliarsi gli spazi consentiti dai partener maggiori, che non possono essere se non marginali o di accompagnamento. Pertanto il ruolo nel processo di pianificazione finisce per essere più importante non tanto per quello che realizza da sola quanto per la capacità di fornire il luogo di incontro per la cooperazione o la guida culturale per indirizzare le scelte degli altri partecipanti. A questo scopo si prestano “visioni” con il ricorso a metafore dal valore comunicativo penetrante, in modo da sposare il ruolo della CM all’indicazione di un indirizzo di cooperazione con limiti flessibili ed indefiniti. In definitiva, il governo del territorio metropolitano, in attesa dell’affermarsi politico ed urbanistico della CM, si muove piuttosto secondo una complessa governance multiattoriale con tutti i pregi ed i difetti che ciò comporta. In particolare, ed in modo piuttosto sorprendente, mancano all’appello soprattutto i comuni ricompresi nei sistemi locali delle aree metropolitane, che pure al sud costituiscono una quota rilevante della popolazione complessiva e dei fenomeni urbanizzativi, in particolare in due regioni: in Sicilia, dove sono il 60% della popolazione, e in Campania dove sono il 53%. La debolezza del rinnovo della pianificazione in questi due casi (dal 2011 al 2018 nei sistemi locali delle aree metropolitane sono stati rinnovati piani per una copertura del 3,5% della popolazione in Sicilia e addirittura del solo 1,4% in Campania) denuncia la scarsa domanda di trasformazione insediativa nelle maggiori realtà urbanizzate del Mezzogiorno, e non parla solo del pur preoccupante calo demografico, ma evidenzia l’indebolimento delle economie urbane e della componente di servizi, profondamente connessa alle trasformazioni urbanistiche, che nelle economie contemporanee ne costituisce un pilastro primario. Relativamente alle Città medie si è definito un campione di 30 città, sulle 102 così definite, sulle quali l’approfondimento è stato relativo agli strumenti, non solo generali (Piani attuativi, Piano Periferie, Piani Urbani Mobilità, Strategica), e sulla consistenza degli uffici “urbanistici” (di pianificazione), nonché sul tema della attuazione degli standard. Il funzionamento di tipo “metropolitano” di alcuni sistemi insediativi sta caratterizzando, a prescindere dalle dimensioni anche molte delle “città medie” , al punto che oggi sembra opportuno riconoscere l’esistenza di ver e proprie “metropoli regionali”. L’attuale funzionamento delle metropoli di media dimensione mostra, nuovi sistemi di centralità a geometria variabile, organizzati per ritmi d’uso e temi d’interesse. Si tratta, per altro, di rileggere criticamente le politiche e i relativi stanziamenti finanziari fin qui attivati in tema di agenda urbana (PON Metro e POR regionali), stigmatizzando ii fenomeno che Fabrizio Barca ha recentemente definito di “accomodamento passivo delle agglomerazioni urbane”. Le città medie sono inoltre più esposte al rischio ambientale e paesaggistico, anche se ad oggi e proprio in esse che si riscontrano le migliori prestazioni insediative in termini di qualità della vita, di servizi e di sostenibilità ambientale (Vedi Ecosistema Urbano 2018 Legambiente). II “sistema urbano intermedio” delle Città Medie deve poter svolgere un ruolo di cerniera e di mediazione tra le aree forti e quelle deboli del Paese. La vera capacità innovativa di questa fondamentale risorsa è infatti quella di porre in relazione le politiche per le Città Metropolitane (PON-METRO) con quelle tentate per le aree interne (SNAI), allo scopo di sviluppare le possibili sinergie che sono alla base di uno sviluppo equilibrato del Paese. Relativamente ai Comuni minori, termine utilizzato per ricomprendere i comuni con meno di 5.000 abitanti, e in quanto tale sinonimo di Piccoli comuni, si sono estrapolati i comuni turistici (montani e costieri) con la collaborazione dell’Ismart e i comuni che hanno avviato pratiche di intercomunalità. La distribuzione territoriale dei piccoli comuni interessati da un maggiore tasso di rinnovo della pianificazione è tale per cui la gran parte di amministrazioni virtuose, si concentra nelle regioni del nord est, per lo più in Trentino (in minor misura in Alto Adige) e, inoltre, in alcune zone della Lombardia, della Toscana, in settori del Piemonte e dell’Emilia Romagna, come nella ristretta porzione settentrionale delle Marche e, ancor meno, in !imitate aree di Basilicata ed Abruzzo sud orientale. Il maggior numero di percorsi di fusione sembra aver interessato ii Trentino, il Veneto (Cadore ed Agordino nel bellunese), alcune aree dell’Appennino tosco-emiliano, diverse zone della bassa padana (per lo più aree nel cremonese, mantovano, 6.170 ferrarese e Polesine padovano), come anche aree di Piemonte e Lombardia prossime ai grandi laghi ( (Provincia di Pesaro Urbino e Ancona), con eccezioni in Irpinia (Campania) ed area silana cosentina; Il modello di distribuzione spaziale dei comuni minori con più elevate potenzialità turistiche, come delineate, mostra chiaramente come circa ii 60% di essi si trovi a nord una significative coincidenza degli stessi con la gran parte (oltre il 45%) dei comuni (solo poco del 20% al sud e non più del 16% al centro), verificandosi, peraltro, anche una significativa coincidenza degli stessi con la gran parte (oltre il 45%) dei comuni montani (la stragrande maggioranza dei quali nell’arco alpino ) e con un buon andamento di comuni costieri per lo più distribuiti in Liguria, Calabria, Sardegna, ed aree molto circoscritte della Campania (Cilento). Si sono, dunque, “portate in luce”, entro la variegata trama del mosaico dei comuni minori, alcune “tessere o macchie luminose”, isolandole da una prevalente tonalità di fondo alquanto opaca, identificandole o traguardandole, in prospettiva, proprio con piccole comunità tanto più attrattive, accoglienti, dinamiche, quanto più interessate da una stabile attitudine alla programmazione e alla pianificazione spaziale (ispirate da idonee visioni strategiche), oltre che, meglio di altre, beneficiarie di sinergie di comunità (di rango territoriale) che, in taluni casi, hanno spinto le istituzioni locali verso vincoli stabili, a servizio di una progettualità comune. Ne è derivato un notevole avanzamento dell’analisi di tipo “qualitativo” conferendo al RdT/2019 un più significativa utilità ai fini della ricerca. Da un lato la costruzione di una dimensione reticolare e colloquiante tra i diversi e numerosi Rapporti, da sempre ricercata dall’INU, ma di difficile avvio, dall’altro lo spostamento dell’attenzione, dalla natura puramente quantitativa dei fenomeni, alla dimensione qualitativa, questa sicuramente di difficile rilevazione, ma necessaria in una fase di riflessione sui fini e sui mezzi della disciplina. La Pianificazione Paesaggistica di cui si registra nel Rapporto un sostanziale stallo (solo tre nuovi Piani approvati – nessuno nel triennio) coincide con un arretramento difensivo sulla sola natura vincolistica e con la rinuncia alle potenzialità insite nei Progetti di Paesaggio. La costruzione di Statuti del territorio ha per altro introdotto “invarianti Strutturali” di dubbia consistenza scientifica allontanando la Pianificazione Paesaggistica dagli indirizzi della stessa Convenzione Europea del paesaggio e aprendo ad una notevole conflittualità espressa dai numerosi ricorsi presentati ai TAR regionali relativamente ad alcuni nuovi Piani Paesaggistici. Il Codice Urbani affida la competenza del piano paesaggistico, al livello regionale, aprendo la strada di un unico piano territoriale paesaggistico o quella dei piani paesaggistici separati da quelli territoriali, essa però non risolve il problema della distanza del piano regionale dalle pratiche di trasformazione del territorio. I piani paesaggistici, anche quelli di recente formazione secondo le indicazioni del Codice, appaiono astratti e lontani dal territorio, concentrati soprattutto nel compito della individuazione degli Ambiti che ne rappresentano l’elemento comune a cui riferire gli obiettivi di qualità e gli indirizzi d’uso e comportamento, invece che nell’esprimere concrete politiche paesaggistiche. Manca una definizione di relazioni di coerenza sia nel quadro conoscitivo che in quello normativo, fra territorio regionale e beni paesaggistici, per stabilire una continuità tra prescrizioni relative ai beni e regole per tutto il territorio, articolate in obiettivi di qualità, indirizzi e direttive. l’Altro nodo non risolto è quello di una mancata introitazione del paesaggio nelle prassi di pianificazione urbanistica ordinaria. Il Progetto di paesaggio può costituire un campo di sperimentazione in cui superare la innaturale frammentazione tra diritti patrimoniali (pubblici e privati) e diritti fondamentali evitando la simonia che spesso viene riproposta con la monetizzazione degli usi (suolo-paesaggio-ambiente-acqua). Il passaggio dal piano al progetto è sempre stato il nodo centrale della pianificazione paesaggistica del nostro Paese. Per passare dal “paesaggio di carta” alla realizzazione concreta dell’azione paesaggistica occorre saper integrare la progettualità dei territori, costruirle attraverso processi di condivisione delle scelte supportati (lane politiche regionali (ad esempio, Puglia e Piemonte)I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.