Ancor oggi, a oltre un decennio dall’insorgere della più pervasiva crisi economico-finanziaria dopo quella del ’29 del secolo scorso, che per più di un lustro ha sferzato i sistemi socio-produttivi mondiali e l’eco dei cui effetti è lungi dall’essere completamente superato (specie nel contesto macro-economico nazionale), gli studiosi si interrogano se si sia trattato di un evento realmente più unico che raro, dunque statisticamente imprevedibile ed incommensurabile (in altre parole una vera “tempesta perfetta”), o se piuttosto sia stata la conseguenza di una serie di errori ed omissioni perpetrati più o meno consapevolmente da una pluralità di attori, quali governi, autorità di vigilanza, intermediari finanziari, analisti, agenzie di rating, ecc. Appare infatti chiaro che se ci si trova di fronte ad eventi la cui manifestazione è solo ipoteticamente prefigurabile nell’an (e a volte neppure in quello) ma giammai nel quando e nel quantum, stante la mancanza di serie storiche affidabili (è il caso, ad esempio, di eventi naturali catastrofici oppure di attacchi terroristici su larga scala), nessun strumento analitico-regolamentare può ragionevolmente prevenirne la possibile manifestazione, ma solo, ed eventualmente, limitarne la propagazione e gli effetti distruttivi, e il loro accadimento rientra evidentemente nella normale alea che caratterizza qualunque attività economica; se, invece, tali eventi possono essere in qualche misura previsti in quanto esiti di comportamenti umani ovvero di meccanismi di funzionamento dei sistemi socio/economici, e i relativi effetti più o meno arginati, si profila un vero e proprio fallimento non soltanto degli aspetti regolamentari, procedurali e professionali connaturanti lo svolgimento di qualunque attività economica, ma anche della stessa etica sociale. Ad avviso della quasi totalità degli osservatori nonché dei numerosi rapporti redatti nel corso degli ultimi anni da agenzie governative europee e nordamericane (quest’ultime, in ogni caso, meno compatte nelle loro determinazioni), l’ipotesi della tempesta perfetta appare del tutto indulgente ed auto assolutoria, considerato che le determinanti di (praticamente) tutte le crisi economico-finanziarie che nel corso dell’ultimo secolo hanno interessato, in modo più o meno incisivo, i sistemi socio-economici dei principali Paesi industrializzati erano facilmente rinvenibili, congiuntamente ed in proporzioni vie più massive, nell’anno 2007 nel macro-sistema USA, che diede origine alla crisi oggetto di studio e i cui meccanismi di regolamentazione non furono in grado di impedirne né l’escalation entro i confini nazionali né la propagazione alle restanti economie del pianeta. È appena il caso di rilevare come la crisi in esame sia nata e cresciuta in seno a sistemi regolamentari e finanziari al loro più alto stadio evolutivo, considerati (expost a torto …) praticamente invulnerabili per il fatto di essere imperniati su presupposti di assoluta affidabilità e credibilità. Tutti gli attori del mercato, e financo la platea di risparmiatori, erano cioè convinti di agire in un sistema finanziario moderno tutelato da regole di funzionamento robuste e consolidate, in cui i rischi venivano attentamente ponderati e razionalmente gestiti a tutti i livelli del processo decisionale alla luce del modello di autodisciplina dell’intermediario nonché del salvifico intervento della “mano invisibile” di smithiana memoria.Invece, analogamente ad altre crisi sistemiche verificatesi antecedentemente al 2007, anche nella crisi in esame il sistema economico-finanziario d’origine causale era caratterizzato, sia pur ad un livello fortemente amplificato rispetto alle precedenti contingenze, da: i) un costante aumento del rischio di controparte (in particolare causato dall’inclusione nei circuiti finanziari di soggetti con basso, e financo nullo, merito creditizio); ii) una bolla immobiliare di proporzioni inusitate associata alla continua estrazione di valore monetario da immobili oggetto d’iterate transazioni; iii) un preoccupante livello di indebitamento sia pubblico che individuale; iv) la presenza di un’abbondante liquidità (con conseguenti problematiche di liquid risk management, che tuttora costituisce una disciplina in rapida evoluzione e dalla difficile regolamentazione); v) un notevole deficit commerciale; vi) una politica monetaria eccessivamente indulgente (protrattasi da quasi un decennio) e tassi d’interesse estremamente bassi; vii) un’accentuata e progressiva deregulation pur a fronte dell’enorme sviluppo di un sistema creditizio parallelo (c.d. shadow banking) operante su mercati secondari non regolamentati (c.d. over the counter), alimentato da un continuo ed opaco processo di innovazione finanziaria; viii) modelli di business degli intermediari creditizi orientati esclusivamente al profitto di breve termine (c.d. Value Based Management) e al trasferimento del rischio di credito (c.d. Originate-to-Distribute, in luogo del tradizionale Originate-to-Hold); ix) processi di cartolarizzazione (c.d. securitisation) assai complessi ed opachi, in cui qualunque tipologia di credito (ma anche immobili e altri prodotti finanziari) vengono trasformati in titoli obbligazionari compravendibili sul mercato; nonché x) dall’esistenza di evidenti ma più che tollerati conflitti d’interesse concernenti, tra gli altri e in particolare, le agenzie di rating 8. In tale contesto ha poi agito, non quale causa comprimaria ma piuttosto come “cassa di risonanza”, il crollo di fiducia dell’intero sistema verso sé stesso (che poi si vedrà essere stato, come spesso accade in tali circostanze, in gran parte solo temporaneo, perché giammai i mercati imparano dai propri errori …), subitaneamente subentrato all’iniziale incredulità nel vedere una macchina da chiunque considerata infallibile rovinosamente fallire. Tutte le succitate cause erano certamente riconoscibili e ponderabili ad un occhio attento e preparato, ed è dunque stata la condotta degli operatori istituzionali a tutti i livelli della scala sistemica (ed in particolare degli organismi regolatori), alle volte motivata da imperizia e/o cieca fiducia nei meccanismi autocompensativi dei mercati, altre volte da veri e propri istinti “predatori”, e comunque sempre nell’ottusa convinzione che “this time is different”, a causare il crollo dei mercati più rovinoso e sistemico della storia dopo quello del 1929. In altre parole, e mantenendo l’allegoria della natura “cattiva e spietata” che tanto piace ai sostenitori (e sono ancora parecchi negli USA) della straordinaria unicità ed imprevedibilità della crisi trascorsa, la nave è affondata non per terribili ed imprevedibili marosi, ma perché era vecchia e mal manutenuta, le previsioni meteo erano state trascurate o deliberatamente ignorate, il radar era stato tenuto spento e gli ufficiali al comando versavano in stato d’evidente prostrazione. Nei successivi paragrafi si indagheranno (con l’esclusione degli approcci regolamentari che, per le loro complessità e natura country specific esulano dagli scopi del presente studio) le principali determinanti della crisi del 2007 negli USA, e specificamente: la crescita dei tassi di morosità sui mutui di peggiore qualità (c.d. subprime), la persistenza di gravi squilibri macroeconomici, l’accelerazione incontrollata dell’innovazione finanziaria in forme che rendevano opaca la distribuzione nonché la precisa misurabilità dell’entità dei rischi trasferiti, il processo di continua e massiva deregolamentazione dei mercati in virtù del favor accordato dal prevalente clima ideologico nonché della notevole “indolenza” manifestata dalle autorità di vigilanza, il prevalere di modelli di business esclusivamente orientati alla massimizzazione dei profitti ad ogni costo. È importante evidenziare come si tratti di fattori che, in condizioni fisiologiche, possono presentare aspetti positivi poiché riflettono, e in parte favoriscono, una crescita economica elevata, ma che parimenti possono facilmente degenerare, come di fatto accadde, in patologie molto serie facilmente aggravabili da terapie non appropriate. In particolare, è ormai acclarato che la scintilla che accese la crisi (la bolla immobiliare USA e il connesso subprime lending) non sarebbe stata sufficiente a provocare la rapida diffusione di un co-lossale incendio se non fosse stata contemporaneamente presente una condizione del tutto “patologica” dei rimanenti fattori poc’anzi menzionati.

Paoloni, M. (2019). La grande crisi del 2007. Tempesta perfetta o sonno della ragione?. In Mauro Paoloni (a cura di), La crisi finanziaria internazionale e nazionale. Gli strumenti contabili e di controllo, i meccanismi di risoluzione e le prospettive future (pp. 1-36). Torino : Giappichelli Editore.

La grande crisi del 2007. Tempesta perfetta o sonno della ragione?

Paoloni Mauro
2019-01-01

Abstract

Ancor oggi, a oltre un decennio dall’insorgere della più pervasiva crisi economico-finanziaria dopo quella del ’29 del secolo scorso, che per più di un lustro ha sferzato i sistemi socio-produttivi mondiali e l’eco dei cui effetti è lungi dall’essere completamente superato (specie nel contesto macro-economico nazionale), gli studiosi si interrogano se si sia trattato di un evento realmente più unico che raro, dunque statisticamente imprevedibile ed incommensurabile (in altre parole una vera “tempesta perfetta”), o se piuttosto sia stata la conseguenza di una serie di errori ed omissioni perpetrati più o meno consapevolmente da una pluralità di attori, quali governi, autorità di vigilanza, intermediari finanziari, analisti, agenzie di rating, ecc. Appare infatti chiaro che se ci si trova di fronte ad eventi la cui manifestazione è solo ipoteticamente prefigurabile nell’an (e a volte neppure in quello) ma giammai nel quando e nel quantum, stante la mancanza di serie storiche affidabili (è il caso, ad esempio, di eventi naturali catastrofici oppure di attacchi terroristici su larga scala), nessun strumento analitico-regolamentare può ragionevolmente prevenirne la possibile manifestazione, ma solo, ed eventualmente, limitarne la propagazione e gli effetti distruttivi, e il loro accadimento rientra evidentemente nella normale alea che caratterizza qualunque attività economica; se, invece, tali eventi possono essere in qualche misura previsti in quanto esiti di comportamenti umani ovvero di meccanismi di funzionamento dei sistemi socio/economici, e i relativi effetti più o meno arginati, si profila un vero e proprio fallimento non soltanto degli aspetti regolamentari, procedurali e professionali connaturanti lo svolgimento di qualunque attività economica, ma anche della stessa etica sociale. Ad avviso della quasi totalità degli osservatori nonché dei numerosi rapporti redatti nel corso degli ultimi anni da agenzie governative europee e nordamericane (quest’ultime, in ogni caso, meno compatte nelle loro determinazioni), l’ipotesi della tempesta perfetta appare del tutto indulgente ed auto assolutoria, considerato che le determinanti di (praticamente) tutte le crisi economico-finanziarie che nel corso dell’ultimo secolo hanno interessato, in modo più o meno incisivo, i sistemi socio-economici dei principali Paesi industrializzati erano facilmente rinvenibili, congiuntamente ed in proporzioni vie più massive, nell’anno 2007 nel macro-sistema USA, che diede origine alla crisi oggetto di studio e i cui meccanismi di regolamentazione non furono in grado di impedirne né l’escalation entro i confini nazionali né la propagazione alle restanti economie del pianeta. È appena il caso di rilevare come la crisi in esame sia nata e cresciuta in seno a sistemi regolamentari e finanziari al loro più alto stadio evolutivo, considerati (expost a torto …) praticamente invulnerabili per il fatto di essere imperniati su presupposti di assoluta affidabilità e credibilità. Tutti gli attori del mercato, e financo la platea di risparmiatori, erano cioè convinti di agire in un sistema finanziario moderno tutelato da regole di funzionamento robuste e consolidate, in cui i rischi venivano attentamente ponderati e razionalmente gestiti a tutti i livelli del processo decisionale alla luce del modello di autodisciplina dell’intermediario nonché del salvifico intervento della “mano invisibile” di smithiana memoria.Invece, analogamente ad altre crisi sistemiche verificatesi antecedentemente al 2007, anche nella crisi in esame il sistema economico-finanziario d’origine causale era caratterizzato, sia pur ad un livello fortemente amplificato rispetto alle precedenti contingenze, da: i) un costante aumento del rischio di controparte (in particolare causato dall’inclusione nei circuiti finanziari di soggetti con basso, e financo nullo, merito creditizio); ii) una bolla immobiliare di proporzioni inusitate associata alla continua estrazione di valore monetario da immobili oggetto d’iterate transazioni; iii) un preoccupante livello di indebitamento sia pubblico che individuale; iv) la presenza di un’abbondante liquidità (con conseguenti problematiche di liquid risk management, che tuttora costituisce una disciplina in rapida evoluzione e dalla difficile regolamentazione); v) un notevole deficit commerciale; vi) una politica monetaria eccessivamente indulgente (protrattasi da quasi un decennio) e tassi d’interesse estremamente bassi; vii) un’accentuata e progressiva deregulation pur a fronte dell’enorme sviluppo di un sistema creditizio parallelo (c.d. shadow banking) operante su mercati secondari non regolamentati (c.d. over the counter), alimentato da un continuo ed opaco processo di innovazione finanziaria; viii) modelli di business degli intermediari creditizi orientati esclusivamente al profitto di breve termine (c.d. Value Based Management) e al trasferimento del rischio di credito (c.d. Originate-to-Distribute, in luogo del tradizionale Originate-to-Hold); ix) processi di cartolarizzazione (c.d. securitisation) assai complessi ed opachi, in cui qualunque tipologia di credito (ma anche immobili e altri prodotti finanziari) vengono trasformati in titoli obbligazionari compravendibili sul mercato; nonché x) dall’esistenza di evidenti ma più che tollerati conflitti d’interesse concernenti, tra gli altri e in particolare, le agenzie di rating 8. In tale contesto ha poi agito, non quale causa comprimaria ma piuttosto come “cassa di risonanza”, il crollo di fiducia dell’intero sistema verso sé stesso (che poi si vedrà essere stato, come spesso accade in tali circostanze, in gran parte solo temporaneo, perché giammai i mercati imparano dai propri errori …), subitaneamente subentrato all’iniziale incredulità nel vedere una macchina da chiunque considerata infallibile rovinosamente fallire. Tutte le succitate cause erano certamente riconoscibili e ponderabili ad un occhio attento e preparato, ed è dunque stata la condotta degli operatori istituzionali a tutti i livelli della scala sistemica (ed in particolare degli organismi regolatori), alle volte motivata da imperizia e/o cieca fiducia nei meccanismi autocompensativi dei mercati, altre volte da veri e propri istinti “predatori”, e comunque sempre nell’ottusa convinzione che “this time is different”, a causare il crollo dei mercati più rovinoso e sistemico della storia dopo quello del 1929. In altre parole, e mantenendo l’allegoria della natura “cattiva e spietata” che tanto piace ai sostenitori (e sono ancora parecchi negli USA) della straordinaria unicità ed imprevedibilità della crisi trascorsa, la nave è affondata non per terribili ed imprevedibili marosi, ma perché era vecchia e mal manutenuta, le previsioni meteo erano state trascurate o deliberatamente ignorate, il radar era stato tenuto spento e gli ufficiali al comando versavano in stato d’evidente prostrazione. Nei successivi paragrafi si indagheranno (con l’esclusione degli approcci regolamentari che, per le loro complessità e natura country specific esulano dagli scopi del presente studio) le principali determinanti della crisi del 2007 negli USA, e specificamente: la crescita dei tassi di morosità sui mutui di peggiore qualità (c.d. subprime), la persistenza di gravi squilibri macroeconomici, l’accelerazione incontrollata dell’innovazione finanziaria in forme che rendevano opaca la distribuzione nonché la precisa misurabilità dell’entità dei rischi trasferiti, il processo di continua e massiva deregolamentazione dei mercati in virtù del favor accordato dal prevalente clima ideologico nonché della notevole “indolenza” manifestata dalle autorità di vigilanza, il prevalere di modelli di business esclusivamente orientati alla massimizzazione dei profitti ad ogni costo. È importante evidenziare come si tratti di fattori che, in condizioni fisiologiche, possono presentare aspetti positivi poiché riflettono, e in parte favoriscono, una crescita economica elevata, ma che parimenti possono facilmente degenerare, come di fatto accadde, in patologie molto serie facilmente aggravabili da terapie non appropriate. In particolare, è ormai acclarato che la scintilla che accese la crisi (la bolla immobiliare USA e il connesso subprime lending) non sarebbe stata sufficiente a provocare la rapida diffusione di un co-lossale incendio se non fosse stata contemporaneamente presente una condizione del tutto “patologica” dei rimanenti fattori poc’anzi menzionati.
2019
9788892131361
Paoloni, M. (2019). La grande crisi del 2007. Tempesta perfetta o sonno della ragione?. In Mauro Paoloni (a cura di), La crisi finanziaria internazionale e nazionale. Gli strumenti contabili e di controllo, i meccanismi di risoluzione e le prospettive future (pp. 1-36). Torino : Giappichelli Editore.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/385734
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