Scrive Gilles Deleuze: «i dispositivi sono in effetti come le macchine di Raymond Roussel, così come Foucault le analizza, sono cioè macchine per far vedere e far parlare». Osservare ed esplorare sono due azioni complementari, ma differenti che conducono l’uomo alla conoscenza del paesaggio e alla costruzione della sua mutevole immagine. Se l’osservazione rimanda alla staticità, all’attesa, alla contemplazione, l’esplorazione è affidata a una condizione di dinamicità, movimento, spostamento. Gli sguardi e i cammini si conformano in relazione al periodo storico, ai pensieri dominanti, ai costumi sociali e vengono educati o tracciati, in modo più o meno consapevole, dalle immagini che ci circondano, dalle ricerche, dalle sperimentazioni, dalle necessità e dalle mode. Ciò che oggi appare al nostro sguardo e ci suggerisce le direzioni da prendere, un tempo era nascosto; ciò che oggi ci sembra bello, un tempo veniva evitato, ciò che sembrava inutile oggi è necessario. Nel tempo in cui sta vivendo, più che in passato, l’uomo sembra essere alla ricerca, anche negli ambienti urbani, di una natura che non sembrava più necessaria, ma che è tornata in modo prepotente, invadente e spesso informe all’interno delle metropoli occidentali contemporanee. Di conseguenza la ricerca e il dibattito scientifico, quanto mai multidisciplinare, hanno iniziato a interrogarsi insistentemente sul suo ruolo e sui modi di abitare gli spazi urbani «selvatici» dove crescono e proliferano nuove specie e si formano nuove ecologie. In che modo il progetto di architettura del paesaggio può favorire l’osservazione e l’esplorazione degli spazi urbani caatterizzati da una forte presenza di biodiversità? Attraverso quale strategia il progetto può favorire la conoscenza delle specie vegetali e animali senza interferire in modo troppo invasivo garantendo la coesistenza tra specie umane e non- umane e la sovrapposizione di pratiche differenti? Il saggio, attraverso la lettura di due casi studio italiani e due internazionali, analizza come l’utilizzo di dispositivi spaziali sia una possibile risposta, non senza rischi, alla necessità di stabilire e controllare le relazioni fisiche e percettive tra esseri umani e non umani e di far conoscere la ricchezza e il fascino della «natura del quarto tipo». Nel contesto della nostra trattazione per dispositivi spaziali si intendono quegli elementi architettonici – torrette, belvederi, camminamenti, passerelle – utilizzati per guidare e suggerire l’azione di osservare ed esplorare lo spazio della biodiversità indirizzando gli sguardi e tracciando i percorsi in una direzione piuttosto che in un’altra.
Gabbianelli, A. (2021). Dispositivi per far vedere e far parlare: osservare ed esplorare la biodiversità urbana.. In A. Gabbianelli, B.M. Rinaldi, E. Salizzoni (a cura di), Nature in città. Biodiversità e progetto di paesaggio in Italia (pp. 121-135). Bologna : Società editrice il Mulino.
Dispositivi per far vedere e far parlare: osservare ed esplorare la biodiversità urbana.
Gabbianelli Alessandro
2021-01-01
Abstract
Scrive Gilles Deleuze: «i dispositivi sono in effetti come le macchine di Raymond Roussel, così come Foucault le analizza, sono cioè macchine per far vedere e far parlare». Osservare ed esplorare sono due azioni complementari, ma differenti che conducono l’uomo alla conoscenza del paesaggio e alla costruzione della sua mutevole immagine. Se l’osservazione rimanda alla staticità, all’attesa, alla contemplazione, l’esplorazione è affidata a una condizione di dinamicità, movimento, spostamento. Gli sguardi e i cammini si conformano in relazione al periodo storico, ai pensieri dominanti, ai costumi sociali e vengono educati o tracciati, in modo più o meno consapevole, dalle immagini che ci circondano, dalle ricerche, dalle sperimentazioni, dalle necessità e dalle mode. Ciò che oggi appare al nostro sguardo e ci suggerisce le direzioni da prendere, un tempo era nascosto; ciò che oggi ci sembra bello, un tempo veniva evitato, ciò che sembrava inutile oggi è necessario. Nel tempo in cui sta vivendo, più che in passato, l’uomo sembra essere alla ricerca, anche negli ambienti urbani, di una natura che non sembrava più necessaria, ma che è tornata in modo prepotente, invadente e spesso informe all’interno delle metropoli occidentali contemporanee. Di conseguenza la ricerca e il dibattito scientifico, quanto mai multidisciplinare, hanno iniziato a interrogarsi insistentemente sul suo ruolo e sui modi di abitare gli spazi urbani «selvatici» dove crescono e proliferano nuove specie e si formano nuove ecologie. In che modo il progetto di architettura del paesaggio può favorire l’osservazione e l’esplorazione degli spazi urbani caatterizzati da una forte presenza di biodiversità? Attraverso quale strategia il progetto può favorire la conoscenza delle specie vegetali e animali senza interferire in modo troppo invasivo garantendo la coesistenza tra specie umane e non- umane e la sovrapposizione di pratiche differenti? Il saggio, attraverso la lettura di due casi studio italiani e due internazionali, analizza come l’utilizzo di dispositivi spaziali sia una possibile risposta, non senza rischi, alla necessità di stabilire e controllare le relazioni fisiche e percettive tra esseri umani e non umani e di far conoscere la ricchezza e il fascino della «natura del quarto tipo». Nel contesto della nostra trattazione per dispositivi spaziali si intendono quegli elementi architettonici – torrette, belvederi, camminamenti, passerelle – utilizzati per guidare e suggerire l’azione di osservare ed esplorare lo spazio della biodiversità indirizzando gli sguardi e tracciando i percorsi in una direzione piuttosto che in un’altra.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.