Il breve saggio propone di inquadrare il fenomeno dell’improvvisazione nel concetto di «prassi», cioè sotto il concetto di una attività che ha se stessa per fine dell’agire, che non produce niente, ossia non dà luogo a qualcosa che le sopravvive; un’attività, insomma, che inizia e finisce con la sua esecuzione. Naturalmente questa cornice vale a patto che per «improvvisare» non intendiamo, come ordinariamente usiamo la parola, un approntare soluzioni alla bell’e meglio per cavarci da un problema o da una situazione imbarazzante (come fa un politico interrogato su un tema scomodo o su cui non è preparato). Ma nemmeno il senso filosofico tradizionale ci aiuta a inquadrare il fenomeno dell’improvvisazione come un aspetto o qualità fondamentale della prassi umana. Il mio intervento, quindi, propone di mettere a fuoco una capacità improvvisativa distinta dall’improvvisazione effettiva, quella che in ogni ambito richiede le sue tecniche e i suoi protocolli, e la intenderà come forza produttiva messa al lavoro (sebbene, o forse: a ragione del fatto che non produce niente di materiale), intendendola come una facoltà basica dell’essere umano. Vorrei dunque assumere, dopo averla brevemente illustrata, la centralità di questa capacità innata, per così dire, nel lavoro contemporaneo come tema guida per ricavare poche ma utili coordinate per orientarsi in questo contesto, fatto di processi storici (e dunque di un passato anche abbastanza recente) e di sistemi attuali.
Carbone, G. (2014). L'improvvisazione messa al lavoro. Forme e paradigmi della produzione culturale contemporanea. In Alessandro Sbordoni (a cura di), Improvvisazione oggi (pp. 97-106). ITA : Lim.
L'improvvisazione messa al lavoro. Forme e paradigmi della produzione culturale contemporanea
CARBONE G
2014-01-01
Abstract
Il breve saggio propone di inquadrare il fenomeno dell’improvvisazione nel concetto di «prassi», cioè sotto il concetto di una attività che ha se stessa per fine dell’agire, che non produce niente, ossia non dà luogo a qualcosa che le sopravvive; un’attività, insomma, che inizia e finisce con la sua esecuzione. Naturalmente questa cornice vale a patto che per «improvvisare» non intendiamo, come ordinariamente usiamo la parola, un approntare soluzioni alla bell’e meglio per cavarci da un problema o da una situazione imbarazzante (come fa un politico interrogato su un tema scomodo o su cui non è preparato). Ma nemmeno il senso filosofico tradizionale ci aiuta a inquadrare il fenomeno dell’improvvisazione come un aspetto o qualità fondamentale della prassi umana. Il mio intervento, quindi, propone di mettere a fuoco una capacità improvvisativa distinta dall’improvvisazione effettiva, quella che in ogni ambito richiede le sue tecniche e i suoi protocolli, e la intenderà come forza produttiva messa al lavoro (sebbene, o forse: a ragione del fatto che non produce niente di materiale), intendendola come una facoltà basica dell’essere umano. Vorrei dunque assumere, dopo averla brevemente illustrata, la centralità di questa capacità innata, per così dire, nel lavoro contemporaneo come tema guida per ricavare poche ma utili coordinate per orientarsi in questo contesto, fatto di processi storici (e dunque di un passato anche abbastanza recente) e di sistemi attuali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.