Il saggio si sofferma sulle dinamiche narrative della serialità e sulle istanze estetiche e culturali, fondamentalmente conservatrici, che caratterizzano la serie televisiva "Downton Abbey" in relazione ai mutamenti cruciali di inizio Novecento. Da una parte, in essa sembra prevalere una forma di nostalgico anti-progressismo, se non di ansiogeno snobismo culturale, nei confronti della crescente massificazione, meccanizzazione e americanizzazione della società inglese, che sembra rievocare, in alcuni dei personaggi più resistenti al cambiamento, l’atteggiamento di un certo numero di intellettuali dell’epoca – non ultimo l’Aldous Huxley del "Mondo nuovo" (1932), citato più volte nella serie; dall’altra, la trasformazione e la propulsione, che vengono prodotti dal progresso sociale e tecnologico e che, in fin dei conti, sono il motore stesso della Storia e delle storie, appaiono tematizzati nella loro ineluttabilità - e persino metaforizzati come mari in tempesta che l'eterotopico ‘bastimento’ Downton è costretto ad attraversare - oppure associati intertestualmente alle dinamiche trasgressive dell'Alice di Lewis Carroll. Si instaura, dunque, una dialettica peculiare tra ripetizione e innovazione, tradizione e modernità, tempo ciclico e tempo lineare, continuamente giocata in dialogo con la letteratura vittoriana e con quella epocale, che rende il 'brave new world' della serie un testo culturale sfaccettato e complesso: pur generato da un impulso teso a (ri)costruire il passato come un sogno dorato o come una favola d’altri tempi (la cui struttura narrativa archetipica affiora continuamente a livello intertestuale), l’universo del racconto, dominato dal ritorno dell’identico, si schiude all’accettazione dell'idea che la natura della vita sia inesorabilmente mutevole.
Esposito, L. (2021). "Una fiaba edoardiana per la nuova fabbrica dei sogni: tra conservazione e innovazione". In Lucia Esposito e Alessandra Ruggiero (a cura di), Downton Abbey. Il fascino sfacciato dell'aristocrazia (pp. 61-85). ITA : Mimesis.
"Una fiaba edoardiana per la nuova fabbrica dei sogni: tra conservazione e innovazione"
LUCIA ESPOSITO
2021-01-01
Abstract
Il saggio si sofferma sulle dinamiche narrative della serialità e sulle istanze estetiche e culturali, fondamentalmente conservatrici, che caratterizzano la serie televisiva "Downton Abbey" in relazione ai mutamenti cruciali di inizio Novecento. Da una parte, in essa sembra prevalere una forma di nostalgico anti-progressismo, se non di ansiogeno snobismo culturale, nei confronti della crescente massificazione, meccanizzazione e americanizzazione della società inglese, che sembra rievocare, in alcuni dei personaggi più resistenti al cambiamento, l’atteggiamento di un certo numero di intellettuali dell’epoca – non ultimo l’Aldous Huxley del "Mondo nuovo" (1932), citato più volte nella serie; dall’altra, la trasformazione e la propulsione, che vengono prodotti dal progresso sociale e tecnologico e che, in fin dei conti, sono il motore stesso della Storia e delle storie, appaiono tematizzati nella loro ineluttabilità - e persino metaforizzati come mari in tempesta che l'eterotopico ‘bastimento’ Downton è costretto ad attraversare - oppure associati intertestualmente alle dinamiche trasgressive dell'Alice di Lewis Carroll. Si instaura, dunque, una dialettica peculiare tra ripetizione e innovazione, tradizione e modernità, tempo ciclico e tempo lineare, continuamente giocata in dialogo con la letteratura vittoriana e con quella epocale, che rende il 'brave new world' della serie un testo culturale sfaccettato e complesso: pur generato da un impulso teso a (ri)costruire il passato come un sogno dorato o come una favola d’altri tempi (la cui struttura narrativa archetipica affiora continuamente a livello intertestuale), l’universo del racconto, dominato dal ritorno dell’identico, si schiude all’accettazione dell'idea che la natura della vita sia inesorabilmente mutevole.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.