I n ogni luogo abitato da alberi e da umani – ovunque, da sempre – esiste una risonanza narrativa da cui affiorano lineamenti di “antropologie arboree” insieme universali e peculiari, con declinazioni locali particolarissime, paragonabili alla minuzia con cui si modulano i dialetti e le inflessioni di una stessa lingua. Oltre a essere forme biologiche, gli alberi sono infatti interpreti di memorie, simboli, storie e affetti umani, sono totem che restituiscono la fisionomia della nostra personalità, individuale e collettiva: ci rivolgiamo agli alberi ed essi ci parlano di noi; li guardiamo, ed è come vedersi riflessi in uno specchio. Gli alberi sono i protagonisti indiscussi del nostro tempo, sottoposti persino a sovraesposizione mediatica inflazionante. Hanno successo perché, in un momento di profondi smarrimenti e disincanti, evocano valori balsamici – tenacia, lungimiranza, cura, generosità, fiducia, fedeltà, accoglienza, fecondità, rinascita, e la lista potrebbe continuare con una vertiginosa pletora di virtù – cui oggi si aggiungono doti preziosissime in termini di prestazioni ecosistemiche, molto apprezzate anche dai mercati – ossigenazione, assorbimento degli inquinanti, rigenerazione del suolo, incremento di biodiversità e biomassa, e così via – celebrandosi convenienti e frondosi matrimoni tra ecologie ed economie. Queste visioni, rassicuranti e facilmente consensuali, implicano il rischio di un grande spreco narrativo, perché attenuano o del tutto disinnescano il vigore retorico degli alberi, assimilandoli al più inebriante degli analgesici, al più obnubilante dei sedativi: gli alberi finiscono per raccontarci solo quel che vogliamo ascoltare, trascurando molte altre spigolature, forse pungenti e irritanti, ma non di meno capaci di rinfrancare immaginari debilitati o sonnolenti. Infatti, proprio perché ci assomigliano, gli alberi non sono solo distillati di virtù, ma manifestano anche caratteri scabrosi e controversi, da cui potremmo ricavare finanche imbarazzo e turbamento. Proprio come noi, esprimono contraddizioni e ambiguità irrisolte, che fanno traballare distinzioni manichee tra buono e cattivo, giusto e sbagliato, bello e brutto, affascinante e repulsivo, sollecitando a riconsiderare molte delle semplificazioni binarie con cui ci fingiamo di governare noi stessi e il mondo. Le undici storie di “alberi ulteriori” – leggere e ironiche, forse irriverenti, a tratti abrasive –, ospitate in queste pagine, offrono una raccolta di brevi racconti arborei con lo scopo di evocare alcuni aspetti problematici della reciprocità che ci lega agli alberi, instillare dubbi e aprire a interpretazioni sollecitanti.

Metta, A. (2022). Alberi ulteriori. In G.M. Annalisa Metta (a cura di), Alberi! Trenta frammenti di storia d'Italia (pp. 12-15). Venezia : Marsilio.

Alberi ulteriori

annalisa metta
2022-01-01

Abstract

I n ogni luogo abitato da alberi e da umani – ovunque, da sempre – esiste una risonanza narrativa da cui affiorano lineamenti di “antropologie arboree” insieme universali e peculiari, con declinazioni locali particolarissime, paragonabili alla minuzia con cui si modulano i dialetti e le inflessioni di una stessa lingua. Oltre a essere forme biologiche, gli alberi sono infatti interpreti di memorie, simboli, storie e affetti umani, sono totem che restituiscono la fisionomia della nostra personalità, individuale e collettiva: ci rivolgiamo agli alberi ed essi ci parlano di noi; li guardiamo, ed è come vedersi riflessi in uno specchio. Gli alberi sono i protagonisti indiscussi del nostro tempo, sottoposti persino a sovraesposizione mediatica inflazionante. Hanno successo perché, in un momento di profondi smarrimenti e disincanti, evocano valori balsamici – tenacia, lungimiranza, cura, generosità, fiducia, fedeltà, accoglienza, fecondità, rinascita, e la lista potrebbe continuare con una vertiginosa pletora di virtù – cui oggi si aggiungono doti preziosissime in termini di prestazioni ecosistemiche, molto apprezzate anche dai mercati – ossigenazione, assorbimento degli inquinanti, rigenerazione del suolo, incremento di biodiversità e biomassa, e così via – celebrandosi convenienti e frondosi matrimoni tra ecologie ed economie. Queste visioni, rassicuranti e facilmente consensuali, implicano il rischio di un grande spreco narrativo, perché attenuano o del tutto disinnescano il vigore retorico degli alberi, assimilandoli al più inebriante degli analgesici, al più obnubilante dei sedativi: gli alberi finiscono per raccontarci solo quel che vogliamo ascoltare, trascurando molte altre spigolature, forse pungenti e irritanti, ma non di meno capaci di rinfrancare immaginari debilitati o sonnolenti. Infatti, proprio perché ci assomigliano, gli alberi non sono solo distillati di virtù, ma manifestano anche caratteri scabrosi e controversi, da cui potremmo ricavare finanche imbarazzo e turbamento. Proprio come noi, esprimono contraddizioni e ambiguità irrisolte, che fanno traballare distinzioni manichee tra buono e cattivo, giusto e sbagliato, bello e brutto, affascinante e repulsivo, sollecitando a riconsiderare molte delle semplificazioni binarie con cui ci fingiamo di governare noi stessi e il mondo. Le undici storie di “alberi ulteriori” – leggere e ironiche, forse irriverenti, a tratti abrasive –, ospitate in queste pagine, offrono una raccolta di brevi racconti arborei con lo scopo di evocare alcuni aspetti problematici della reciprocità che ci lega agli alberi, instillare dubbi e aprire a interpretazioni sollecitanti.
2022
9791254630327
Metta, A. (2022). Alberi ulteriori. In G.M. Annalisa Metta (a cura di), Alberi! Trenta frammenti di storia d'Italia (pp. 12-15). Venezia : Marsilio.
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