Giuristi e più precisamente penalisti, costituzionalisti, filosofi del diritto, storici del diritto, funzionari penitenziari, giudici ordinari e costituzionali si interrogano da decenni sulla funzione legale e formale della pena. Tuttavia, essi discutono di una punizione astratta, una punizione scritta in leggi e codici, ma che non esiste nella realtà. Più aderente alla realtà politica, sociale, criminale e carceraria è stato uno studioso e politico degli anni ’30 del secolo scorso, Arturo Rocco, il padre del codice penale italiano attualmente in vigore, che ha scritto quanto segue: "È evidente come questo carattere di necessaria difesa [degli interessi vitali della nazione] si ritrovi, non solo in quei reati che attaccano direttamente l'esistenza o la sicurezza o lo Stato, ma anche in quei gravi reati comuni che, per l'atroce modo in cui vengono commessi, e in assenza di circostanze attenuanti, denotano nei colpevoli una perversità tale da rendere vana ogni speranza di emendamento e di rieducazione. [...] La severità delle pene non può essere giustificata se non da un concreto e immediato scopo di più vigorosa repressione". Alfredo Rocco non aveva bisogno di mentire sulla funzione effettiva della pena. Ha ammesso che il sistema punitivo è funzionale all'apparato repressivo. Rocco era l'ideologo giurista del fascismo, e il regime fascista poteva permettersi di rivendicare un'idea della pena come afflizione, senza quelle ipocrisie che sono necessariamente e inevitabilmente presenti nelle democrazie. Negli ultimi settant'anni ampio è stato il dibattito sulla funzione della pena. Ancora oggi, c'è un'ampia e meticolosa attenzione della dottrina e della giurisprudenza sul vecchio e nobile tema della funzione della pena. Giuristi e studiosi cercano di dissociare la pena dalle esigenze della difesa sociale e della mera repressione. Accademici, giudici e avvocati, a tutti i livelli, discutono, indagano, scrivono saggi e sentenze su quella che dovrebbe essere la funzione della pena, senza mettere in discussione l'essenza materiale di quella che è stata universalmente - nello spazio e nel tempo (per almeno due secoli) - considerata l'unica pena degna di questo nome, cioè la reclusione. Per capire quale sia la funzione di una pena, occorre comprendere la natura materiale e quotidiana di tale pena. Qualsiasi risposta alle principali domande su quale sia o debba essere la funzione di una sanzione penale non può prescindere dalla conoscenza del sistema delle pene e della reclusione nella loro concretezza. Nessuno scienziato rinuncerebbe all'osservazione diretta sul campo per comprendere meglio il buono stato dei suoi studi teorici. Innanzitutto, una visione della realtà aiuta a sgombrare il campo da un primo malinteso interpretativo. Sebbene tutta la cultura giuridica contemporanea sia orientata alla ricerca di alternative alla detenzione, il carcere domina il pianeta. Il carcere è, infatti, l'unica sanzione considerata come tale dai politici, dall'opinione pubblica e, non di rado, dai giudici e dagli attori della sicurezza. Tutte le altre sanzioni penali, a partire da quella pecuniaria, sono marginali, previste per pochi reati minori. Esse hanno favorito l'estensione del diritto penale ad ambiti che tradizionalmente appartenevano al diritto civile o amministrativo, senza intaccare la centralità del carcere come pena principale. Le misure non detentive sono state finora incapaci di togliere la centralità alla pena detentiva. Nel lavoro quotidiano dei servizi sociali e dei tribunali, le misure alternative alla detenzione e al processo hanno occupato quello che probabilmente sarebbe stato lo spazio della non punibilità. Eppure la funzione normativa dichiarata era diversa. Una funzione tendenzialmente negata alla luce dell’osservazione empirica delle carceri.

Gonnella, P. (2021). Funzione legale e funzione sociale della pena carceraria, tra strapotere simbolico e reale. In Roberto Bezzi Francesca Oggionni (a cura di), Educazione in carcere. Sguardi sulla complessità (pp. 70-80). Milano : Franco Angeli.

Funzione legale e funzione sociale della pena carceraria, tra strapotere simbolico e reale

patrizio gonnella
2021-01-01

Abstract

Giuristi e più precisamente penalisti, costituzionalisti, filosofi del diritto, storici del diritto, funzionari penitenziari, giudici ordinari e costituzionali si interrogano da decenni sulla funzione legale e formale della pena. Tuttavia, essi discutono di una punizione astratta, una punizione scritta in leggi e codici, ma che non esiste nella realtà. Più aderente alla realtà politica, sociale, criminale e carceraria è stato uno studioso e politico degli anni ’30 del secolo scorso, Arturo Rocco, il padre del codice penale italiano attualmente in vigore, che ha scritto quanto segue: "È evidente come questo carattere di necessaria difesa [degli interessi vitali della nazione] si ritrovi, non solo in quei reati che attaccano direttamente l'esistenza o la sicurezza o lo Stato, ma anche in quei gravi reati comuni che, per l'atroce modo in cui vengono commessi, e in assenza di circostanze attenuanti, denotano nei colpevoli una perversità tale da rendere vana ogni speranza di emendamento e di rieducazione. [...] La severità delle pene non può essere giustificata se non da un concreto e immediato scopo di più vigorosa repressione". Alfredo Rocco non aveva bisogno di mentire sulla funzione effettiva della pena. Ha ammesso che il sistema punitivo è funzionale all'apparato repressivo. Rocco era l'ideologo giurista del fascismo, e il regime fascista poteva permettersi di rivendicare un'idea della pena come afflizione, senza quelle ipocrisie che sono necessariamente e inevitabilmente presenti nelle democrazie. Negli ultimi settant'anni ampio è stato il dibattito sulla funzione della pena. Ancora oggi, c'è un'ampia e meticolosa attenzione della dottrina e della giurisprudenza sul vecchio e nobile tema della funzione della pena. Giuristi e studiosi cercano di dissociare la pena dalle esigenze della difesa sociale e della mera repressione. Accademici, giudici e avvocati, a tutti i livelli, discutono, indagano, scrivono saggi e sentenze su quella che dovrebbe essere la funzione della pena, senza mettere in discussione l'essenza materiale di quella che è stata universalmente - nello spazio e nel tempo (per almeno due secoli) - considerata l'unica pena degna di questo nome, cioè la reclusione. Per capire quale sia la funzione di una pena, occorre comprendere la natura materiale e quotidiana di tale pena. Qualsiasi risposta alle principali domande su quale sia o debba essere la funzione di una sanzione penale non può prescindere dalla conoscenza del sistema delle pene e della reclusione nella loro concretezza. Nessuno scienziato rinuncerebbe all'osservazione diretta sul campo per comprendere meglio il buono stato dei suoi studi teorici. Innanzitutto, una visione della realtà aiuta a sgombrare il campo da un primo malinteso interpretativo. Sebbene tutta la cultura giuridica contemporanea sia orientata alla ricerca di alternative alla detenzione, il carcere domina il pianeta. Il carcere è, infatti, l'unica sanzione considerata come tale dai politici, dall'opinione pubblica e, non di rado, dai giudici e dagli attori della sicurezza. Tutte le altre sanzioni penali, a partire da quella pecuniaria, sono marginali, previste per pochi reati minori. Esse hanno favorito l'estensione del diritto penale ad ambiti che tradizionalmente appartenevano al diritto civile o amministrativo, senza intaccare la centralità del carcere come pena principale. Le misure non detentive sono state finora incapaci di togliere la centralità alla pena detentiva. Nel lavoro quotidiano dei servizi sociali e dei tribunali, le misure alternative alla detenzione e al processo hanno occupato quello che probabilmente sarebbe stato lo spazio della non punibilità. Eppure la funzione normativa dichiarata era diversa. Una funzione tendenzialmente negata alla luce dell’osservazione empirica delle carceri.
2021
9788835120872
Gonnella, P. (2021). Funzione legale e funzione sociale della pena carceraria, tra strapotere simbolico e reale. In Roberto Bezzi Francesca Oggionni (a cura di), Educazione in carcere. Sguardi sulla complessità (pp. 70-80). Milano : Franco Angeli.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/431071
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