L’obiettivo del saggio è mostrare se e come la moderna industria dell’intrattenimento televisivo, all’interno dei rizomi narrativi costruiti dagli odierni progetti transmediali, possa contribuire ad alimentare la capacità di Shakespeare di ‘produrre senso’ presso un pubblico più giovane e più ampio rispetto a quello formato da studiosi accademici e frequentatori di teatro. Godendo di un primato assoluto tra gli spettatori contemporanei, le serie televisive possono davvero svolgere un ruolo culturale prezioso, non solo perché, stimolando la memoria intermediale, possono riorientare il pubblico verso le opere che spesso le ispirano, ma anche perché sono in grado di costruire nel tempo, episodio dopo episodio, un rapporto di affettiva familiarità con le figure che ne sono oggetto. In questo senso, il successo della serie comica Upstart Crow di Ben Elton (BBC, 3 stagioni, 2016-2018) appare particolarmente significativo. La serie, infatti, non è l’adattamento di un’opera shakespeariana ma un mock-biopic mirato a de-monumentalizzare la figura del Bardo e a renderla disponibile, nei suoi tratti più popolari e quotidiani, per una ricezione di tipo meno esperto e reverenziale. Il processo bachtiniano di ‘scoronamento dell’eroe’ che caratterizza la parodia trae particolare vantaggio dall’esilarante contrasto tra il registro ‘alto’ dei versi poetici e dei temi e personaggi eroici delle opere dell’autore e il livello ‘basso’, quasi carnevalesco, tanto del linguaggio dei personaggi – zeppo di parolacce pseudo-antiche e doppi sensi – quanto degli spazi popolari, abitativi e teatrali, in cui sono ambientate la storia e le storie del drammaturgo. L’opera di demitizzazione, tuttavia, non mette mai in discussione l’autorità culturale della fonte; la serie sembra volersi rivestire, al contrario, del prestigio culturale tradizionalmente attribuito al drammaturgo per esorcizzare il residuale complesso di inferiorità di un mezzo che, nonostante l’indiscutibile qualità di moltissime produzioni degli ultimi decenni, appare ancora in fase di definizione della propria artisticità. Dimostra tale intento anche la pubblicazione degli script delle prime due stagioni. L’operazione di transmedializzazione appare interessante per diversi motivi. Innanzitutto, per la natura intermediale e metalettica del libro stesso, sedicente ‘trascrizione’ non di un’opera teatrale ma di episodi ‘performativi’ della vita di Shakespeare – con tanto di dramatis personae e prologhi – che porta fuori metafora la frequente concettualizzazione shakespeariana della vita come teatro; poi, per le lunghe annotazioni che corredano il volume di paratesti pseudo-colti. Mentre continuano a desacralizzare le parole e le opere shakespeariane, sottolineando l’insuccesso di certe infiorettature retoriche e lungaggini narrative presso il pubblico giovane, le annotazioni sembrano mirate, in realtà, a ottenere l’effetto opposto: accorciare, per il tramite di un’ironia bonaria e di astute associazioni a prodotti pop contemporanei, la possibile distanza affettiva e cognitiva del pubblico rispetto a un’icona della cultura elitaria. In questa cornice, la ricerca della legittimazione letteraria attraverso la pubblicazione degli script, oltre che attraverso la messa in scena teatrale che ha ulteriormente arricchito l’universo transmediale, apparirebbe singolare se non fosse anche riconducibile all’ancora dibattuta dignità artistica del medium televisivo, data l’aperta contraddizione con il clima di crescente de-gerarchizzazione culturale che interessa la nostra contemporaneità.

Esposito, L. (2023). “La storia e le storie di Shakespeare, fra televisione, teatro e letteratura. 'Upstart Crow' e la sfida dell’autori(ali)tà”. In A.N. Angela Leonardi (a cura di), Lo scrigno del Bardo. Storie ritrovate prima e dopo Shakespeare (pp. 65-86). Pisa : Pacini.

“La storia e le storie di Shakespeare, fra televisione, teatro e letteratura. 'Upstart Crow' e la sfida dell’autori(ali)tà”

LUCIA ESPOSITO
2023-01-01

Abstract

L’obiettivo del saggio è mostrare se e come la moderna industria dell’intrattenimento televisivo, all’interno dei rizomi narrativi costruiti dagli odierni progetti transmediali, possa contribuire ad alimentare la capacità di Shakespeare di ‘produrre senso’ presso un pubblico più giovane e più ampio rispetto a quello formato da studiosi accademici e frequentatori di teatro. Godendo di un primato assoluto tra gli spettatori contemporanei, le serie televisive possono davvero svolgere un ruolo culturale prezioso, non solo perché, stimolando la memoria intermediale, possono riorientare il pubblico verso le opere che spesso le ispirano, ma anche perché sono in grado di costruire nel tempo, episodio dopo episodio, un rapporto di affettiva familiarità con le figure che ne sono oggetto. In questo senso, il successo della serie comica Upstart Crow di Ben Elton (BBC, 3 stagioni, 2016-2018) appare particolarmente significativo. La serie, infatti, non è l’adattamento di un’opera shakespeariana ma un mock-biopic mirato a de-monumentalizzare la figura del Bardo e a renderla disponibile, nei suoi tratti più popolari e quotidiani, per una ricezione di tipo meno esperto e reverenziale. Il processo bachtiniano di ‘scoronamento dell’eroe’ che caratterizza la parodia trae particolare vantaggio dall’esilarante contrasto tra il registro ‘alto’ dei versi poetici e dei temi e personaggi eroici delle opere dell’autore e il livello ‘basso’, quasi carnevalesco, tanto del linguaggio dei personaggi – zeppo di parolacce pseudo-antiche e doppi sensi – quanto degli spazi popolari, abitativi e teatrali, in cui sono ambientate la storia e le storie del drammaturgo. L’opera di demitizzazione, tuttavia, non mette mai in discussione l’autorità culturale della fonte; la serie sembra volersi rivestire, al contrario, del prestigio culturale tradizionalmente attribuito al drammaturgo per esorcizzare il residuale complesso di inferiorità di un mezzo che, nonostante l’indiscutibile qualità di moltissime produzioni degli ultimi decenni, appare ancora in fase di definizione della propria artisticità. Dimostra tale intento anche la pubblicazione degli script delle prime due stagioni. L’operazione di transmedializzazione appare interessante per diversi motivi. Innanzitutto, per la natura intermediale e metalettica del libro stesso, sedicente ‘trascrizione’ non di un’opera teatrale ma di episodi ‘performativi’ della vita di Shakespeare – con tanto di dramatis personae e prologhi – che porta fuori metafora la frequente concettualizzazione shakespeariana della vita come teatro; poi, per le lunghe annotazioni che corredano il volume di paratesti pseudo-colti. Mentre continuano a desacralizzare le parole e le opere shakespeariane, sottolineando l’insuccesso di certe infiorettature retoriche e lungaggini narrative presso il pubblico giovane, le annotazioni sembrano mirate, in realtà, a ottenere l’effetto opposto: accorciare, per il tramite di un’ironia bonaria e di astute associazioni a prodotti pop contemporanei, la possibile distanza affettiva e cognitiva del pubblico rispetto a un’icona della cultura elitaria. In questa cornice, la ricerca della legittimazione letteraria attraverso la pubblicazione degli script, oltre che attraverso la messa in scena teatrale che ha ulteriormente arricchito l’universo transmediale, apparirebbe singolare se non fosse anche riconducibile all’ancora dibattuta dignità artistica del medium televisivo, data l’aperta contraddizione con il clima di crescente de-gerarchizzazione culturale che interessa la nostra contemporaneità.
2023
9791254862414
Esposito, L. (2023). “La storia e le storie di Shakespeare, fra televisione, teatro e letteratura. 'Upstart Crow' e la sfida dell’autori(ali)tà”. In A.N. Angela Leonardi (a cura di), Lo scrigno del Bardo. Storie ritrovate prima e dopo Shakespeare (pp. 65-86). Pisa : Pacini.
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