“Prodotti tossici”. “Strumenti di distruzione di massa”. “Mostri simboli della finanza deviata”. Sulla scena della crisi dell’economia occidentale, in un ampio campione della sua rappresentazione mediatica, i prodotti finanziari derivati (nelle più recenti tipologie dei derivati su crediti) occupano una posizione considerevole. altra cosa è qualificare sub specie juris un fatto in quanto tale, altra cosa è collocare il mede-simo fatto in un contesto sistematico, giuridico ed economico, più ampio o, ancora meglio, collocarlo in una vicenda dinamica di sistema. La qualificazione del fatto (contratto derivato su crediti) è senz’altro il punto di partenza: necessario ma non sufficiente per articolare una valutazione, sia pure sommaria, in ordine alla funzione e alla relativa meritevolezza. Funzione e meritevolezza dalle quali parimenti dipen-dono (o si dovrebbero far dipendere) l’interpretazione della disciplina esistente, la sua integrazione ove necessaria, la selezione dei rimedi e l’eventuale segnalazione della necessità di ulteriore o differente re-golamentazione. Quanto sia rilevante la considerazione degli interessi perseguiti in concreto è deducibile peraltro assai chiaramente dalle pagine della dottrina economica e giuridica finanziaria, dove ai nostri prodotti sono assegnate proprietà e controindicazioni esattamente speculari: essi consentono di ottimizzare la gestione del rischio di credito ma possono disincentivare la medesima gestione; conferiscono stabilità agli opera-tori del mercato finanziario ma sono altresì in grado di minare la medesima stabilità provocando eventi catastrofici altamente contagiosi; contribuiscono alla diffusione di informazioni in ordine al valore dei crediti dai quali derivano e sono però anche causa di opacità dei mercati. Non è perciò sufficiente l’osservazione in astratto delle attitudini dei relativi schemi contrattuali ed è invece necessario individua-re elementi di valutazione che consentano di inquadrare la funzione economica perseguita in concreto. In questo senso, la medesima qualificazione del fatto può essere reputata incompleta fintanto che di es-so si abbia una percezione statica, isolata dal contesto dell’attività finanziaria e dal complesso dei relativi rapporti i quali soltanto riescono ad esprimere appieno gli interessi volta per volta in gioco. Ebbene, l’analisi degli interessi pone al centro dell’attenzione due ordini di conflitto prospettati dal fenomeno della esternalizzazione e della circolazione del rischio, la quale rappresenta l’essenza funzio-nale del fenomeno: a) conflitto nel rapporto tra intermediario e acquirente degli strumenti; b) conflitto sistemico, tra intermediari e, appunto, sistema economico, in ragione della funzione ad essi assegnata. Diverse cose condivisibili sono state dette. Innanzitutto, che i prodotti finanziari derivati sono soltanto per parte standardizzati e per larga parte, tutti quelli negoziati fuori dai mercati regolamentati, sono ati-pici e non valutabili a priori neanche da un punto di vista strutturale o, meglio, non valutabili in maniera standardizzata. Alla complessità tecnica si unisce la mancanza di omologazione. Peculiarità, questa, dei prodotti finanziari, in un mercato, al contrario, connotato dall’omologazione quale garanzia essenziale di qualità per i consumatori. Standardizzazione, dunque. L’osservazione coglie l’essenza del problema del controllo a monte: da un lato, la standardizzazione consente l’apprezzamento di ciascun singolo prodotto; dall’altro lato, essa (non l’informazione agli investitori) garantisce le trasparenza complessiva dei mercati necessaria affinché la loro regolazione si possa reputare efficace. In secondo luogo, si è det-to che alcuni prodotti dovrebbero essere semplicemente vietati, tracciando una linea rossa non oltrepas-sabile dall’iniziativa dell’ingegneria finanziaria. Certo è che occorre neutralizzare il conflitto d’interessi che attualmente caratterizza l’attività delle banche nel mercato del trasferimento del rischio di credito e che al riguardo vi è una grave carenza di regolamentazione. È dunque problema di regole e non soltanto a livello nazionale: regole dell’attività, del controllo sull’attività, di enforcement. Sul piano dei rimedi, la collocazione dell’attività degli intermediari nell’area dell’agire funzionale e il problema di essa centrale, quello della giustiziabilità, chiedono la sanzione di obblighi di motivazione. Da qualcuno si parla di una amministrativizzazione dell’iniziativa economica in ambito finanziario. Cer-tamente gli schemi tradizionali dell’autonomia contrattuale sono inadeguati: le operazioni economiche non si condensano in contratti, “titoli” di attribuzioni patrimoniali, ma sono semmai ricostruibili in pro-spettiva squisitamente procedimentale; sull’autonomia prevale la funzione; non è libera bensì discrezio-nale l’attività esercitata dalle parti professionali. In via più generale, l’informazione ma la fiducia muove gli investitori e sostiene i mercati. E l’informazione da sé non genera fiducia. La cronaca degli ultimi anni registra l’ascesa, l’apogeo e la cata-strofe di un modello economico e dei suoi fondamenti ideologici e culturali; registra la crisi, probabil-mente irreversibile, della fiducia in tale modello. La vicenda dei prodotti derivati su crediti esprime sen-za mezzi termini il rischio dell’assenza di regole o, meglio, il rischio e la fragilità del dominio delle ra-gioni dell’economia autoregolamentata, semmai corretta dalle sue disfunzioni informative ma libera dal-la politica e dal diritto.
DI RAIMO, R. (2010). Fisiologia e patologie della finanza derivata. Qualificazione giuridica e profili di sistema. In Finanza derivata, mercati e investitori (pp. 33-81). PISA : ETS.
Fisiologia e patologie della finanza derivata. Qualificazione giuridica e profili di sistema
DI RAIMO, Raffaele
2010-01-01
Abstract
“Prodotti tossici”. “Strumenti di distruzione di massa”. “Mostri simboli della finanza deviata”. Sulla scena della crisi dell’economia occidentale, in un ampio campione della sua rappresentazione mediatica, i prodotti finanziari derivati (nelle più recenti tipologie dei derivati su crediti) occupano una posizione considerevole. altra cosa è qualificare sub specie juris un fatto in quanto tale, altra cosa è collocare il mede-simo fatto in un contesto sistematico, giuridico ed economico, più ampio o, ancora meglio, collocarlo in una vicenda dinamica di sistema. La qualificazione del fatto (contratto derivato su crediti) è senz’altro il punto di partenza: necessario ma non sufficiente per articolare una valutazione, sia pure sommaria, in ordine alla funzione e alla relativa meritevolezza. Funzione e meritevolezza dalle quali parimenti dipen-dono (o si dovrebbero far dipendere) l’interpretazione della disciplina esistente, la sua integrazione ove necessaria, la selezione dei rimedi e l’eventuale segnalazione della necessità di ulteriore o differente re-golamentazione. Quanto sia rilevante la considerazione degli interessi perseguiti in concreto è deducibile peraltro assai chiaramente dalle pagine della dottrina economica e giuridica finanziaria, dove ai nostri prodotti sono assegnate proprietà e controindicazioni esattamente speculari: essi consentono di ottimizzare la gestione del rischio di credito ma possono disincentivare la medesima gestione; conferiscono stabilità agli opera-tori del mercato finanziario ma sono altresì in grado di minare la medesima stabilità provocando eventi catastrofici altamente contagiosi; contribuiscono alla diffusione di informazioni in ordine al valore dei crediti dai quali derivano e sono però anche causa di opacità dei mercati. Non è perciò sufficiente l’osservazione in astratto delle attitudini dei relativi schemi contrattuali ed è invece necessario individua-re elementi di valutazione che consentano di inquadrare la funzione economica perseguita in concreto. In questo senso, la medesima qualificazione del fatto può essere reputata incompleta fintanto che di es-so si abbia una percezione statica, isolata dal contesto dell’attività finanziaria e dal complesso dei relativi rapporti i quali soltanto riescono ad esprimere appieno gli interessi volta per volta in gioco. Ebbene, l’analisi degli interessi pone al centro dell’attenzione due ordini di conflitto prospettati dal fenomeno della esternalizzazione e della circolazione del rischio, la quale rappresenta l’essenza funzio-nale del fenomeno: a) conflitto nel rapporto tra intermediario e acquirente degli strumenti; b) conflitto sistemico, tra intermediari e, appunto, sistema economico, in ragione della funzione ad essi assegnata. Diverse cose condivisibili sono state dette. Innanzitutto, che i prodotti finanziari derivati sono soltanto per parte standardizzati e per larga parte, tutti quelli negoziati fuori dai mercati regolamentati, sono ati-pici e non valutabili a priori neanche da un punto di vista strutturale o, meglio, non valutabili in maniera standardizzata. Alla complessità tecnica si unisce la mancanza di omologazione. Peculiarità, questa, dei prodotti finanziari, in un mercato, al contrario, connotato dall’omologazione quale garanzia essenziale di qualità per i consumatori. Standardizzazione, dunque. L’osservazione coglie l’essenza del problema del controllo a monte: da un lato, la standardizzazione consente l’apprezzamento di ciascun singolo prodotto; dall’altro lato, essa (non l’informazione agli investitori) garantisce le trasparenza complessiva dei mercati necessaria affinché la loro regolazione si possa reputare efficace. In secondo luogo, si è det-to che alcuni prodotti dovrebbero essere semplicemente vietati, tracciando una linea rossa non oltrepas-sabile dall’iniziativa dell’ingegneria finanziaria. Certo è che occorre neutralizzare il conflitto d’interessi che attualmente caratterizza l’attività delle banche nel mercato del trasferimento del rischio di credito e che al riguardo vi è una grave carenza di regolamentazione. È dunque problema di regole e non soltanto a livello nazionale: regole dell’attività, del controllo sull’attività, di enforcement. Sul piano dei rimedi, la collocazione dell’attività degli intermediari nell’area dell’agire funzionale e il problema di essa centrale, quello della giustiziabilità, chiedono la sanzione di obblighi di motivazione. Da qualcuno si parla di una amministrativizzazione dell’iniziativa economica in ambito finanziario. Cer-tamente gli schemi tradizionali dell’autonomia contrattuale sono inadeguati: le operazioni economiche non si condensano in contratti, “titoli” di attribuzioni patrimoniali, ma sono semmai ricostruibili in pro-spettiva squisitamente procedimentale; sull’autonomia prevale la funzione; non è libera bensì discrezio-nale l’attività esercitata dalle parti professionali. In via più generale, l’informazione ma la fiducia muove gli investitori e sostiene i mercati. E l’informazione da sé non genera fiducia. La cronaca degli ultimi anni registra l’ascesa, l’apogeo e la cata-strofe di un modello economico e dei suoi fondamenti ideologici e culturali; registra la crisi, probabil-mente irreversibile, della fiducia in tale modello. La vicenda dei prodotti derivati su crediti esprime sen-za mezzi termini il rischio dell’assenza di regole o, meglio, il rischio e la fragilità del dominio delle ra-gioni dell’economia autoregolamentata, semmai corretta dalle sue disfunzioni informative ma libera dal-la politica e dal diritto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.