Nel rito di fondazione il termine “porta” indica letteralmente l’atto di sollevare l’aratro intento a incidere il solco primigenio, il pomerium, lasciando pertanto una porzione di suolo non marcato. Laddove il muro segna un continuum, la porta suggerisce in questo senso un’interruzione, una discontinuità inseparabile nella limitatio. Lo stesso rito individuava, al centro della città romulea, la realizzazione di un particolarissimo spazio: il mundus. Si trattava di una cavità ctonia che metteva in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti, una porta col passato su cui la città era fondata, e che veniva aperta 3 volte l’anno con la formula mundus patet!, “il mondo è aperto”: in questo modo ciò che era stato rimosso e obliato dalla città nell’istante stesso della sua fondazione riemergeva dal sottosuolo. Se è vero che il muro è ciò che sancisce un dentro dal fuori, un estraneo da un familiare, un interno da un esterno, esso è tuttavia inseparabile dalla porta, la quale si darebbe pertanto come un resto di spazio, vestigia di un “aperto” preistorico, in-diviso, il-limitato, in-appropriabile. Esattamente come il mundus, la porta sembrerebbe dunque essere vocata ad un patire, ad un essere patente (da pateo, “aprire, essere aperto”), configurandosi come spazio liminale che fa da varco e con cui il passato non cessa mai di riaffiorare ed essere accessibile qui e ora: una soglia in-fondata, trattenuta e rappresentata dal meccanismo dell’uscio, del muro e del solco. I Romani avevano una parola antichissima per definirla: limen, un ambito integralmente profano, in-appropriabile e, come tale, irrimediabilmente irrappresentabile. La seguente proposta vuole proporre un’indagine geo-grafica sulle porte della città di Roma, rintracciando i loro guardiani, i loro paesaggi, la loro storia, il loro immaginario e i loro attraversamenti. Attraverso la stratificazione iconografica e cartografica che ci consegnano e tramandano le Imago Urbis, questa lettura vuole rinvenire ed esporre i frammenti di una Roma letteralmente interrotta. Un’operazione che restituisca le sospensioni, le scorie e le erranze nel tracciato, nel di-segno e nella rappresentazione, esplorandone il carattere intrinsecamente liminale, indicibile e irrappresentabile, proponendo una lettura della città eterna come palinsesto potenziale di “soglie”.

Cantalini, J., Borrello, M. (2024). Mundus patet! Roma e le sue porte.

Mundus patet! Roma e le sue porte

J. Cantalini;
2024-01-01

Abstract

Nel rito di fondazione il termine “porta” indica letteralmente l’atto di sollevare l’aratro intento a incidere il solco primigenio, il pomerium, lasciando pertanto una porzione di suolo non marcato. Laddove il muro segna un continuum, la porta suggerisce in questo senso un’interruzione, una discontinuità inseparabile nella limitatio. Lo stesso rito individuava, al centro della città romulea, la realizzazione di un particolarissimo spazio: il mundus. Si trattava di una cavità ctonia che metteva in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti, una porta col passato su cui la città era fondata, e che veniva aperta 3 volte l’anno con la formula mundus patet!, “il mondo è aperto”: in questo modo ciò che era stato rimosso e obliato dalla città nell’istante stesso della sua fondazione riemergeva dal sottosuolo. Se è vero che il muro è ciò che sancisce un dentro dal fuori, un estraneo da un familiare, un interno da un esterno, esso è tuttavia inseparabile dalla porta, la quale si darebbe pertanto come un resto di spazio, vestigia di un “aperto” preistorico, in-diviso, il-limitato, in-appropriabile. Esattamente come il mundus, la porta sembrerebbe dunque essere vocata ad un patire, ad un essere patente (da pateo, “aprire, essere aperto”), configurandosi come spazio liminale che fa da varco e con cui il passato non cessa mai di riaffiorare ed essere accessibile qui e ora: una soglia in-fondata, trattenuta e rappresentata dal meccanismo dell’uscio, del muro e del solco. I Romani avevano una parola antichissima per definirla: limen, un ambito integralmente profano, in-appropriabile e, come tale, irrimediabilmente irrappresentabile. La seguente proposta vuole proporre un’indagine geo-grafica sulle porte della città di Roma, rintracciando i loro guardiani, i loro paesaggi, la loro storia, il loro immaginario e i loro attraversamenti. Attraverso la stratificazione iconografica e cartografica che ci consegnano e tramandano le Imago Urbis, questa lettura vuole rinvenire ed esporre i frammenti di una Roma letteralmente interrotta. Un’operazione che restituisca le sospensioni, le scorie e le erranze nel tracciato, nel di-segno e nella rappresentazione, esplorandone il carattere intrinsecamente liminale, indicibile e irrappresentabile, proponendo una lettura della città eterna come palinsesto potenziale di “soglie”.
2024
9788822920881
Cantalini, J., Borrello, M. (2024). Mundus patet! Roma e le sue porte.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/470487
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