Il saggio analizza il rapporto tra sociologia, letteratura e censura scandagliato da Pareto nel saggio Il mito virtuista e la letteratura immorale, in riferimento ai «maestri della letteratura contemporanea» che venivano denunciati e processati per presunta immoralità. Non faceva eccezione d’Annunzio, che Pareto cita sin dalla prefazione del suo ampio pamphlet, riferendosi al Piacere. Si approfondirà quindi la dimensione pubblicistica e comunicativa del romanzo, per cui l’editore temeva il sequestro in libreria per presunta licenziosità. Ma già per l’Intermezzo di rime e il Libro delle vergini d’Annunzio aveva subìto (o forse generato) lo sdegno di critici e benpensanti, che lo avevano accusato di inverecondia. Lo aveva difeso a mezzo stampa Luigi Lodi, che evidenziava l’arretratezza educativa, culturale ed estetica dell’Italia post-unitaria. La sua tesi, ripresa poi da Pareto, è che la licenziosità dei contemporanei non sia differente da quella degli artisti e degli scrittori del passato, da Petronio fino a Zola, passando per Boccaccio, Dante, Machiavelli. Pareto mette a frutto tale modello argomentativo e difende d’Annunzio (con gli altri scrittori) dalla morsa dell’Inquisizione “virtuista”, facendo leva su una vis polemica e una cifra ironica che fanno del suo saggio un’apologia della libertà di pensiero e di espressione, dettata anche dal processo di trasformazione della democrazia descritto nel saggio del 1921. Sullo sfondo si staglia la lotta ai tabù e alle ipocrisie di critici, lettori, governanti afflitti dalla tabe “virtuista” della nudità artistica, in parte mai estinta.
Lombardinilo, A. (2018). Pareto e d’Annunzio, o della censura “virtuista”. In Un'operosa stagione. Studi offerti a Gianni Oliva (pp. 591-618). Lanciano : Rocco Carabba.
Pareto e d’Annunzio, o della censura “virtuista”
Andrea Lombardinilo
2018-01-01
Abstract
Il saggio analizza il rapporto tra sociologia, letteratura e censura scandagliato da Pareto nel saggio Il mito virtuista e la letteratura immorale, in riferimento ai «maestri della letteratura contemporanea» che venivano denunciati e processati per presunta immoralità. Non faceva eccezione d’Annunzio, che Pareto cita sin dalla prefazione del suo ampio pamphlet, riferendosi al Piacere. Si approfondirà quindi la dimensione pubblicistica e comunicativa del romanzo, per cui l’editore temeva il sequestro in libreria per presunta licenziosità. Ma già per l’Intermezzo di rime e il Libro delle vergini d’Annunzio aveva subìto (o forse generato) lo sdegno di critici e benpensanti, che lo avevano accusato di inverecondia. Lo aveva difeso a mezzo stampa Luigi Lodi, che evidenziava l’arretratezza educativa, culturale ed estetica dell’Italia post-unitaria. La sua tesi, ripresa poi da Pareto, è che la licenziosità dei contemporanei non sia differente da quella degli artisti e degli scrittori del passato, da Petronio fino a Zola, passando per Boccaccio, Dante, Machiavelli. Pareto mette a frutto tale modello argomentativo e difende d’Annunzio (con gli altri scrittori) dalla morsa dell’Inquisizione “virtuista”, facendo leva su una vis polemica e una cifra ironica che fanno del suo saggio un’apologia della libertà di pensiero e di espressione, dettata anche dal processo di trasformazione della democrazia descritto nel saggio del 1921. Sullo sfondo si staglia la lotta ai tabù e alle ipocrisie di critici, lettori, governanti afflitti dalla tabe “virtuista” della nudità artistica, in parte mai estinta.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.