ABITARE LA NATURA A cento anni dal primo progetto per l’Immeuble Villa, l’idea di integrare una porzione di natura negli spazi dell’abitare collettivo ha assunto una nuova attualità in relazione alle sfide poste dalle crisi pandemiche, ambientali ed energetiche. Il tema suggerito da Le Corbusier è stato declinato nel corso di un secolo soprattutto attraverso la suggestione della sovrapposizione di case con giardino, che si realizza dalla fine degli anni Sessanta con progetti come Alexandra Road a Londra, il Villaggio Matteotti a Terni o l’edificio Torres Blancas a Madrid. L’immagine viene portata all’estremo e assume connotazioni diverse nelle griglie strutturali “colonizzate” da roulottes di N. J. Habraken, o nelle fantasie ironiche dei sobborghi residenziali in altezza del gruppo americano SITE (1981). Ma a fronte di operazioni che tendono a ridurre la componente verde a frammento iconico o sfondo paesaggistico dell’abitare, quale ruolo assume la natura nei modelli abitativi contemporanei? L’esperienza del lockdown ha portato alla riscoperta del valore degli spazi esterni e del contatto con un ambiente naturale che, paradossalmente, è continuamente minacciato dall’invasione dell’abitare umano. La sfida è quindi da una parte, come cento anni fa, trovare modi di abitare la natura che non incrementino la dispersione di case nel territorio, evitando quartieri e sobborghi a bassa densità che distruggano paesaggi, aree rurali ed ecosistemi. D’altra parte, appare necessario superare le connotazioni visive, estetiche e commerciali della “casa con giardino”, per ritrovare un senso profondo dei rapporti tra architettura e natura attraverso l’attivazione e l’incorporazione nei modelli abitativi di processi produttivi, cicli energetici, meccanismi di adattamento climatico, fino ad esplorare le possibilità di superare gli approcci antropocentrici impliciti nella tradizione del paesaggio. L’esperienza immersiva dell’abitare la natura evocata da Gilles Clément in una conferenza del 2020 e nel libro Ho costruito una casa da giardiniere offre lo spunto per ripensare un’architettura che nelle ultime decadi ha incorporato sempre più spesso la natura come argomento retorico o come strategia commerciale. Esempi come l’Arbre Blanc di Sou Fujimoto a Montpellier o la Rosewood Tower di Jean Nouvel a Sao Paulo presentano immagini suggestive, con sfumature e spunti diversi, senza tuttavia rifiutare completamente la promozione di un’immagine accattivante. Architetture meno “verdi”, come quelle di Lacaton e Vassal, integrano dispositivi di trasformazione climatica come le serre, collegate storicamente all’addomesticamento della natura, proponendo rapporti più profondi con l’ambiente. In altri casi, la natura si presenta come un bene comune, risorsa o supporto produttivo di una collettività. Negli ultimi anni a questi temi si sono aggiunti nuovi interessi sull’abitare animale, sugli scenari ecologici a lungo termine e sul superamento del punto di vista umano sulla natura che include anche l’ipotesi di un abbandono degli ambienti antropizzati irriciclabili. Questo nuovo numero di Rassegna di Architettura e Urbanistica intende raccogliere dibattiti teorici o ricerche progettuali recenti che esplorino le possibilità di nuovi modi di abitare la natura, in cui il senso di collettività e condivisione sia presente in forme diverse come contestazione alle tendenze dispersive e all’isolamento immunitario già in atto prima della pandemia. INHABITING NATURE One hundred years after the first project for the Immeuble Villa, the idea of integrating a portion of nature in housing architecture has achieved a new relevance in relation to the challenges posed by the pandemic, environmental and energy crises. The theme suggested by Le Corbusier has been declined over the course of a century mainly through the image of stacking houses with gardens. Since the late 1960s, this idea has been realized in projects such as Alexandra Road in London, the Matteotti Village in Terni or the Torres Blancas building in Madrid. The image is taken to the extreme and takes on different connotations in the structural grids "colonised" by caravans by N. J. Habraken, or in the ironic fantasies of the high-rise residential suburbs of the American group SITE (1981). However, in contrast with operations that tend to reduce the green component to an iconic fragment or a landscape background for living, can nature play a significant role in contemporary housing models? The lockdown experience led to the rediscovery of the value of outdoor spaces and of the contact with a natural environment that, paradoxically, is continually threatened by the invasion of human dwelling. A double challenge can be formulated in this context. On the one hand, as a hundred years ago, there is a need to find ways of dwelling closer to nature that do not increase the dispersion of houses in the territory, avoiding low-density neighbourhoods and suburbs that destroy landscapes, rural areas and ecosystems. On the other hand, it seems necessary to go beyond the visual, aesthetic and commercial connotations of the 'house with a garden'. Rediscovering the profound sense of the relationship between architecture and nature through the activation and incorporation in housing models of production processes, energy cycles, climate adaptation mechanisms, could lead to explore the possibilities of overcoming the anthropocentric approaches implicit in the landscape tradition. The immersive experience of inhabiting nature evoked by Gilles Clément in a lecture in 2020 and in the book Le salon des berces offers the opportunity to rethink an architecture that in recent decades has increasingly incorporated nature as a rhetorical argument or commercial strategy. Examples such as Sou Fujimoto's Arbre Blanc in Montpellier or Jean Nouvel's Rosewood Tower in São Paulo use the striking and appealing image of the vertical or hanging gardens, with different connotations. Less "green" architectures, such as those of Lacaton and Vassal, integrate climate-transforming devices like greenhouses, historically linked to the domestication of nature, proposing deeper relationships with the environment. In other cases, nature is presented as a common good, resource or productive support of a community. In recent years, these themes have been joined by new interests in animal living, long-term ecological scenarios and the overcoming of the human view of nature, including the hypothesis of an abandonment of unrecyclable man-made environments. This new issue of “Rassegna di Architettura e Urbanistica” intends to collect theoretical debates or recent design research that explore the possibilities of new ways of inhabiting nature, in which the sense of collectivity and sharing is present in different forms. The theme is proposed as an explicit answer against the tendencies to dispersive atomization and to immune isolation already present before the pandemic.
Farina, M., Martín Blas, S. (a cura di). (2023). Abitare la natura | Inhabiting Nature. Macerata : Quodlibet.
Abitare la natura | Inhabiting Nature
Milena Farina;
2023-01-01
Abstract
ABITARE LA NATURA A cento anni dal primo progetto per l’Immeuble Villa, l’idea di integrare una porzione di natura negli spazi dell’abitare collettivo ha assunto una nuova attualità in relazione alle sfide poste dalle crisi pandemiche, ambientali ed energetiche. Il tema suggerito da Le Corbusier è stato declinato nel corso di un secolo soprattutto attraverso la suggestione della sovrapposizione di case con giardino, che si realizza dalla fine degli anni Sessanta con progetti come Alexandra Road a Londra, il Villaggio Matteotti a Terni o l’edificio Torres Blancas a Madrid. L’immagine viene portata all’estremo e assume connotazioni diverse nelle griglie strutturali “colonizzate” da roulottes di N. J. Habraken, o nelle fantasie ironiche dei sobborghi residenziali in altezza del gruppo americano SITE (1981). Ma a fronte di operazioni che tendono a ridurre la componente verde a frammento iconico o sfondo paesaggistico dell’abitare, quale ruolo assume la natura nei modelli abitativi contemporanei? L’esperienza del lockdown ha portato alla riscoperta del valore degli spazi esterni e del contatto con un ambiente naturale che, paradossalmente, è continuamente minacciato dall’invasione dell’abitare umano. La sfida è quindi da una parte, come cento anni fa, trovare modi di abitare la natura che non incrementino la dispersione di case nel territorio, evitando quartieri e sobborghi a bassa densità che distruggano paesaggi, aree rurali ed ecosistemi. D’altra parte, appare necessario superare le connotazioni visive, estetiche e commerciali della “casa con giardino”, per ritrovare un senso profondo dei rapporti tra architettura e natura attraverso l’attivazione e l’incorporazione nei modelli abitativi di processi produttivi, cicli energetici, meccanismi di adattamento climatico, fino ad esplorare le possibilità di superare gli approcci antropocentrici impliciti nella tradizione del paesaggio. L’esperienza immersiva dell’abitare la natura evocata da Gilles Clément in una conferenza del 2020 e nel libro Ho costruito una casa da giardiniere offre lo spunto per ripensare un’architettura che nelle ultime decadi ha incorporato sempre più spesso la natura come argomento retorico o come strategia commerciale. Esempi come l’Arbre Blanc di Sou Fujimoto a Montpellier o la Rosewood Tower di Jean Nouvel a Sao Paulo presentano immagini suggestive, con sfumature e spunti diversi, senza tuttavia rifiutare completamente la promozione di un’immagine accattivante. Architetture meno “verdi”, come quelle di Lacaton e Vassal, integrano dispositivi di trasformazione climatica come le serre, collegate storicamente all’addomesticamento della natura, proponendo rapporti più profondi con l’ambiente. In altri casi, la natura si presenta come un bene comune, risorsa o supporto produttivo di una collettività. Negli ultimi anni a questi temi si sono aggiunti nuovi interessi sull’abitare animale, sugli scenari ecologici a lungo termine e sul superamento del punto di vista umano sulla natura che include anche l’ipotesi di un abbandono degli ambienti antropizzati irriciclabili. Questo nuovo numero di Rassegna di Architettura e Urbanistica intende raccogliere dibattiti teorici o ricerche progettuali recenti che esplorino le possibilità di nuovi modi di abitare la natura, in cui il senso di collettività e condivisione sia presente in forme diverse come contestazione alle tendenze dispersive e all’isolamento immunitario già in atto prima della pandemia. INHABITING NATURE One hundred years after the first project for the Immeuble Villa, the idea of integrating a portion of nature in housing architecture has achieved a new relevance in relation to the challenges posed by the pandemic, environmental and energy crises. The theme suggested by Le Corbusier has been declined over the course of a century mainly through the image of stacking houses with gardens. Since the late 1960s, this idea has been realized in projects such as Alexandra Road in London, the Matteotti Village in Terni or the Torres Blancas building in Madrid. The image is taken to the extreme and takes on different connotations in the structural grids "colonised" by caravans by N. J. Habraken, or in the ironic fantasies of the high-rise residential suburbs of the American group SITE (1981). However, in contrast with operations that tend to reduce the green component to an iconic fragment or a landscape background for living, can nature play a significant role in contemporary housing models? The lockdown experience led to the rediscovery of the value of outdoor spaces and of the contact with a natural environment that, paradoxically, is continually threatened by the invasion of human dwelling. A double challenge can be formulated in this context. On the one hand, as a hundred years ago, there is a need to find ways of dwelling closer to nature that do not increase the dispersion of houses in the territory, avoiding low-density neighbourhoods and suburbs that destroy landscapes, rural areas and ecosystems. On the other hand, it seems necessary to go beyond the visual, aesthetic and commercial connotations of the 'house with a garden'. Rediscovering the profound sense of the relationship between architecture and nature through the activation and incorporation in housing models of production processes, energy cycles, climate adaptation mechanisms, could lead to explore the possibilities of overcoming the anthropocentric approaches implicit in the landscape tradition. The immersive experience of inhabiting nature evoked by Gilles Clément in a lecture in 2020 and in the book Le salon des berces offers the opportunity to rethink an architecture that in recent decades has increasingly incorporated nature as a rhetorical argument or commercial strategy. Examples such as Sou Fujimoto's Arbre Blanc in Montpellier or Jean Nouvel's Rosewood Tower in São Paulo use the striking and appealing image of the vertical or hanging gardens, with different connotations. Less "green" architectures, such as those of Lacaton and Vassal, integrate climate-transforming devices like greenhouses, historically linked to the domestication of nature, proposing deeper relationships with the environment. In other cases, nature is presented as a common good, resource or productive support of a community. In recent years, these themes have been joined by new interests in animal living, long-term ecological scenarios and the overcoming of the human view of nature, including the hypothesis of an abandonment of unrecyclable man-made environments. This new issue of “Rassegna di Architettura e Urbanistica” intends to collect theoretical debates or recent design research that explore the possibilities of new ways of inhabiting nature, in which the sense of collectivity and sharing is present in different forms. The theme is proposed as an explicit answer against the tendencies to dispersive atomization and to immune isolation already present before the pandemic.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.