Il lavoro si propone di fornire uno studio completo e sistematico di 19 epistole attribuite per lo più a personaggi inclusi nelle tradizionali liste di Sapienti arcaici e tramandate nell’opera di Diogene Laerzio; le epistole vengono fornite di un testo riconsiderato criticamente, della prima traduzione italiana basata sull’edizione di Tiziano Dorandi (Cambridge 2013) e del primo commento disteso lemmatizzato. La tesi è suddivisa in due parti principali, precedute da un’introduzione generale, nella quale sono brevemente riassunti i motivi della mancanza di uno studio sistematico delle epistole in questione, individuati nella relativa recenziorità degli studi sui corpora epistolari pseudepigrafi in generale e, più nello specifico, nelle difficoltà che ancora sussistono intorno alle Vite laerziane, non ultimo un diffuso pregiudizio sul loro autore, la cui reputazione in Italia specialmente Marcello Gigante si è preoccupato di riabilitare. Nella prima parte, che svolge rispetto ai testi la funzione di saggio introduttivo e interpretativo, il primo capitolo è dedicato a una rivalutazione del rapporto tra le 19 epistole e la struttura complessiva dell’opera laerziana, grazie a cui viene corretta l’idea diffusa e sostenuta da Richard Goulet secondo cui le epistole in questione compaiono per lo più alla fine delle biografie perché rinvenute da Diogene in uno stadio di composizione delle Vite piuttosto avanzato. Valutando due casi eccentrici, rappresentati dell’epistola di Epimenide a Solone e, ancor più, da quella di Pisistrato a Solone, è possibile stabilire che, nonostante le Vite non abbiano ricevuto la revisione finale da parte dell’autore, il grado di integrazione di questi due testi nel rispettivo contesto biografico deve essere spiegato con la volontà di Diogene di servirsi di quelli che egli ritenne con tutta probabilità importanti documenti sui Sapienti dell’età arcaica. Il secondo capitolo, più esteso e articolato, si apre con la rivalutazione delle posizioni critiche precedenti sulle epistole dei Sapienti: dal XVI al XVIII secolo è possibile rintracciare, per lo più nei numerosi commentari eruditi prodotti a corredo delle Vite laerziane, sparute annotazioni, dalle quali si evince come mancasse ancora un concetto unitario dei testi qui considerati; è solo dal XIX secolo, segnatamente con il lavoro di Nietzsche sulle fonti di Diogene Laerzio (1869), che è possibile iniziare a tracciare l’arco della critica che culmina nel 1994 con l’ultimo contributo sulle nostre epistole, dovuto a Niels Christian Dührsen. Tra questi estremi si segnalano le tesi di Snell (1938, poi 1971) e di Vanhove (1944). Un’analisi serrata di questi precedenti permette di individuare una tradizione condivisa dagli studiosi tedeschi (Nietzsche, Snell, Dührsen), i quali si concentrano principalmente sulla ricostruzione (ossia, sul ripristino della sequenza originaria dei testi) di un supposto romanzo epistolare sui Sapienti. Dell’esistenza di quest’ultimo, tuttavia, è più che lecito dubitare, una volta che siano stati resi chiari i limiti concettuali e le storture interpretative operate sui testi da quegli studiosi. Esaurita l’analisi delle teorie precedenti, si passa all’individuazione delle strutture e dei richiami interni alle 19 epistole, interpretate alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche sulla letteratura epistolare, con particolare enfasi sull’assenza di una chiara scansione narrativa e sugli aspetti formali e contenutistici. Qui viene formulata l’ipotesi sulla stratificazione compositiva del corpus, che nega definitivamente l’esistenza di un perduto romanzo epistolare e che rende possibile l’interpretazione del corpus stesso in modo non dissimile da altri corpora epistolari che hanno già ricevuto uno studio sistematico da parte della critica. Attenzione specifica viene ora data alla lingua in cui sono composte le epistole: l’analisi dialettologica, condotta senza mai disgiungerla da quella filologica, offre altri indizi di stratificazione compositiva e restituisce uno spaccato dei generi letterari conosciuti dagli autori delle nostre epistole (in primo luogo storiografia ed epos, ma anche la tragedia e la commedia, la lirica corale pindarica e la poesia ellenistica). All’analisi linguistica segue una considerazione generale dei testi dal punto di vista stilistico, nella quale si insiste su alcune cautele metodologiche necessarie nello studio di testi come questi, e alcune note, per quanto concerne la resa delle nostre epistole, a due recenti traduzioni integrali in lingua inglese delle Vite laerziane, a cura di Pamela Mensch (Oxford 2018) e di Stephen White (Cambridge 2020). Chiudono la prima parte alcune considerazioni sulla datazione del corpus, proposta, sulla base della convergenza di diversi indizi, al II secolo d.C., abbassando così quelle all’età ellenistica di Snell e Dührsen. La seconda parte, dopo una breve nota critica in cui si segnalano le divergenze rispetto al testo stabilito da Dorandi, accoglie le epistole, suddivise in cinque gruppi tematici, con traduzione a fronte e relativo commento. Questo, nel quale la singola voce è rappresentata da una sequenza di testo greco, è stato composto seguendo tre direttrici principali: interpretazione puntuale del testo e delle forme (con spiegazione diffusa dei passi divergenti da Dorandi); confronto sistematico con i paralleli nella tradizione antica; creazione di una rete di riferimenti interni al corpus. All’elenco delle abbreviazioni bibliografiche segue un indice dei nomi antichi.

Salomone, A. (2025). Sulle cosiddette Epistole dei (Sette) Sapienti.

Sulle cosiddette Epistole dei (Sette) Sapienti

Andrea Salomone
2025-03-19

Abstract

Il lavoro si propone di fornire uno studio completo e sistematico di 19 epistole attribuite per lo più a personaggi inclusi nelle tradizionali liste di Sapienti arcaici e tramandate nell’opera di Diogene Laerzio; le epistole vengono fornite di un testo riconsiderato criticamente, della prima traduzione italiana basata sull’edizione di Tiziano Dorandi (Cambridge 2013) e del primo commento disteso lemmatizzato. La tesi è suddivisa in due parti principali, precedute da un’introduzione generale, nella quale sono brevemente riassunti i motivi della mancanza di uno studio sistematico delle epistole in questione, individuati nella relativa recenziorità degli studi sui corpora epistolari pseudepigrafi in generale e, più nello specifico, nelle difficoltà che ancora sussistono intorno alle Vite laerziane, non ultimo un diffuso pregiudizio sul loro autore, la cui reputazione in Italia specialmente Marcello Gigante si è preoccupato di riabilitare. Nella prima parte, che svolge rispetto ai testi la funzione di saggio introduttivo e interpretativo, il primo capitolo è dedicato a una rivalutazione del rapporto tra le 19 epistole e la struttura complessiva dell’opera laerziana, grazie a cui viene corretta l’idea diffusa e sostenuta da Richard Goulet secondo cui le epistole in questione compaiono per lo più alla fine delle biografie perché rinvenute da Diogene in uno stadio di composizione delle Vite piuttosto avanzato. Valutando due casi eccentrici, rappresentati dell’epistola di Epimenide a Solone e, ancor più, da quella di Pisistrato a Solone, è possibile stabilire che, nonostante le Vite non abbiano ricevuto la revisione finale da parte dell’autore, il grado di integrazione di questi due testi nel rispettivo contesto biografico deve essere spiegato con la volontà di Diogene di servirsi di quelli che egli ritenne con tutta probabilità importanti documenti sui Sapienti dell’età arcaica. Il secondo capitolo, più esteso e articolato, si apre con la rivalutazione delle posizioni critiche precedenti sulle epistole dei Sapienti: dal XVI al XVIII secolo è possibile rintracciare, per lo più nei numerosi commentari eruditi prodotti a corredo delle Vite laerziane, sparute annotazioni, dalle quali si evince come mancasse ancora un concetto unitario dei testi qui considerati; è solo dal XIX secolo, segnatamente con il lavoro di Nietzsche sulle fonti di Diogene Laerzio (1869), che è possibile iniziare a tracciare l’arco della critica che culmina nel 1994 con l’ultimo contributo sulle nostre epistole, dovuto a Niels Christian Dührsen. Tra questi estremi si segnalano le tesi di Snell (1938, poi 1971) e di Vanhove (1944). Un’analisi serrata di questi precedenti permette di individuare una tradizione condivisa dagli studiosi tedeschi (Nietzsche, Snell, Dührsen), i quali si concentrano principalmente sulla ricostruzione (ossia, sul ripristino della sequenza originaria dei testi) di un supposto romanzo epistolare sui Sapienti. Dell’esistenza di quest’ultimo, tuttavia, è più che lecito dubitare, una volta che siano stati resi chiari i limiti concettuali e le storture interpretative operate sui testi da quegli studiosi. Esaurita l’analisi delle teorie precedenti, si passa all’individuazione delle strutture e dei richiami interni alle 19 epistole, interpretate alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche sulla letteratura epistolare, con particolare enfasi sull’assenza di una chiara scansione narrativa e sugli aspetti formali e contenutistici. Qui viene formulata l’ipotesi sulla stratificazione compositiva del corpus, che nega definitivamente l’esistenza di un perduto romanzo epistolare e che rende possibile l’interpretazione del corpus stesso in modo non dissimile da altri corpora epistolari che hanno già ricevuto uno studio sistematico da parte della critica. Attenzione specifica viene ora data alla lingua in cui sono composte le epistole: l’analisi dialettologica, condotta senza mai disgiungerla da quella filologica, offre altri indizi di stratificazione compositiva e restituisce uno spaccato dei generi letterari conosciuti dagli autori delle nostre epistole (in primo luogo storiografia ed epos, ma anche la tragedia e la commedia, la lirica corale pindarica e la poesia ellenistica). All’analisi linguistica segue una considerazione generale dei testi dal punto di vista stilistico, nella quale si insiste su alcune cautele metodologiche necessarie nello studio di testi come questi, e alcune note, per quanto concerne la resa delle nostre epistole, a due recenti traduzioni integrali in lingua inglese delle Vite laerziane, a cura di Pamela Mensch (Oxford 2018) e di Stephen White (Cambridge 2020). Chiudono la prima parte alcune considerazioni sulla datazione del corpus, proposta, sulla base della convergenza di diversi indizi, al II secolo d.C., abbassando così quelle all’età ellenistica di Snell e Dührsen. La seconda parte, dopo una breve nota critica in cui si segnalano le divergenze rispetto al testo stabilito da Dorandi, accoglie le epistole, suddivise in cinque gruppi tematici, con traduzione a fronte e relativo commento. Questo, nel quale la singola voce è rappresentata da una sequenza di testo greco, è stato composto seguendo tre direttrici principali: interpretazione puntuale del testo e delle forme (con spiegazione diffusa dei passi divergenti da Dorandi); confronto sistematico con i paralleli nella tradizione antica; creazione di una rete di riferimenti interni al corpus. All’elenco delle abbreviazioni bibliografiche segue un indice dei nomi antichi.
19-mar-2025
37
CIVILTA' E TRADIZIONE GRECA E ROMANA
Epistolografia; Sette Sapienti; Diogene Laerzio; dialettologia greca
COZZOLI, Adele Teresa
NICOLAI, Roberto ('Sapienza' Università di Roma)
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