Le donne nei board delle società: parità vera o apparente?

Diversity on boards (gender, age, origin, etc.) is recommended by good corporate governance practices; in particular, gender diversity (which means "presence of the female sex", since the male sex is predominant) would be extremely desirable. For the functionalist approach (which prevails in this field of research), it would improve the quality of decision-making processes, management control, financial performance, and reduce risk. The issue in Italy is of particular relevance because the Golfo-Mosca Law of 2011 (the "pink quotas") required listed companies to have the presence on the boards of directors (for at least a third, two-fifths since 2020, after the extension of the law) of the least represented gender, which is in fact the female one. The analysis carried out here aims to highlight how, even in the context of a process that goes (at least apparently) in the direction of promoting gender equality, a series of trends can be observed, in the field of scientific research on the subject (of which a systematic and updated review is presented with reference to the international literature, mostly empirical), and of perverse drifts in practice (with prevalent reference to Italy) that replicate stereotypes and clichés typical of "gender inequality" that research and practice want to fight/overcome and that therefore cast doubt on the actual step forward towards gender equality in terms of socio-cultural change.

La diversità nei board (di sesso, età, provenienza, ecc.) è raccomandata dalle buone pratiche di corporate governance; in particolare, la diversità di genere (che significa “presenza anche del sesso femminile”, essendo quella maschile prevalente) sarebbe estremamente auspicabile. Per l’approccio funzionalista (che è quello prevalente in questo ambito di ricerca), migliorerebbe la qualità dei processi decisionali, il controllo della gestione, la performance finanziaria, ridurrebbe il rischio. Il tema in Italia è di particolare rilevanza perché la Legge Golfo-Mosca del 2011 (le "quote rosa") ha imposto alle società quotate la presenza nei cda (per almeno un terzo, due quinti dal 2020, post proroga della legge) del genere meno rappresentato, che è nei fatti quello femminile. L’analisi qui svolta mira a mettere in evidenza come, pur nell’ambito di un processo che va, almeno apparentemente, nella direzione di favorire la parità di genere, si rilevino una serie di tendenze, nell’ambito della ricerca scientifica sul tema (di cui si presenta una review sistematica e aggiornata con riferimento alla letteratura internazionale, per lo più empirica), e di derive perverse nella pratica (con prevalente riferimento all’Italia) che replicano stereotipi e luoghi comuni propri “della disparità di genere” che si vuole combattere/superare e che quindi fanno dubitare sull’effettivo passo in avanti verso la parità di genere in termini di cambiamento socio-culturale.