"Le frontiere sono i luoghi in cui i paesi e gli uomini che li abitano si incontrano e stanno di fronte. Questo essere di fronte può significare molte cose: in primo luogo guardare l’altro, acquisirne conoscenza, confrontarsi [...] è presso i confini che, come una vegetazione spontanea, cresce il proletariato della storia e della politica, un’umanità umiliata e offesa, vittima delle polizie e delle pulizie, divisa dalla lingua, dalla religione, dalla politica e unificata solo dal suo essere scarto e residuo del potere" (Cassano, 199 6, pp. 53-7). Così Franco Cassano introduce il tema delle frontiere che sono «le ferite» (ibid.) della società contemporanea, caratterizzata in misura crescente dallo scontro/incontro fra culture e identità etniche diverse. Uno scontro che richiede con urgenza di rimettere al centro del dibattito la riflessione su differenze e diseguaglianze, sulle politiche di cittadinanza, sui modi stessi di produrre conoscenza a cavallo tra modernità e postmodernità. L’Europa è intersecata da numerose frontiere: quelle interne fra i suoi Stati membri e quelle esterne con coloro che aspirano a farne parte oppure che se ne discostano nettamente. Le frontiere europee sanciscono una distinzione fondamentale tra noi europei e tutti gli altri: noi dotati di grandi privilegi e gli altri che sono gli esclusi. Il 7 febbraio 199 2 con il Trattato di Maastricht si è costituita formalmente l’Europa, che, a distanza di alcuni decenni, ci appare come ancora in via di formazione. Non ci chiederemo retoricamente se un’identità europea esista, ma piuttosto partiremo dall’evidenza che, a distanza di pochi decenni, accanto alle identità nazionali si è consolidata un’identità europea, nella quale molti cittadini e cittadine europee si riconoscono. È molto difficile individuare gli ingredienti del cocktail Europa, cioè identificare quegli elementi specifici che hanno rivestito un ruolo fondativo e continuano a svolgere una funzione costitutiva nel formarsi stesso dell’identità europea, soprattutto se si aspira a tratteggiarne una lista in qualche modo esaustiva. Sarebbe un compito molto arduo e probabilmente impossibile, in quanto, dai saperi situati di Rosi Braidotti in poi, abbiamo appreso una lezione epistemologica imprescindibile, dalla quale non possiamo derogare nemmeno in questa specifica circostanza: lo sguardo disciplinare costruisce e informa in ogni caso la visione del ricercatore e/o della ricercatrice e pertanto tenderemo a scoprire come fondamentali proprio quegli elementi che la nostra prospettiva disciplinare predilige. Nella prospettiva della sociologia culturale, dalla quale il presente saggio scaturisce, questi dunque appaiono come gli elementi individuabili (fra gli altri che si potrebbero menzionare): il patrimonio culturale e artistico, nelle sue forme tangibili e intangibili, e le memorie collettive e pubbliche (Tota, Hagen, 2016) sia nazionali sia transnazionali (Erll, 2011; 2024). Nelle pagine che seguono ci occuperemo, in particolare, dell’intreccio che consegue proprio dalle forme di patrimonio culturale, nelle quali le memorie nazionali e transnazionali europee si sono intrecciate nella convinzione che questi simboli della memoria così costituiti rappresentino tasselli fondamentali nel formarsi e nel consolidarsi dell’identità europea, perché al cuore dell’Europa continua a essere collocata l’elaborazione europea del trauma culturale (Alexander, 2005) della Shoah e tutti i simboli a essa riconducibili. Tuttavia, è impossibile e fuorviante parlare di identità europea al singolare, in quanto è documentato da numerose ricerche il fatto che le identità europee sono plurali. Peraltro, vale la pena aggiungere al quadro che si va così delineando un’ulteriore riflessione: nella contemporaneità stiamo assistendo, in relazione al contesto europeo, a una tendenza abbastanza generalizzata, secondo la quale lo spazio del passato nei discorsi pubblici nazionali ed europei sembra ampliarsi, acuirsi e approfondirsi a dismisura. Quello che per molti storici sembra assumere le sembianze di una vera e propria minaccia alla possibilità stessa di un discorso storico-scientifico su ciò che fu appare pressoché alla stregua di uno sport nazionale per molti esponenti politici in molteplici nazioni europee. Mi riferisco a quell’“uso pubblico della storia” praticato con nonchalance da molti attori istituzionali in molteplici occasioni della vita pubblica e che per molti storici accademici (e non solo per loro) rimane un boccone indigesto o, perlomeno, non del tutto digeribile. Certamente c’è una tendenza alla manipolazione del passato, al suo uso propagandistico fino ad arrivare a veri e propri abusi della storia. Tuttavia, al netto delle manipolazioni ideologiche e degli abusi che sono sempre da condannare da qualsiasi punto di vista e in nome di un’etica pubblica, per gli studiosi di memory studies, la comunicazione pubblica del passato (ad esempio attraverso le arti, il cinema, la musica, i media e tutte le forme di cultural heritage materiale e/o immateriale) non rappresenta di per sé una diminutio rispetto al sapere storico, ma piuttosto costituisce una dimensione alternativa dei modi di produzione del passato e, in quanto tale, del tutto legittima e persino utile in talune circostanze, in quanto può contribuire a produrre le condizioni di visibilità che favoriscono i percorsi della giustizia.

Tota, A.L. (2025). Geografie della memoria:identità europee e cultural heritage. In Andrea Lombardinilo (a cura di), Il programma Europa Creativa Una sfida per la cultura del futuro (pp. 67-82). Roma : Carocci.

Geografie della memoria:identità europee e cultural heritage

Anna Lisa Tota
2025-01-01

Abstract

"Le frontiere sono i luoghi in cui i paesi e gli uomini che li abitano si incontrano e stanno di fronte. Questo essere di fronte può significare molte cose: in primo luogo guardare l’altro, acquisirne conoscenza, confrontarsi [...] è presso i confini che, come una vegetazione spontanea, cresce il proletariato della storia e della politica, un’umanità umiliata e offesa, vittima delle polizie e delle pulizie, divisa dalla lingua, dalla religione, dalla politica e unificata solo dal suo essere scarto e residuo del potere" (Cassano, 199 6, pp. 53-7). Così Franco Cassano introduce il tema delle frontiere che sono «le ferite» (ibid.) della società contemporanea, caratterizzata in misura crescente dallo scontro/incontro fra culture e identità etniche diverse. Uno scontro che richiede con urgenza di rimettere al centro del dibattito la riflessione su differenze e diseguaglianze, sulle politiche di cittadinanza, sui modi stessi di produrre conoscenza a cavallo tra modernità e postmodernità. L’Europa è intersecata da numerose frontiere: quelle interne fra i suoi Stati membri e quelle esterne con coloro che aspirano a farne parte oppure che se ne discostano nettamente. Le frontiere europee sanciscono una distinzione fondamentale tra noi europei e tutti gli altri: noi dotati di grandi privilegi e gli altri che sono gli esclusi. Il 7 febbraio 199 2 con il Trattato di Maastricht si è costituita formalmente l’Europa, che, a distanza di alcuni decenni, ci appare come ancora in via di formazione. Non ci chiederemo retoricamente se un’identità europea esista, ma piuttosto partiremo dall’evidenza che, a distanza di pochi decenni, accanto alle identità nazionali si è consolidata un’identità europea, nella quale molti cittadini e cittadine europee si riconoscono. È molto difficile individuare gli ingredienti del cocktail Europa, cioè identificare quegli elementi specifici che hanno rivestito un ruolo fondativo e continuano a svolgere una funzione costitutiva nel formarsi stesso dell’identità europea, soprattutto se si aspira a tratteggiarne una lista in qualche modo esaustiva. Sarebbe un compito molto arduo e probabilmente impossibile, in quanto, dai saperi situati di Rosi Braidotti in poi, abbiamo appreso una lezione epistemologica imprescindibile, dalla quale non possiamo derogare nemmeno in questa specifica circostanza: lo sguardo disciplinare costruisce e informa in ogni caso la visione del ricercatore e/o della ricercatrice e pertanto tenderemo a scoprire come fondamentali proprio quegli elementi che la nostra prospettiva disciplinare predilige. Nella prospettiva della sociologia culturale, dalla quale il presente saggio scaturisce, questi dunque appaiono come gli elementi individuabili (fra gli altri che si potrebbero menzionare): il patrimonio culturale e artistico, nelle sue forme tangibili e intangibili, e le memorie collettive e pubbliche (Tota, Hagen, 2016) sia nazionali sia transnazionali (Erll, 2011; 2024). Nelle pagine che seguono ci occuperemo, in particolare, dell’intreccio che consegue proprio dalle forme di patrimonio culturale, nelle quali le memorie nazionali e transnazionali europee si sono intrecciate nella convinzione che questi simboli della memoria così costituiti rappresentino tasselli fondamentali nel formarsi e nel consolidarsi dell’identità europea, perché al cuore dell’Europa continua a essere collocata l’elaborazione europea del trauma culturale (Alexander, 2005) della Shoah e tutti i simboli a essa riconducibili. Tuttavia, è impossibile e fuorviante parlare di identità europea al singolare, in quanto è documentato da numerose ricerche il fatto che le identità europee sono plurali. Peraltro, vale la pena aggiungere al quadro che si va così delineando un’ulteriore riflessione: nella contemporaneità stiamo assistendo, in relazione al contesto europeo, a una tendenza abbastanza generalizzata, secondo la quale lo spazio del passato nei discorsi pubblici nazionali ed europei sembra ampliarsi, acuirsi e approfondirsi a dismisura. Quello che per molti storici sembra assumere le sembianze di una vera e propria minaccia alla possibilità stessa di un discorso storico-scientifico su ciò che fu appare pressoché alla stregua di uno sport nazionale per molti esponenti politici in molteplici nazioni europee. Mi riferisco a quell’“uso pubblico della storia” praticato con nonchalance da molti attori istituzionali in molteplici occasioni della vita pubblica e che per molti storici accademici (e non solo per loro) rimane un boccone indigesto o, perlomeno, non del tutto digeribile. Certamente c’è una tendenza alla manipolazione del passato, al suo uso propagandistico fino ad arrivare a veri e propri abusi della storia. Tuttavia, al netto delle manipolazioni ideologiche e degli abusi che sono sempre da condannare da qualsiasi punto di vista e in nome di un’etica pubblica, per gli studiosi di memory studies, la comunicazione pubblica del passato (ad esempio attraverso le arti, il cinema, la musica, i media e tutte le forme di cultural heritage materiale e/o immateriale) non rappresenta di per sé una diminutio rispetto al sapere storico, ma piuttosto costituisce una dimensione alternativa dei modi di produzione del passato e, in quanto tale, del tutto legittima e persino utile in talune circostanze, in quanto può contribuire a produrre le condizioni di visibilità che favoriscono i percorsi della giustizia.
2025
978-88-290-3242-6
Tota, A.L. (2025). Geografie della memoria:identità europee e cultural heritage. In Andrea Lombardinilo (a cura di), Il programma Europa Creativa Una sfida per la cultura del futuro (pp. 67-82). Roma : Carocci.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/514596
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