Il saggio è dedicato all’immagine della calamita usata da Petrarca nella seconda strofa della canzone 135 dei ‘Rerum vulgarium fragmenta’ (vv. 16-30). Vengono in apertura segnalati i precedenti classici e medievali (latini e volgari) indicati in studi pregressi come possibili fonti del componimento, in cui sono assenti però alcuni dettagli che caratterizzano la descrizione petrarchesca del magnete, in particolare il riferimento al suo potere di sottrarre i chiodi di ferro dal legno delle navi provocandone l’affondamento e quello di attrarre la carne umana. L'A. mostra come tali elementi siano invece presenti nella tradizione araba, in un lapidario attribuito ad Aristotele nel Medioevo (tradotto in latino da Gherardo da Cremona) e, in parte, anche nelle opere mediche di Serapione (di cui esistevano redazioni in latino e volgarizzamenti) che pure ad Aristotele si ricollegano. Rileva quindi come il ‘De lapidibus’ assegnato al filosofo greco paia inserirsi bene come possibile fonte per la tessitura della seconda stanza, a fianco dei precedenti letterari, appartenenti anche alla cultura classica, cui Petrarca attinge per la costruzione delle altre strofe del componimento.
Fiorilla, M. (2003). Il mirabile della calamita in Petrarca, ‘RVF’ 135, 16-30 e le sue possibili fonti. LA CULTURA, XLI(3), 307-316.
Il mirabile della calamita in Petrarca, ‘RVF’ 135, 16-30 e le sue possibili fonti
FIORILLA, Maurizio
2003-01-01
Abstract
Il saggio è dedicato all’immagine della calamita usata da Petrarca nella seconda strofa della canzone 135 dei ‘Rerum vulgarium fragmenta’ (vv. 16-30). Vengono in apertura segnalati i precedenti classici e medievali (latini e volgari) indicati in studi pregressi come possibili fonti del componimento, in cui sono assenti però alcuni dettagli che caratterizzano la descrizione petrarchesca del magnete, in particolare il riferimento al suo potere di sottrarre i chiodi di ferro dal legno delle navi provocandone l’affondamento e quello di attrarre la carne umana. L'A. mostra come tali elementi siano invece presenti nella tradizione araba, in un lapidario attribuito ad Aristotele nel Medioevo (tradotto in latino da Gherardo da Cremona) e, in parte, anche nelle opere mediche di Serapione (di cui esistevano redazioni in latino e volgarizzamenti) che pure ad Aristotele si ricollegano. Rileva quindi come il ‘De lapidibus’ assegnato al filosofo greco paia inserirsi bene come possibile fonte per la tessitura della seconda stanza, a fianco dei precedenti letterari, appartenenti anche alla cultura classica, cui Petrarca attinge per la costruzione delle altre strofe del componimento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.