Agli inizi della (breve) storia della street art non c'era nemico più acerrimo del museo per un'arte che nasceva sovversiva e vandalica. Con il tempo le distanze si sono accorciate e il rapporto tra street art e istituzione museale è divenuto sempre più ambiguo e incandescente in entrambe le direzioni. Dalla "museofobia" degli inizi - in parte ancora fieramente praticata da alcuni artisti come l'italiano Blu, che ha deciso di "sacrificare" alcuni dei suoi murales storici da Berlino e Bologna per sottrarli al "business dell'arte urbana" - si è passati ad una dilagante "museofilia". Abbondano i tentativi di reciproca seduzione: molte opere di street artists sono state esposte in gallerie e musei, mentre altri pezzi, come quelli dell’inglese Banksy, sono stati venduti a prezzi esorbitanti. D'altra parte molte istituzioni museali hanno organizzato suggestive mostre dedicate alla Street art, tanto spettacolari quanto discusse, visto che spesso i pezzi esposti erano stati trafugati dalle pubbliche strade senza l'autorizzazione agli artisti. L'intento del presente saggio consiste nell’indagare a) quanto indispensabile sia l'elemento "criminale" per garantire il linguaggio proprio alla produzione di street art e quanto sia dunque possibile musealizzare pezzi di street art, considerando b) quali nuove fruttuose declinazioni può implicare questo conflitto nel ripensare l'istituzione museale e quali siano le conseguenze dell'estetizzazione diffusa generata dalla street art, per riconsiderare i luoghi dell'urbano.
Iannelli, F. (2017). Street art e museo: Museofobia o museofilia?. PIANO B, V. 2(N. 1 (2017)), 65-95 [10.6092].
Street art e museo: Museofobia o museofilia?
IANNELLI, FRANCESCA
2017-01-01
Abstract
Agli inizi della (breve) storia della street art non c'era nemico più acerrimo del museo per un'arte che nasceva sovversiva e vandalica. Con il tempo le distanze si sono accorciate e il rapporto tra street art e istituzione museale è divenuto sempre più ambiguo e incandescente in entrambe le direzioni. Dalla "museofobia" degli inizi - in parte ancora fieramente praticata da alcuni artisti come l'italiano Blu, che ha deciso di "sacrificare" alcuni dei suoi murales storici da Berlino e Bologna per sottrarli al "business dell'arte urbana" - si è passati ad una dilagante "museofilia". Abbondano i tentativi di reciproca seduzione: molte opere di street artists sono state esposte in gallerie e musei, mentre altri pezzi, come quelli dell’inglese Banksy, sono stati venduti a prezzi esorbitanti. D'altra parte molte istituzioni museali hanno organizzato suggestive mostre dedicate alla Street art, tanto spettacolari quanto discusse, visto che spesso i pezzi esposti erano stati trafugati dalle pubbliche strade senza l'autorizzazione agli artisti. L'intento del presente saggio consiste nell’indagare a) quanto indispensabile sia l'elemento "criminale" per garantire il linguaggio proprio alla produzione di street art e quanto sia dunque possibile musealizzare pezzi di street art, considerando b) quali nuove fruttuose declinazioni può implicare questo conflitto nel ripensare l'istituzione museale e quali siano le conseguenze dell'estetizzazione diffusa generata dalla street art, per riconsiderare i luoghi dell'urbano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.