L’onda delle primavere arabe susseguitesi a partire dalla fine del 2010 è stata accompagnata da un ritorno in auge di pratiche di guerrilla filmmaking, dettate dall’urgenza di documentare le attività dei movimenti di base. L’eco delle rivolte di piazza promosse dal movimento Black Lives Matter dal 2013 e il dibattito sorto negli Stati Uniti sul racial profiling sono stati alimentati anche da una serie di documentari che hanno riattualizzato la memoria di numi tutelari, figure e fasi del movimento per i diritti civili. Nonostante BLM, così come altri movimenti di lotta abbiano rivendicato rapporti di affinità con le primavere arabe e tutti questi gruppi abbiano abbondantemente costruito la propria capacità di radicamento proprio grazie all’utilizzo dei social media, poche voci hanno evidenziato come questo lavoro potesse essere iscritto nell’eredità del «terzo cinema». Muovendosi in autonomia rispetto a questo orizzonte di sviluppo, a cavallo fra consapevolezza teorica e concreta prassi realizzativa, due autori del Sud globale come Raoul Peck e Aryan Kaganof, muovendo il primo da Haiti, il secondo dal Sudafrica, hanno declinato approcci profondamente originali e pregnanti sul piano stilistico-espressivo all’esperienza contemporanea del cinema del reale, lungo una direzione che autorizza la ripresa di una discussione sull’attualità del terzo cinema. Il mio contributo si propone di intercettare alcuni luoghi di tensione a cavallo fra riflessione teorica e prassi realizzativa che ripropongono l’attualità del terzo cinema, concentrandosi sul percorso di due cineasti la cui scommessa, si basa sul paradosso di una narrazione performativa, alla prima persona singolare, che punta a sovvertire falsi saperi e aspettative circolanti sui documentari realizzati nel Sud globale e sui microcontesti in questione.
DE FRANCESCHI, L. (2017). Il post-terzo cinema in prima persona di Peck e Kaganof. IMAGO, 8(1 (15)), 79-94.
Il post-terzo cinema in prima persona di Peck e Kaganof
Leonardo De Franceschi
2017-01-01
Abstract
L’onda delle primavere arabe susseguitesi a partire dalla fine del 2010 è stata accompagnata da un ritorno in auge di pratiche di guerrilla filmmaking, dettate dall’urgenza di documentare le attività dei movimenti di base. L’eco delle rivolte di piazza promosse dal movimento Black Lives Matter dal 2013 e il dibattito sorto negli Stati Uniti sul racial profiling sono stati alimentati anche da una serie di documentari che hanno riattualizzato la memoria di numi tutelari, figure e fasi del movimento per i diritti civili. Nonostante BLM, così come altri movimenti di lotta abbiano rivendicato rapporti di affinità con le primavere arabe e tutti questi gruppi abbiano abbondantemente costruito la propria capacità di radicamento proprio grazie all’utilizzo dei social media, poche voci hanno evidenziato come questo lavoro potesse essere iscritto nell’eredità del «terzo cinema». Muovendosi in autonomia rispetto a questo orizzonte di sviluppo, a cavallo fra consapevolezza teorica e concreta prassi realizzativa, due autori del Sud globale come Raoul Peck e Aryan Kaganof, muovendo il primo da Haiti, il secondo dal Sudafrica, hanno declinato approcci profondamente originali e pregnanti sul piano stilistico-espressivo all’esperienza contemporanea del cinema del reale, lungo una direzione che autorizza la ripresa di una discussione sull’attualità del terzo cinema. Il mio contributo si propone di intercettare alcuni luoghi di tensione a cavallo fra riflessione teorica e prassi realizzativa che ripropongono l’attualità del terzo cinema, concentrandosi sul percorso di due cineasti la cui scommessa, si basa sul paradosso di una narrazione performativa, alla prima persona singolare, che punta a sovvertire falsi saperi e aspettative circolanti sui documentari realizzati nel Sud globale e sui microcontesti in questione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.