Da molti anni il dibattito internazionale sui memory studies ha messo a tema il cosiddetto “memory work”, cioè quel complesso e delicato insieme di processi, a cui la società civile e le istituzioni pubbliche sono chiamate a contribuire quando un passato traumatico e controverso richiede di essere collettivamente rielaborato. Con il termine “memory work” possiamo indicare proprio questi processi di progressivo sgretolamento e riaggiustamento del passato. Dalla scuola di Yale in poi, le teorie del cultural trauma hanno rappresentato un tratto distintivo di qualsiasi studio e/o ricerca su questi temi. Tuttavia, sul concetto di passato continua a prevalere una diffusa convinzione che anche le riflessioni più autorevoli non sono riuscite a scalfire: i passati, soprattutto quelli che “non passano” - quelli traumatici che segnano irrimediabilmente una comunità, marcandone indelebilmente l’identità sociale - sono percepiti come granitici, solidi, immutabili, oggettivati una volta per sempre nella coscienza collettiva e, oserei dire, universale. E in qualche misura è vero, lo sono. L’Olocausto, le stragi terroristiche, i disastri naturali, tutti questi eventi e molti altri ci paiono “pietre”, macchie indelebili nel tessuto connettivo della nostra società civile che chiede, anzi reclama, di essere “riparato”.
Tota, A.L., Luchetti, L. (2018). Intervista con Lia Luchetti su “Sociologie della memoria. Verso un’ecologia del passato”, 1-6.
Intervista con Lia Luchetti su “Sociologie della memoria. Verso un’ecologia del passato”
Anna Lisa Tota
;Lia Luchetti
2018-01-01
Abstract
Da molti anni il dibattito internazionale sui memory studies ha messo a tema il cosiddetto “memory work”, cioè quel complesso e delicato insieme di processi, a cui la società civile e le istituzioni pubbliche sono chiamate a contribuire quando un passato traumatico e controverso richiede di essere collettivamente rielaborato. Con il termine “memory work” possiamo indicare proprio questi processi di progressivo sgretolamento e riaggiustamento del passato. Dalla scuola di Yale in poi, le teorie del cultural trauma hanno rappresentato un tratto distintivo di qualsiasi studio e/o ricerca su questi temi. Tuttavia, sul concetto di passato continua a prevalere una diffusa convinzione che anche le riflessioni più autorevoli non sono riuscite a scalfire: i passati, soprattutto quelli che “non passano” - quelli traumatici che segnano irrimediabilmente una comunità, marcandone indelebilmente l’identità sociale - sono percepiti come granitici, solidi, immutabili, oggettivati una volta per sempre nella coscienza collettiva e, oserei dire, universale. E in qualche misura è vero, lo sono. L’Olocausto, le stragi terroristiche, i disastri naturali, tutti questi eventi e molti altri ci paiono “pietre”, macchie indelebili nel tessuto connettivo della nostra società civile che chiede, anzi reclama, di essere “riparato”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.