La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 13910 del 2017 (sentenza Santoro) sembra aver superato (per ora) l’annosa diatriba interpretativa relativa alla natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento nei reati di bancarotta prefallimentare. I giudici di legittimità hanno (finalmente) affermato che «la dichiarazione di fallimento ha funzione di mera condizione oggettiva di punibilità». Si tratterebbe di un cambio di rotta sicuramente responsabile, anche se, volgendo un rapido sguardo alle asserzioni giustificatrici nei confronti dell’orientamento giurisprudenziale “tradizionale”, l’apparente portata rivoluzionaria della pronuncia risulta quanto meno ridimensionata. Tra le affermazioni maggiormente persuasive della sentenza Santoro si devono certamente segnalare l’abbandono delle vetuste dogmatiche che hanno contribuito ad alimentare il sospetto e l’idiosincrasia nei confronti della categoria giuridica delle condizioni oggettive di punibilità ex art. 44 c.p. e il ridimensionamento dell’“entropia” tra premesse e conclusioni ravvisabile nel percorso logico-argomentativo con cui la giurisprudenza tradizionale ricostruiva il ruolo della dichiarazione di fallimento nei reati in questione. Non si può non osservare, tuttavia, come nella pronuncia aleggi una sorta di riverenza nei confronti del passato, dando quindi luogo a un revirement solo timido: talune soluzioni interpretative proposte della Corte, infatti, specialmente sull’incidenza sistematica dell’elemento-evento condizione, rischiano di arrestarsi al livello di mere petitiones principii.

Baffa, G. (2017). La velata “ammissione di colpa” dei giudici di legittimità: la sentenza dichiarativa di fallimento è (e non può non essere) condizione oggettiva di punibilità nei reati di bancarotta prefallimentare(4), 1-34.

La velata “ammissione di colpa” dei giudici di legittimità: la sentenza dichiarativa di fallimento è (e non può non essere) condizione oggettiva di punibilità nei reati di bancarotta prefallimentare

Giulio Baffa
2017-01-01

Abstract

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 13910 del 2017 (sentenza Santoro) sembra aver superato (per ora) l’annosa diatriba interpretativa relativa alla natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento nei reati di bancarotta prefallimentare. I giudici di legittimità hanno (finalmente) affermato che «la dichiarazione di fallimento ha funzione di mera condizione oggettiva di punibilità». Si tratterebbe di un cambio di rotta sicuramente responsabile, anche se, volgendo un rapido sguardo alle asserzioni giustificatrici nei confronti dell’orientamento giurisprudenziale “tradizionale”, l’apparente portata rivoluzionaria della pronuncia risulta quanto meno ridimensionata. Tra le affermazioni maggiormente persuasive della sentenza Santoro si devono certamente segnalare l’abbandono delle vetuste dogmatiche che hanno contribuito ad alimentare il sospetto e l’idiosincrasia nei confronti della categoria giuridica delle condizioni oggettive di punibilità ex art. 44 c.p. e il ridimensionamento dell’“entropia” tra premesse e conclusioni ravvisabile nel percorso logico-argomentativo con cui la giurisprudenza tradizionale ricostruiva il ruolo della dichiarazione di fallimento nei reati in questione. Non si può non osservare, tuttavia, come nella pronuncia aleggi una sorta di riverenza nei confronti del passato, dando quindi luogo a un revirement solo timido: talune soluzioni interpretative proposte della Corte, infatti, specialmente sull’incidenza sistematica dell’elemento-evento condizione, rischiano di arrestarsi al livello di mere petitiones principii.
2017
Baffa, G. (2017). La velata “ammissione di colpa” dei giudici di legittimità: la sentenza dichiarativa di fallimento è (e non può non essere) condizione oggettiva di punibilità nei reati di bancarotta prefallimentare(4), 1-34.
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